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Taranto

"Nostoi", ritorni: così la città ritrova i suoi tesori

Sottotitolata “Frammenti di storia”, e presentata in una conferenza stampa tenuta a Palazzo Pantaleo, nella sala convegni del Museo etnografico Majorano, la mostra restituisce alla comunità, ed alla pubblica fruizione, opere che costituiscono tessere di un mosaico identitario

E' dell’ archeologo il fin la meraviglia… ma sì, parafrasiamo il buon vecchio Giovan Battista Marino, senza per carità voler retrocedere all’impostazione caotica delle Wunderkammern del Cinque/Seicento, anche per evitare di essere linciato dai miei molti amici archeologi. Vorrei solo evidenziare, al di là degli aspetti scientifici ed etici della mostra “NOSTOI” (Ritorni) allestita nel quadro delle iniziative per il cinquantenario del ministero della Cultura dalla Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo con il comando dei reparto operativo dei Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale, la meraviglia che suscita nel visitatore “non addetto ai lavori” l’esposizione di reperti trafugati ed esportati clandestinamente recuperati dai Carabinieri e riportati in Italia. Perché anche la “divulgazione” e valorizzazione del patrimonio culturale fa decisamente parte della missione delle istituzioni di tutela. E la Soprintendenza di Taranto, come i Carabinieri del reparto operativo Tutela patrimonio culturale, lo fanno con autentica passione. La mostra, inaugurata il 6 maggio, è visitabile (gratuitamente) nell’ex convento di San Domenico, in via Duomo 33 (Città Vecchia), sede principale della Soprintendenza di Taranto, dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle ore 18. E suscita davvero meraviglia.

Sottotitolata “Frammenti di storia”, e presentata in una conferenza stampa tenuta a Palazzo Pantaleo, nella sala convegni del Museo etnografico Majorano, la mostra restituisce alla comunità, ed alla pubblica fruizione, opere che costituiscono tessere di un mosaico identitario. Non tutti sono reperti scavati clandestinamente e poi recuperati, in collaborazione con la Procura della Repubblica di Taranto, dai Carabinieri del Tpc (Tutela del patrimonio culturale); altri sono “di ritorno” da lunghi prestiti, come i frammenti di lapidi funerarie ebraiche bilingui (in latino ed ebraico), risalenti ad un periodo compreso fra il VII ed il IX secolo d.C., ulteriore testimonianza (con quelle esposte nel MArTA, il Museo nazionale archeologico di Taranto, fra le quali ce ne sono in greco ed ebraico, a testimoniare la precocità dell’insediamento ebraico in Taranto; secondo fonti ebraiche medievali, infatti, Taranto sarebbe stata la prima città dove furono deportati i primi nuclei di Ebrei della diaspora, dopo la distruzione del Tempio, nel 70 d.C.) della presenza di una cospicua colonia ebraica. Altri ancora sono “di ritorno” dai depositi della Soprintendenza, dove giacevano – causa la scarsezza di spazi espositivi – da decenni: come i reperti dal Santuario della Sorgente di Saturo, l’antica Satyrion, già scalo miceneo e primo approdo dei Parteni di Sparta, scavato a metà anni ’70 da Felice Gino Lo Porto in un’area ricchissima di testimonianze ma saccheggiata da tombaroli che ne hanno distrutto irreparabilmente i contesti stratigrafici, oltre a trafugare reperti avviati poi al traffico clandestino attraverso organizzazioni criminali internazionali perfettamente strutturate, con punti di restauro delle opere frammentarie e di falsificazione di documenti di provenienza in Belgio, Olanda e Svizzera.

I nuclei principali dell’esposizione sono quelli della sezione intitolata Taras, come il semidio eponimo della città greca (ma il nome è pregreco), e come l’operazione di recupero condotta in Italia e all’estero dai Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC), in collaborazione con la Sezione di Polizia Giudiziaria – Aliquota Carabinieri della Procura della Repubblica di Taranto e coordinata dalla citata Procura. Provenienti da scavi clandestini ed esportazioni illecite, i reperti sono stati al centro, anche di recente, di importanti attività di recupero che hanno visti coinvolti il comando Carabinieri per la Tutela del patrimonio culturale e i vari istituti del ministero della Cultura che lavorano per identificare, salvaguardare e valorizzare le opere restituite al patrimonio. Seguendo il percorso della mostra, i visitatori potranno comprendere il continuo pericolo di saccheggio e dispersione a cui è sottoposto l’immenso patrimonio italiano e nello stesso tempo potranno apprezzare il lavoro scientifico e di ricerca che supporta il ritrovamento sul territorio di materiale archeologico. Sono esposti tre elmi corinzi, uno schiniere ed elementi di bardature equine: una testiera, un morso da cavallo, una sorta di gorgiera, di VI secolo a.C., insieme con un gruppo di micidiali ghiande missilistiche in piombo, di cui una iscritta e databile al III-II a.C, che venivano scagliate con la fionda. Di grande bellezza il cratere a volute apulo a figure rosse, (340 -  320 a.C.), con raffigurazione del mito di Frisso ed Elle, figli del re beota Atamante, ed un anello sigillo in oro di epoca bizantina, rinvenuto al largo di Porto Cesareo e recuperato nel 2014 dal Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Bari, in sinergia con la Soprintendenza Archeologica della Puglia, scongiurandone l’immissione nel mercato clandestino.

In margine a questi recuperi, quello di un tesoretto monetario di ben 153 coniazioni databili fra il periodo magno-greco e la tarda età imperiale e relative quasi tutte a pòleis della Magna Grecia, esposte in due medaglieri che consentono di far ruotare ogni fila di monete in modo da poter osservare recto e verso di ogni singolo pezzo, e di osservarlo con curo grazie ad una lente scorrevole. Tesoretto che è stato accuratamente studiato dal’archeologa Stefania Montanaro, che ha collaborato anche all’identificazione e studio dei reperti ceramici recuperati dai Carabinieri, come ha voluto ricordare in conferenza stampa il comandante del reparto operativo dei Carabinieri Tpc, colonnello Paolo Befera, che ha insistito sulla necessità di rendere fruibili i tesori recuperati, restituendoli peraltro ai luoighi di provenienza, così come han fatto il procuratore della Repubblica Eugenia Pontassuglia, il sostituto procuratore Marco Colascilla Narducci, che ha seguito in particolar modo le indagini, e la commissaria prefettizia del Comune di Taranto Giuliana Perrotta (che ha anche ricordato la sua esperienza di prefetto di Enna, quando si adoperò perché la recuperata Venere di Morgantina venisse esposta nel luogo da dove proveniva, non musealizzata altrove). Con la accurata presentazione del maresciallo dei Carabinieri Tpc Monica Satta, sono state poi la soprintendente nazionale Francesca Romana Paolillo, principale organizzatrice dell’evento, e l’archeologa Stefania Montanaro ad illustrare tempi, modi, finalità della mostra stessa. Alle operazioni di recupero hanno collaborato (ed erano presenti in conferenza stampa, insieme con autorità civili, religiose e militari, docenti universitari, esponenti delle associazioni culturali, il presidente dell’Isamg Aldo Siciliano e la direttrice dell’Archivio di Stato Valentina Esposto) i marescialli Angelo De Domenico e Gaetano Molinari e l’appuntato Domenico Lucarella.

“La mostra organizzata dalla Soprintendenza nazionale – ha detto in proposito Luigi La Rocca, capo del dipartimento Tutela del patrimonio culturale del ministero della Cultura (e, per inciso, ultimo soprintendente archeologo per la Puglia quando c’era la Soprintendenza archeologica di Taranto) – dà pieno senso al sostegno garantito dalle strutture centrali e periferiche del ministero all’attività di indagine e di sequestro di beni archeologici illecitamente sottratti, condotte dai Carabinieri del Comando Tpc e dalla magistratura. Un sostegno che si basa sulla competenza e sulla professionalità dei nostri funzionari, impegnati nell’analisi scientifica degli oggetti sequestrati, al fine di ricostruirne la storia in assenza dei dati di contesto di cui purtroppo lo scavo clandestino ci ha per sempre privati. La mostra inoltre completa la filiera delle attività che compongono la tutela, che acquista valore allorché il patrimonio culturale è restituito alla pubblica fruizione, ancora di più nel caso in cui esso sarebbe stato illecitamente destinato ad un uso privato. Complimenti quindi alla Soprintendente Francesca Romana Paolillo e al suo staff per l’iniziativa e ai nostri Carabinieri per l’ennesima brillante prova di efficienza a tutela del patrimonio archeologico di un territorio che custodisce le testimonianze di storia antica e straordinaria”.

La mostra è a cura di Luigi La Rocca e Francesca Romana Paolillo, col supporto di Stefania Montanaro (progetto scientifico Luigi La Rocca, Francesca Romana Paolillo, Annalisa Biffino, Stefania Montanaro, Vincenzo Ria, Roberto Rotondo; supporto all’organizzazione e all’allestimento cooperativa Museion).

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