BARI - Si è concluso alle ore 14.35 di sabato 6 dicembre nel porto di Bari lo sbarco delle 120 persone soccorse dalla Life Support, nave di ricerca e soccorso di Emergency, in due distinte operazioni nelle acque internazionali della zona Sar libica.
I due interventi di salvataggio sono avvenuti tra la notte del 2 e la mattina del 3 dicembre. Entrambi i natanti in difficoltà sono stati individuati dal ponte di comando della Life Support e si trattava di gommoni sovraffollati e privi di dispositivi di sicurezza. Con il primo intervento sono state tratte in salvo 47 persone, con il secondo altre 73.
«Abbiamo da poco concluso lo sbarco delle 120 persone soccorse, tra cui 31 donne, 23 minori non accompagnati e 8 minori accompagnati» afferma Andrea Micali, comandante della Life Support. «Ringraziamo le autorità e i volontari di Bari che ci hanno assistito e hanno permesso che le operazioni fossero svolte senza difficoltà. Mentre la nave si prepara per una nuova missione, auguro il meglio per il loro futuro a tutte le persone sbarcate».
I naufraghi erano partiti dalle coste libiche, nei pressi di Tripoli, e provenivano soprattutto da Gambia, Guinea, Niger, Nigeria, Sud Sudan e Sudan, Paesi segnati da conflitti, instabilità politica, povertà e crisi climatica.
Nel corso della navigazione verso Bari, la mediatrice culturale Dorra Frihi ha raccolto diverse testimonianze, tra cui quella di una donna originaria di El Fashir, in Sudan, che ha denunciato la scomparsa dei suoi familiari. Frihi ha ricordato come vicende di questo genere siano purtroppo ricorrenti nelle comunità colpite dalla guerra, tra violazioni dei diritti, sparizioni forzate e violenze sistemiche. «Questa donna mi ha chiesto di riportare la sua storia e di non normalizzare il conflitto. Spero che lei e tutti i naufraghi possano trovare tutela e un nuovo percorso qui in Europa» ha spiegato.
Tra le voci raccolte anche quella di un uomo sudanese, fuggito da Al Fashir: «Nel mio Paese c’è la guerra e si vive nel pericolo costante. Sono passato da Sudan, Niger, Algeria e Tunisia, dove ho provato ad attraversare il Mediterraneo otto volte, sempre respinto. In Libia ho tentato altre due volte e al secondo tentativo ho incontrato voi». L’uomo ha raccontato la durezza del viaggio nel deserto, la detenzione a Zuwara e le difficoltà vissute lungo la rotta. «Ora spero di poter lavorare e aiutare la mia famiglia» ha concluso.
Un giovane nigeriano ha descritto a sua volta il suo percorso: «Ho lasciato la Nigeria per la guerra, non so nulla della mia famiglia. In Libia ho vissuto un inferno. Nel deserto ho visto morire tre persone per fame e sete. Ho tentato di partire quattro volte, pagando sempre un libico che poi spariva. Ogni volta ricominciavo da zero, finché finalmente è andata bene. Non so come sarà la vita in Europa, ma qui almeno nessuno cercherà di uccidermi».
Con lo sbarco di oggi, la Life Support ha concluso la sua 38esima missione nel Mediterraneo centrale, considerata la rotta migratoria più pericolosa al mondo. Da dicembre 2022, l’imbarcazione ha soccorso complessivamente 3.121 persone.
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