Cerca

Cerca

L'intervento

“Sull’ex Ilva serve l’intervento diretto dello Stato, o il Paese perderà un settore strategico”

Dal palco di Bari, il segretario generale della Cgil attacca la mancanza di una vera politica industriale e denuncia l’uso improprio delle risorse pubbliche. “L’Italia rischia di vivere un’economia piegata alle logiche di guerra, mentre lavoro e democrazia arretrano”

BARI - «Serve un intervento diretto dello Stato nella gestione dell’ex Ilva di Taranto. Se non si interviene subito, rischiamo di perdere un settore strategico per un Paese che vuole restare industriale». Con queste parole, Maurizio Landini ha aperto il suo intervento al Policlinico di Bari, dove si è tenuta una grande assemblea pubblica della Cgil in vista della manifestazione nazionale del 25 ottobre a Roma.

Il segretario generale ha espresso “profonda preoccupazione per il futuro del gruppo”, ricordando che i sindacati metalmeccanici hanno già proclamato uno sciopero generale. «Siamo di fronte al rischio che salti tutto – ha detto –. In dodici anni si sono spesi tanti soldi pubblici, ma non si è risolto nulla».

Durante la giornata barese, Landini ha toccato anche i temi della legge di bilancio e della crisi produttiva che investe l’intero Paese. «Nel testo presentato dal Governo – ha dichiarato – non c’è un euro di investimenti né una vera idea di politica industriale. Sono trenta mesi che la produzione industriale cala, e nei prossimi tre anni si spenderà solo in armamenti e difesa. Nessuno di noi pensa che l’industria militare debba chiudere, ma l’aumento senza precedenti della spesa in armi è una follia: non si può costruire un’economia al servizio delle logiche di guerra».

Per il leader della Cgil, la crisi industriale italiana affonda le radici in ritardi strutturali. «Abbiamo accumulato ritardi tecnologici ed energetici – ha spiegato –. In trent’anni di globalizzazione abbiamo delocalizzato, allungato le filiere e perso competitività. Oggi la Cina produce 40 milioni di auto, trent’anni fa erano 4 milioni. L’Occidente non è più il cuore dell’industria e rischia di restare indietro. Per questo servono politiche industriali vere, capaci di tenere insieme investimenti pubblici e privati».

Landini ha ribadito che il confronto sul contratto dei metalmeccanici non riguarda solo il salario, ma «il modello di sviluppo che si vuole per l’Italia». Da qui l’appello alla mobilitazione: «Il 25 ottobre saremo in piazza per chiedere politiche industriali, difesa dell’occupazione e delle competenze, formazione e potenziamento degli ammortizzatori sociali».

Il segretario ha poi delineato un quadro duro del Paese, «sempre più ingiusto, in violazione dei principi costituzionali». Secondo Landini, «la ricchezza si sta redistribuendo a danno di chi lavora, mentre cresce la concentrazione nelle mani di pochi e aumenta la povertà. Il modello di impresa dominante non si fonda più sulla qualità e sugli investimenti, ma su appalti e subappalti che cancellano diritti e responsabilità sociali».

Al centro, ha sottolineato, «non c’è più la persona, ma solo il profitto. Si sono indeboliti i contratti collettivi e la precarietà ha invaso ogni settore. Questa deriva ha portato ai dazi e alla guerra come strumento di equilibrio tra Stati. Per questo la nostra manifestazione si chiama Democrazia al lavoro: perché oggi è la democrazia stessa ad essere in crisi, insieme al lavoro che è diventato povero e instabile».

Landini ha chiarito che la critica non si rivolge soltanto all’attuale esecutivo. «Non tutto è colpa del Governo di oggi – ha ammesso –. Anche i tagli alla sanità, ad esempio, derivano da scelte compiute negli ultimi vent’anni. Ma noi non ci limitiamo a protestare: avanziamo proposte concrete e serie».

Una delle questioni centrali, secondo la Cgil, è quella del rapporto tra debito e Pil. «Il Governo vuole scendere sotto il 3%, ma allo stesso tempo destina 23 miliardi di euro a spese militari. Si punta ad arrivare al 5% della spesa complessiva per la difesa, passando da 44 miliardi l’anno a 140 miliardi. È legittimo chiedersi: se queste sono le priorità, quali risorse restano per sanità, scuola e università?».

Altro tema decisivo, quello del fisco. Landini ha denunciato che «tra il 2022 e il 2024, con l’inflazione, gli aumenti di pensioni e salari hanno portato a una maggiore tassazione, non a un beneficio. In tre anni lo Stato ha incassato 25 miliardi in più di Irpef, e il 90% lo hanno pagato lavoratori e pensionati. Chiediamo l’introduzione di un meccanismo automatico che cancelli il fiscal drag, perché oggi chi lavora paga più tasse senza ricevere alcun vantaggio».

Il segretario propone un prelievo sui grandi patrimoni, che garantirebbe nuove entrate per 25 miliardi di euro. «È un problema di giustizia – ha detto –. In Italia, la tassazione su lavoro e pensioni è più alta di quella su profitti, rendite e patrimoni. L’aliquota sui profitti è scesa dal 33 al 24%, e spesso quei profitti non vengono reinvestiti, ma distribuiti agli azionisti. È così che stiamo arretrando anche sul piano industriale: da 33 mesi la produzione cala».

Infine, Landini ha rimarcato che nella legge di bilancio “non c’è un euro di investimento produttivo, salvo quelli del Pnrr e della difesa”. E ha concluso con un appello: «Scendiamo in piazza non per protestare, ma per proporre un modello economico e sociale diverso, ispirato ai principi di giustizia e solidarietà della nostra Costituzione. Serve la volontà politica di cambiare rotta».

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Buonasera24

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Video del giorno

Termini e condizioni

Termini e condizioni

×
Privacy Policy

Privacy Policy

×
Logo Federazione Italiana Liberi Editori