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Taranto
21 Agosto 2025 - 06:01
TARANTO - “Era il 1963 quando, all’età di sette anni, per aiutare la famiglia numerosa (cinque fratelli e altrettante sorelle), iniziai a lavorare nei bar” – così inizia il racconto di Antonio Serio, 69 anni, di cui ben sessantadue trascorsi a portare e poi a preparare caffè e granite, tanto che gli si può attribuire il titolo di decano della categoria. Ora egli si gode la pensione, non mancando di aiutare il figlio, Luca, nella conduzione del suo esercizio in via Anfiteatro, “Caffè Dolce”, a due passi dal ”Bar Cubana”, di sua proprietà fino a una ventina d’anni addietro, uno dei più popolari ritrovi del tifo rossoblu.
La sua storia è un’opportunità per raccontare un pezzetto di storia della nostra città, fra personaggi, luoghi e modi di vivere ormai scomparsi. Senz’altro i lettori più anziani potranno ritrovare in questo un po’ della loro vita di quegli anni lontani, pieni di difficoltà ma anche di speranze e di traguardi raggiunti a prezzo di tanti sacrifici.
“Eravamo dieci figli nella nostra abitazione in via San Martino, in Città Vecchia, e i soldi non bastavano mai. Perciò papà mi mandò subito a lavorare come garzone” – racconta. Il suo primo impiego fu al bar di uno dei più popolari personaggi del quartiere, Agostino Pastore, detto “Agustine ‘u cinèse”, in via Duomo, nei pressi della chiesa di Santa Caterina. “Il titolare, uomo di una certa autorevolezza – rammenta – girava solo in Vespa in quanto senza patente, ma all’occorrenza aveva a disposizione un autista per la sua Alfa Romeo. Nel suo bar lavoravo dalle 6 del mattino fino alle 14. Poi andavo a scuola, alla ‘Consiglio’, dove rimanevo fino alle 16.30. Quindi, daccapo a portare le ordinazioni fino a mezzanotte. Il tutto, per 500 lire alla settimana, quando il caffè costava appena 40 lire. La clientela non era, per così dire, di alto livello, spesso impegnata in interminabili partite a ‘padrone e sotte’ con le birre”.
“Taranto vecchia in quegli anni era particolarmente animata – riferisce – caratterizzata da molte attività commerciali. Gli anziani erano soliti ritrovarsi sedendo in circolo davanti ai portoni. La mattina, poi, un pastore conduceva per i vicoli il suo gregge da cui attingeva latte fresco; tanti gli ambulanti con i loro caratteristici richiami, ricordo ancora quelli del produttore di ‘pampanelle’ e di ‘zi’ Mimine’ che vendeva i biglietti delle lotterie”.
Il suo successivo impegno fu al “Caffè Ladiana”, sempre in via Duomo, con personale più numeroso e qualificato e con una retribuzione più congrua: 4.000 lire al mese.
Ad Antonio toccò poi oltrepassare il ponte girevole per lavorare al bar di Vincenzo Boccuni, in via Cavallotti. “Ormai libero dagli impegni scolastici ero impegnato su due turni: dalle 6 alle 15 e dalle 15 alle 22, guadagnando ben 3.500 lire alla settimana – dice – Iniziai anche a cimentarmi alla macchina del caffè, guadagnandomi presto la fiducia del titolare”.
Nel ’64 eccolo al bar della stazione, allora in gestione a un’azienda di Lecce. “Lo stipendio, 140mila lire al mese, era alquanto elevato rispetto ai precedenti. Mio padre temeva che fossero frutto di attività illecite e contattò il contabile – riferisce –. Al bar si lavorava molto in quanto il traffico ferroviario era intenso. Ma c’erano problemi con la delinquenza, che pretendeva di essere servita senza pagare. Cominciai ad aver paura, tanto che decisi di licenziarmi”.
Sul finire degli anni ’70 ebbi l’occasione di acquistare il Bar Cubana in via Principe Amedeo. “Era un’occasione che non potevo lasciarmi sfuggire, anche se non avevo niente da parte – dice – Ma non mi persi d’animo. Tramite il concessionario Antonio Spina, mi rivolsi ai titolari della ‘Birra Raffo’ per un prestito. Alcuni amici mi aiutarono, assieme a mio nonno, che ritirò parte dei suoi risparmi. Così procedetti all’acquisto e col tempo, e con tanti sacrifici, saldai ogni debito”.
“Con l’aiuto di mia moglie al banco, che fra un caffè e una bibita badava al piccino ancora in fasce, l’esercizio incrementò la clientela, lavorando dalle 6 alle 21. Alle 3 del mattino ero già al mercato ai Tamburi a scegliere i migliori limoni per le granite, che non pochi ricordano fra le più buone in città – ricorda – Nell’82 iniziai a organizzare le trasferte per le partite del Taranto. Ricordo che portai ben 4.000 tifosi a Salerno con due treni, oltre alle trasferte con 12 pullman per Benevento e 8 per Campobasso. Allo stadio non mancava mai lo striscione de ‘I tifosi del Bar Cubana’”.
Nel ’95 il bar si trasferì in via Acclavio angolo via Anfiteatro, dove fu avviata anche la vendita dei biglietti per lo stadio e nel cui soppalco ogni giovedì si svolgevano gli incontri con i calciatori del Taranto.
Di quel periodo Antonio ricorda la sua iniziativa per la statua in memoria di Erasmo Iacovone, realizzata da Francesco Trani e inaugurata nel 2002: fu acquistata con una sottoscrizione pubblica da 30 milioni di lire cui contribuirono perfino dal Brasile.
“Ma l'avanzare dell'età – conclude Antonio Serio – iniziò a farsi sentire. Così feci posto a mio figlio Luca, che oggi prosegue l’attività con ottimi risultati, ai quali contribuisco con la mia ultrasessantennale esperienza”.
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