La coincidenza con la marcia su Roma nell’ottobre 1922 e la probabile formazione del governo delle destre in questi stessi giorni del 2022 darà spunto a una serie di considerazioni del resto già presenti nel dibattito politico e culturale del dopo elezioni. Va dunque sgomberato preliminarmente il campo da ogni possibile paragone storico che tenda anche solo da lontano a delegittimare con impropri e antistorici paragoni i partiti della coalizione guidata da Giorgia Meloni. Cento anni fa il fascismo è andato al potere con un colpo di Stato dopo una sanguinosa guerra civile durata più di due anni che la classe dirigente liberale e il monarca non sono stati capaci di fermare con gli strumenti istituzionali a loro disposizione l’attacco del partito armato. Lo Stato liberale ha così rinunciato al potere che legittima la sua stessa sovranità, cioè quel monopolio della forza da esercitare esclusivamente attraverso le Forze Armate e della Pubblica Sicurezza. Si è così arreso al fascismo, i cui propositi eversivi erano del resto da tempo ben compresi dai più responsabili esponenti del liberalismo. Devo a Simona Colarizi il richiamo al “Corriere della Sera”, dell’8 agosto 1922, dove compare un editoriale senza firma, ma attribuibile a Luigi Einaudi, il futuro presidente della Repubblica democratica italiana, col titolo “I valori morali della tradizione politica. A proposito di dittatura”. Ha ragione Colarizi: a distanza di cento anni rileggerlo è un dovere civile, se si considera che malgrado il passare di un secolo riemergono su una parte della stampa e dell’opinione pubblica non pochi timori su quale strada il futuro governo delle destre si prepara a percorrere. Così come – inutile nasconderlo – si percepisce in qualche angolo del paese il risorgere di tentazioni autoritarie che – lo ripetiamo – non hanno nulla in comune col passato così remoto. Eppure esistono e si legano al clima non certo sereno del paese, oppresso da un’emergenza economica e da una guerra in corso che avvelena gli animi e il confronto politico. Scrive Einaudi: “Lo spettacolo di incapacità offerto dal Parlamento e dal Governo, le agitazioni continue, la guerriglia civile fra partiti ed organizzazioni armate hanno avuto, fra gli altri disgraziati effetti, quello di aver reso popolare in una parte notevole dell’opinione pubblica una parola: «dittatura». Si parla da molti oggi della dittatura come della sola via di salvezza dal disordine e dalla crisi profonda che attraversiamo. Gli uomini ai mali di cui soffrono vogliono trovare un rimedio semplice, preciso, definitivo”. Con questo incipit di Einaudi ci riporta al clima di allora, a quella “guerriglia civile fra partiti ed organizzazioni armate” che non ha alcun corrispondente nell’oggi; ma la disaffezione, la sfiducia nella politica e nei partiti di quei troppi cittadini che, anno dopo anno, non sono andati più a votare, offrono un quadro di crisi profonda della democrazia italiana alla quale in questo ottobre 2022 le destre sono chiamate a dare risposte. E’ necessario che Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia rassicurino innanzi tutto quella base di opinione a loro favorevole nella quale riprende a circolare la domanda dell’Uomo Forte, mascherata magari da un progetto di presidenzialismo. Certo una soluzione da non demonizzare, ma sulla quale si deve necessariamente e con urgenza dare contorni precisi. “Si crede che l’uomo forte, che l’uomo sapiente saprà trarre il Paese dall’orlo della rovina.” - scrive ancora Einaudi - “Mettiamo al posto di quindici ministri provenienti da parti politiche opposte, neutralizzantisi gli uni gli altri, alla mercé continua di un voto politico incerto, impotenti a concepire qualunque piano d’avvenire e più ad attuarlo, costretti a render favori agli elettori ed agli eletti per trascinare innanzi la loro vita quotidiana; mettiamo al posto di questa parvenza di governo un uomo solo, fornito di poteri illimitati per un tempo limitato, il quale possa e sappia proporsi una mèta, il quale sia libero di scegliere a suoi collaboratori i migliori tecnici nei varî rami di governo e noi saremo in grado di arrestarci sulla china spaventevole lungo la quale precipitiamo verso l’anarchia”. Nessuno oggi ha la sfrontatezza di evocare il dittatore, ma abbiamo l’impressione che nell’animo di una parte minoritaria della cittadinanza ci sia questo desiderio inconfessabile che a poco a poco ha dissolto dall’idea della dittatura quella nebbia di terrore e di tirannia da cui era circondata. Si crede che l’uomo forte, che l’uomo sapiente saprà trarre il Paese dall’orlo della rovina. Eppure in questi giorni sulla stampa si sono ripetuti gli appelli alla democrazia e molte sono state le citazioni di Cavour convinto che la peggiore delle Camere è sempre preferibile alla migliore delle anticamere. Ne aggiungiamo un’altra tratta appunto da questo articolo di Einaudi: “la dittatura è il rimedio degli impotenti e degli in capaci”. Questa notazione einaudiana viene smentita dai futuri governanti del centro destra che anzi insistono sulla competenza degli uomini e delle donne i cui nomi saranno sottoposti al capo dello Stato per la nomina di ministri: uomini e donne giovani tratti dalla vita vissuta, che faranno marciare le ferrovie; licenzieranno gli inetti…E la macchina funzionerà di nuovo. Ovviamente i problemi da affrontare sono assai più complessi; un secolo fa Einaudi li elencava così: il disavanzo, le imposte, il cambio, il latifondo, la giustizia. Problemi tutti attualissimi anche oggi, ai quali al posto del latifondo forse sarebbe più opportuno iscrivere il Mezzogiorno, e aggiungere quanto meno la crisi energetica e la guerra. Proprio perché il compito delle destre è così arduo, e la spartizione in Parlamento delle presidenze è avvenuta solo tra le componenti della maggioranza, vale ricordare anche un’altra osservazione di Einaudi che è un invito al dialogo maggioranza – opposizione: l’uomo di governo si fa governando gli uomini, discutendo con gli avversari, cercando di convincerli del loro errore e rimanendo anche persuaso dagli avversari della necessità di mutare parzialmente la propria strada. L’unica garanzia di salvezza contro l’errore, contro il disastro non è la dittatura; è la discussione. E’ questa la sola strada per salvaguardare la legalità costituzionale e difendere lo Stato democratico. Governare è un processo complesso:si governano le istituzioni; si governano i movimenti. Saggezza politica vuole che queste diverse responsabilità non passino dalla dialettica al conflitto;che la diversità degli interessi non blocchi la governabilità. Una nuova classe dirigente,di maggioranza e di opposizione, si legittima così.
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