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Cause di non punibilità nei reati tributari: tra diritto penale e diritto tributario dopo la Riforma Cartabia

Come cambia l’approccio dello Stato verso le violazioni fiscali e le strategie difensive più efficaci dopo le ultime novità normative

Il parere legale

Novità per i reati fiscali: più spazio alla collaborazione e meno sanzioni

La materia dei reati tributari costituisce da sempre un punto d’intersezione tra diritto penale e diritto tributario, un ambito ibrido in cui le due discipline si contaminano reciprocamente, generando talvolta incertezze applicative. Il rapporto tra la rilevanza penale della condotta e l’estinzione del debito tributario continua a rappresentare uno dei temi più discussi, poiché l’eliminazione dell’illecito fiscale incide direttamente sulla punibilità penale e sulla stessa funzione del diritto penale come extrema ratio rispetto alle violazioni dell’obbligazione tributaria.

Con la Riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022), il legislatore ha indirettamente modificato l’assetto della responsabilità penale tributaria, intervenendo su un istituto generale di diritto penale sostanziale: l’art. 131-bis c.p., relativo all’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. La nuova formulazione estende infatti l’applicazione dell’istituto a tutti i reati puniti con pena edittale minima non superiore a due anni di reclusione. Tale ampliamento riguarda da vicino i delitti di omesso versamento, in particolare quelli previsti dagli artt. 10-bis e 10-ter del d.lgs. 74/2000, che rientrano nei limiti edittali individuati dalla riforma. Si tratta, in sostanza, di una modifica che rafforza la possibilità di ricorrere a strumenti deflattivi e riparatori, coerenti con una visione moderna del diritto penale tributario improntata alla funzione di stimolo alla compliance fiscale più che alla mera repressione.

In questi casi, chi difende imputati di reati tributari può trovarsi di fronte a due differenti cause di non punibilità: da un lato quella generale di cui all’art. 131-bis c.p., dall’altro quella specifica dell’art. 13 del d.lgs. 74/2000, che esclude la punibilità se, prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario – comprensivo di imposte, sanzioni e interessi – è stato integralmente estinto, anche tramite gli strumenti deflattivi previsti dall’ordinamento tributario, come l’adesione o l’accertamento con adesione. Tale previsione, ispirata a finalità di recupero e reintegrazione del danno erariale, esprime un evidente bilanciamento tra esigenze punitive e interessi finanziari dello Stato.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12220 del 25 marzo 2024 (Sez. III), ha chiarito che l’art. 13 trova applicazione solo per i reati in materia di versamento (artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater), mentre per i reati dichiarativi o di frode (artt. 2, 3, 4 e 5) resta operante la causa di non punibilità legata al ravvedimento operoso, purché l’autore del reato abbia estinto il debito tributario prima di avere conoscenza di attività ispettive o procedimentali in corso. È frequente, nella prassi, che il contribuente aderisca a procedure di definizione agevolata o a piani di rateizzazione con l’Agenzia delle Entrate. In tali ipotesi il giudice può, in fase iniziale, concedere un termine per il completamento del pagamento residuo, riconoscendo la rilevanza di una condotta riparatoria post factum. Tale apertura rappresenta una tendenza del sistema a privilegiare comportamenti collaborativi e di effettivo ristoro del danno rispetto a una logica meramente sanzionatoria.

La combinazione tra l’ampliamento dell’art. 131-bis c.p. e la disciplina premiale dell’art. 13 del d.lgs. 74/2000 ha prodotto un sistema più flessibile e, complessivamente, più favorevole per l’imputato rispetto al passato. Tuttavia, le due ipotesi di non punibilità non sono equivalenti: la particolare tenuità del fatto presuppone comunque l’accertamento della responsabilità penale e comporta l’iscrizione nel casellario giudiziale, mentre l’estinzione del debito ai sensi dell’art. 13 elimina integralmente il reato e i suoi effetti, senza lasciare traccia. Quest’ultima rappresenta dunque una forma di estinzione del reato pienamente satisfattiva per l’ordinamento, perché realizza la finalità riparatoria del diritto penale tributario e ristabilisce l’equilibrio tra contribuente e fisco.

In una prospettiva sistematica, la riforma segna un ulteriore passo verso una concezione del diritto penale economico in chiave di proporzionalità e funzionalità, dove la sanzione non è più il punto di arrivo necessario ma uno strumento residuale, subordinato alla possibilità di riparare concretamente l’offesa. Per l’avvocato penalista che opera in questo settore, ciò comporta la necessità di orientare la difesa non solo sulla ricostruzione del fatto e sull’elemento soggettivo, ma anche sulla strategia di collaborazione con l’Amministrazione finanziaria e sulla tempestiva definizione del debito. In definitiva, la via dell’adempimento integrale rimane la più efficace e deflattiva, capace di neutralizzare completamente la pretesa punitiva e di chiudere il procedimento senza strascichi giudiziari o reputazionali, realizzando quella sintesi tra diritto penale e diritto tributario che da anni costituisce la vera sfida di questo complesso settore.

e-mail: avv.mimmolardiello@gmail.com  
sito: www.studiolegalelardiello.it

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