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Sentenze penali e processo tributario: art. 21-bis D.L. 74/2000, autonomia, limiti e nuove prospettive

La Cassazione delinea nuovi equilibri tra sfera penale e ambito fiscale, tracciando i criteri con cui il giudice deve valutare i fatti d’imposta

Il parere legale

Il caso pone un nodo fondamentale: fino a che punto il giudice tributario può (o deve) conformarsi all’esito di un giudizio penale favorevole al contribuente?

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 21594/2025 riporta l’attenzione sul complesso rapporto tra giudizio penale e processo tributario, in particolare quando la sentenza di assoluzione penale riguarda gli stessi fatti oggetto dell’accertamento fiscale. Il caso, apparentemente tecnico, pone invece un nodo fondamentale: fino a che punto il giudice tributario può (o deve) conformarsi all’esito di un giudizio penale favorevole al contribuente?

Il caso: assoluzione penale e accertamento fiscale

Tutto ha origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di una società in accomandita semplice, per l’anno 2003, in relazione ad IVA e IRAP, con contestazione di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e abuso del regime del margine.
La società, tuttavia, aveva ottenuto in sede penale una assoluzione piena del proprio legale rappresentante, con la formula “il fatto non sussiste”, per gli stessi fatti oggetto del processo tributario. La Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva quindi valorizzato tale esito penale assolvendo la società sul piano fiscale, ritenendo inoltre sussistente la buona fede del contribuente, anche in virtù della regolarità apparente della controparte commerciale (struttura esistente, uffici, personale, iscrizione alla Camera di Commercio).
L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la decisione, contestando alla CTR un’acritica adesione alla sentenza penale, fondata su circostanze irrilevanti in ambito tributario (es. regolarità formale delle fatture e congruità dei prezzi). Secondo il ricorrente, la sentenza ignorava le risultanze del processo verbale di constatazione (P.V.C.) e non valutava adeguatamente gli elementi indiziari dell’inesistenza soggettiva del fornitore.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ribadendo un principio ormai consolidato: la sentenza penale di assoluzione non ha efficacia vincolante automatica nel processo tributario. Anche l’assoluzione con formula piena (“il fatto non sussiste”) non preclude all’Amministrazione finanziaria di contestare i medesimi fatti in sede fiscale, né vincola il giudice tributario, che deve procedere a una valutazione autonoma delle prove.
L’art. 654 c.p.p., che disciplina l’efficacia extrapenale del giudicato penale, limita tale efficacia alle sole parti civili e ai medesimi fatti storici, ma non estende alcun vincolo al giudizio tributario, che resta regolato da criteri probatori autonomi (Cass. nn. 27814/2020, 28174/2017, 10578/2015).

Tuttavia, il quadro normativo si è recentemente evoluto. Il D.Lgs. 87/2024 ha introdotto l’art. 21-bis nel D.Lgs. 74/2000, rubricato “Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario”. Tale norma attribuisce efficacia di giudicato alla sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata dopo dibattimento, per le sole formule “il fatto non sussiste” o “l’imputato non lo ha commesso”, ma limitatamente ai fatti materiali e solo in ambito sanzionatorio.

Non sono dunque comprese:

• le sentenze emesse all’esito di riti alternativi (come il giudizio abbreviato),

• le assoluzioni per formule diverse,

• i provvedimenti di archiviazione,

• le sentenze di condanna o di applicazione della pena su richiesta (art. 444 c.p.p.).

È essenziale, inoltre, che vi sia identità dei fatti materiali, intesi come nucleo oggettivo del reato (condotta, evento e nesso di causalità), nella loro concretezza fenomenica.

La Cassazione chiarisce che l’art. 21-bis si applica esclusivamente al profilo sanzionatorio. Per quanto riguarda l’accertamento dell’imposta, il giudice tributario non è vincolato dalla sentenza penale, ma deve valutarla come elemento di prova tra gli altri, ai sensi del combinato disposto degli artt. 20 D.Lgs. 74/2000 e 654 c.p.p.

Ne deriva una distinzione netta:

• Per le sanzioni, se la sentenza penale rientra nei limiti dell’art. 21-bis, è vincolante;

• Per le imposte, la sentenza penale ha valore solo indiziario, e il giudice deve confrontarla criticamente con tutti gli altri elementi probatori (es. P.V.C., documentazione contabile, testimonianze, ecc.).

Nel caso oggetto della decisione n. 21594/2025, la sentenza penale di assoluzione era stata emessa all’esito di giudizio abbreviato, e pertanto non ricadeva nel campo di applicazione dell’art. 21-bis.

Di conseguenza, la Cassazione ha censurato l’approccio della CTR, che aveva accolto acriticamente le conclusioni del giudice penale, senza confrontarle con gli elementi specifici del processo tributario.

La sentenza è stata quindi annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di giustizia tributaria di secondo grado, affinché proceda a un nuovo esame, applicando correttamente i principi sull’autonomia valutativa e sull’onere della prova.

La pronuncia in esame ribadisce una regola fondamentale nel contenzioso tributario: il giudizio penale non assorbe né determina quello fiscale, se non nei limiti rigorosi delineati dalla legge. È dunque onere del giudice tributario esercitare una valutazione critica e autonoma, senza cedere alla tentazione di trarre conclusioni automatiche dall’assoluzione penale.

In un contesto in cui la lotta all’evasione fiscale si affianca al rispetto delle garanzie difensive, l’equilibrio tra i due giudizi resta un terreno delicato, dove tecnica giuridica e sensibilità interpretativa devono coesistere.

E la sentenza 21594/2025 ci ricorda che la scorciatoia dell’“automatismo” non è una via percorribile.

e-mail: avv.mimmolardiello@gmail.com  
sito: www.studiolegalelardiello.it

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