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Il commercialista
27 Agosto 2024 - 06:28
Avvocati e idraulici
Non si tratta più di una battuta popolare, con estremo rispetto per la categoria professionale degli avvocati e quella artigianale degli idraulici, ma del Report stilato da CGIA di Mestre sul drastico calo delle imprese artigiane che mette a rischio la gestione contributiva INPS e quella dei servizi di riparazione e manutenzione.
Se nel 2012 in tutta Italia gli artigiani del settore manutentivo erano poco meno di 1.867.000 unità, nel 2023 la platea complessiva è crollata di quasi 410mila soggetti (-73mila solo nell’ultimo anno). Ad oggi il numero totale sfiora quota 1.457.000 unità secondo una stima che la CGIA ha realizzato dai dati INPS ed Infocamere, prevedendo che se questa tendenza non accennerà a fermarsi, entro 10 anni sarà quasi impossibile fare fronte alle esigenze dei servizi di riparazione in larghe parti del Paese. Incide parzialmente il fenomeno di aggregazione tra imprese ma non eccezionalmente da giustificare alcuni problemi di fondo. La vulgata popolare che vedrebbe il numero di avvocati superiore a quello degli idraulici diventa una certezza: 237 mila i primi, secondo il Rapporto sulla avvocatura 2024 a cura di Cassa Forense, 180 mila i secondi dai dati Infocamere. Le ragioni andrebbero ricercate sotto diversi aspetti, secondo CGIA: lo scarso interesse dei giovani nei confronti del lavoro manuale; la mancata programmazione formativa in molte regioni del Paese e l’incapacità di migliorare i servizi di orientamento scolastico che è rimasto a logiche del secolo scorso.
La contrazione del settore artigianale produce effetti collaterali non di poco conto. Sono in estinzione tante botteghe per le vie cittadine modificando il paesaggio urbano così come avviene con la drastica riduzione delle attività del commercio e di conseguenza si riducono al lumicino attività storiche che ospitano calzolai, corniciai, fabbri, falegnami, fotografi, lavasecco, orologiai, pellettieri e riparatori di elettrodomestici, ma cosa peggiore cade il numero di imprese familiari che costituiscono l’asse centrale per molti servizi artigianali e questo ha effetti gravi in termini fiscali e contributivi. Crescono parallelamente invece altri settori artigiani a minore impatto manuale: acconciatori, estetisti, tatuatosi, sistemisti informatici, web marketer e social media manager. Cresce anche il comparto alimentare specie in città a vocazione turistica.
La chiusura delle botteghe, come quella dei negozi, ha una incidenza sulla sicurezza urbana il cui conto è pagato sistematicamente dalla popolazione anziana che non ha facilità di movimento o che aveva riferimenti di socializzazione nella frequentazione dei locali commerciali cittadini. CGIA prova a ricostruire le cause delle chiusure che sono piuttosto note a tutti: l’invecchiamento della popolazione artigiana a cui non è seguito un sufficiente ricambio generazionale, la feroce concorrenza della grande distribuzione e del commercio elettronico, il boom del costo delle locazioni e delle tasse nazionali e locali. Tutte variabili che vanno sommate al cambiamento radicale delle modalità di acquisto dei consumatori i quali sono spesso indotti a esercitare la cultura dell’usa e getta preferendo un prodotto fatto in serie e consegnato a domicilio piuttosto che un prodotto realizzato a mano o su misura. Certamente la svalutazione culturale del lavoro manuale fa il resto.
Negli ultimi 40 anni il settore del lavoro manuale non ha tenuto sotto il profilo formativo e scolastico perché c’è necessità di robusti investimenti nell’orientamento dei giovani rimettendo al centro del progetto formativo gli istituti professionali i quali in passato sono stati il perno dello sviluppo nel Paese. Oggi sono spesso percepiti come istituti di serie b in cui parcheggiare spesso ragazzi che non hanno predisposizione allo studio oppure ultimo approdo per alunni che provengono da insuccessi scolastici maturati nei licei o nelle scuole tecniche, per conseguire un diploma di scuola media superiore. Le figure più ricercate, secondo il centro studi di Mestre sono gli autisti, gli autoriparatori, i sarti, i pasticceri, i fornai, i parrucchieri, le estetiste, gli idraulici, gli elettricisti, i manutentori delle caldaie, i tornitori, i fresatori, i verniciatori e i batti-lamiera. Senza contare che nel mondo dell’edilizia è sempre più difficile reperire carpentieri, posatori e lattonieri. Più in generale, comunque, l’artigiano di domani sarà colui che vincerà la sfida della tecnologia per rilanciare anche i “vecchi saperi”.
Le province colpite dalla maggiore riduzione delle imprese artigiane sono state in questi anni Torino con -21.873, Milano con -21.383, Roma con -14.140, Brescia con -10.545, Verona con -10.267 e Bergamo con -10.237. Per quanto riguarda le regioni, infine, le flessioni più marcate in termini percentuali hanno interessato l’Abruzzo con il -29,2 per cento, le Marche con il -26,3 e il Piemonte con il -25,8. Ultimo dato, quello di Taranto, dal 2012 al 2023 hanno chiuso 1.175 imprese del settore, circa il 12,6%.
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