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Il commercialista

Pensione anticipata a 63 anni assorbe tutte le opzioni esistenti

Scompare quota 103 che si trasforma in quota 104

Inps

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Con la manovra di bilancio varata dal Governo nei giorni scorsi e che dovrà approdare comunque in Parlamento, le opzioni di uscita anticipata dal mondo del lavoro vengono riunificate in una unica forma flessibile.

Scompare Quota 103 e si trasformerà in Quota 104 che assorbirà anche APE sociale e Opzione Donna con un unico requisito anagrafico che nella maggioranza dei casi sale rispetto quelli attuali. Anche il livello di contribuzione minima varia asseconda dei casi. Sono tuttavia previsti incentivi per rimanere più a lungo a lavoro ed uscire il più tardi possibile. Si parte con l’anzianità contributiva minima che varia per tre tipologie diverse. Per l’uscita anticipata dal mondo del lavoro a 63 anni occorrerà avere almeno 41 anni di contribuzione. Il livello scende a 35 per le donne e a 36 per uomini disoccupati impegnati in attività gravose, caregiver o invalidi. Il Nuovo Strumento Unico di flessibilità in uscita, finanziato da un apposito fondo, assorbe tutte le altre opzioni.

La soglia anagrafica minima di pensionamento comunque sale in ogni caso a 63 anni, un anno in più rispetto al precedente limite inferiore di 62 anni previsto da Quota 103. Scompare anche l’opzione di uscita anticipata prevista da Opzione Donna a 60 anni, che divenivano 59 con un figlio e 58 in presenza di più figli. Tutto questo sempre che in Parlamento la proposta del Governo non venga nuovamente modificata. Il nuovo sistema in uscita sarà accompagnato da una forma di premialità molto simile al Bonus Maroni per coloro i quali resteranno al lavoro e con la quale si lascerà in busta al lavoratore la trattenuta contributiva del 9,19%. Non poco a dire il vero. Verranno attuate poi delle penalizzazioni per chi intenderà uscire con un leggero anticipo, probabilmente sotto forma di tetto nella misura massima di pensione erogabile fino al raggiungimento del requisito di vecchiaia.

Il canale di uscita stabilità dalla legge Fornero non verrà eliminato. Il pensionamento a 42 anni e 10 mesi di versamenti resta aperto per gli uomini e si riduce di un anno per le donne, 41 anni e 10 mesi, a prescindere dall’età anagrafica. Anche per i lavoratori precoci, quelli che abbiano almeno 12 mesi di contribuzione effettiva prima del compimento dei 19 anni, resta aperta la soglia di accesso alla pensione al compimento dei 41 anni di contribuzione. Non cambia inoltre il requisito di uscita previsto dalla legge Fornero nel sistema di pensionamento di vecchiaia, che viene confermato a 67 anni di età e almeno 20 anni di contribuzione. Per i contributivi puri i sono ulteriori novità. Con la manovra varata dal governo il pensionamento di vecchiaia diventa più facilmente accessibile ai lavoratori interamente «contributivi» (quelli privi di contribuzione fino al 31 dicembre 1995). Dal prossimo anno scomparirà il requisito relativo all’importo minimo della pensione maturata (cosiddetto «importo soglia»), pari a 1,5 volte l’assegno sociale (nel 2023 745,91 euro) per il diritto all’uscita all’età di 67 anni.

Dovrebbe invece rimanere il vincolo di 2,8 volte l’assegno sociale per i lavoratori «contributivi» che decidono di utilizzare la via d’uscita alla soglia dei 64 anni. Il cantiere della riforma del sistema pensionistico e di uscita dal mondo del lavoro va di conseguenza razionalizzandosi in una soluzione unitaria e si accompagna di pari passo con la riforma del sostegno ai lavoratori esclusi dal sistema produttivo attraverso la revisione del Reddito di Cittadinanza, ormai in via di cessazione. Il tema contributivo inevitabilmente si intreccia con quello produttivo e sulla creazione di opportunità di lavoro. Dai dati pubblicati da INPS lo scorso 19 ottobre e con riferimento al rapporto tra assunzioni e licenziamenti in Italia si rilevano alcune informazioni importanti. Complessivamente le assunzioni attivate dai datori di lavoro privati fino a luglio di quest’anno sono state 5.063.000, in leggerissima flessione rispetto allo stesso periodo del 2022 (-0,6%).

Tale flessione è dovuta agli andamenti delle assunzioni di contratti in somministrazione (-7%), a tempo indeterminato (-6%) e in apprendistato (-3%). Per le altre tipologie contrattuali si registra una leggera crescita: lavoro intermittente +3%, stagionali +2% e tempo determinato +2%. Le trasformazioni da tempo determinato nel corso nei primi sette mesi del 2023 sono risultate 471.000, in aumento rispetto allo stesso periodo del 2022 (+5%). Contemporaneamente le conferme di rapporti di apprendistato giunti alla conclusione del periodo formativo sono risultate in flessione (-18%). Le cessazioni fino a luglio del 2023 sono state 3.909.000, in diminuzione rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (-2%). Concorrono a questo risultato i contratti a tempo indeterminato (-7%), i contratti in somministrazione (-7%) e i contratti in apprendistato (-5%). In controtendenza risultano i contratti a tempo determinato (+1%), i contratti stagionali (+3%) e quelli di lavoro intermittente (+3%). Insomma c’è ancora molto da fare su questo fronte.

Francesco Andrea Falcone
Dottore Commercialista - Revisore Legale

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