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Imprese&Lavoro

Arsenale, Fincantieri commissaria Taranto

Aziende del territorio esautorate e relegate ai margini

Arsenale

L'ingresso dell'Arsenale della Marina Militare di Taranto (foto d'archivio)

Il dibattito sul concorso flop in Arsenale ha acceso i riflettori sulla realtà dello stabilimento della Difesa, un tempo fiore all’occhiello dell’economia di terra ionica. È nota la situazione che si registra tutt’oggi nell’opificio ionico dopo che Nave Cavour è stata trasferita ai cantieri navali di Palermo dove viene sottoposta, nello stabilimento Fincantieri, a lavori di manutenzione nel bacino di carenaggio.

Un grido d’allarme rimasto inascoltato quello sollevato da alcuni parlamentari e da alcune associazioni di categoria. Uno scippo, l’ennesimo, che non è stato sventato. La realtà è che ad oggi i bacini dell’arsenale ionico sono vuoti. Il tutto ai danni delle imprese locali, delle maestranze e dell’economia del territorio.

Eppure le premesse che ruotavano attorno a Fincantieri, il più importante gruppo navale europeo, sugli investimenti che avrebbe compiuto a Taranto erano più che incoraggianti.

Nel 2020 un’inchiesta della magistratura si è abbattuta sulle aziende locali, inchieste che ad oggi non hanno fatto piena luce sulle presunte responsabilità che vengono contestate.

Inchieste che, fatto salvo il dovere di acclarare la verità dei fatti, rischiano di far deflagrare un intero sistema. Come già accaduto con la maxi inchiesta che nel 2012 ha travolto lo stabilimento ex Ilva e con esso l’intero sistema economico del territorio.

La realtà è che oggi Fincantieri domina con le sue aziende partner il territorio ionico dimostrandosi molto restia ad impegnare nelle sue attività le imprese locali, preferendo di gran lunga affidare le commesse ad aziende del Centro-Nord.

Sono tante le aziende del Nord che, ad oggi, si stanno trasferendo a Taranto ad occupare posizioni un tempo occupate da realtà nostrane.  Fincantieri continua ad utilizzare lavoratori provenienti da altri territori senza considerare le professionalità locali del settore. Un altro danno economico e soprattutto sociale ai danni della realtà ionica già provata da annose e drammatiche vertenze.

Basta fare un salto indietro nel tempo e rammentare l’esperienza che Taranto ha  già subìto ai tempi degli ex Cantieri Navali, un’importante realtà industriale, ai quali subentrò Fincantieri con una propria società che nel 1982 divenne Sebm, Società Esercizio Bacini Meridionali. Nel 1984, venne totalmente inglobata nel gruppo Fincantieri.

In quella circostanza, per quanto ci risulta, Fincantieri dopo alcuni anni di attività, perdurando la crisi di nuove costruzioni e/o riparazioni navali di una certa importanza, trovò il modo di svincolarsi da Taranto trasferendo attività e personale (circa 300 dipendenti) ad altra società probabilmente partner.

Il resto è storia - e le organizzazioni sindacali ed istituzioni locali dovrebbero ricordarselo - perché è noto che, dopo 2/3 anni anche questo passaggio risultò fallimentare.

I cantieri navali di Taranto, cessarono definitivamente l’attività il 31 dicembre 1990.

La storia sembra ripetersi drammaticamente nel silenzio totale da parte dei sindacati a cui, del resto, interessano i livelli occupazionali che, continuano ad essere garantiti da aziende del Nord. Non si intravede evidentemente la necessità di agitare lo spauracchio dell’emergenza occupazionale.

Intanto Taranto muore, lo stabilimento ex Ilva è nella paralisi quasi totale, l’Autorità Portuale, unica in Puglia, ha registrato dati relativi alla movimentazione delle merci da profondo rosso mentre rischia la chiusura a causa della proposta di creare un’unica Authority in Puglia.

E il concorso flop? Il dato che emerge dal risultato della prova scritta rischia di confutare le nostre tesi: l’Arsenale di Taranto rischia, forse con una sapiente regia, di essere colonizzato.

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