A seguito della nuova denominazione del Ministero dell’istruzione in Ministero dell’istruzione e del Merito si è sollevato un dibattito per alcuni aspetti interessante e per altri addirittura insignificante e stucchevole perché ridondante e tautologico. Gli interventi più interessanti apparsi sulla stampa nazionale sono quelli che affrontano la delicata questione “Scuola” non da un punto di vista esclusivamente ideologico e contrappositivo (sono di “sinistra” e dico no, sono di “destra” e dico sì), ma che analizzano il perché si debba o meno parlare del “merito” e soprattutto se fosse necessario sottolinearlo inserendolo come specificazione aggiuntiva di un Ministero. Intendo con questo mio intervento riportare le lancette all’indietro per discutere di un tema così importante, analizzandolo sia storicamente sia sul piano della funzione pubblica dell’istruzione. E veniamo all’aspetto storico (la storia ci aiuta sempre a guardare secondo il vichiano Verum ipsum factum). Il Ministero della pubblica istruzione è stato istituito nel 1847 da Re Carlo Alberto con il nome di Segreteria di Stato per la pubblica istruzione in sostituzione del cosiddetto “Magistrato della Riforma”. Mantenne la denominazione di Ministero della pubblica istruzione con la costituzione del Regno d’Italia (1861) e fu soppresso il 12 settembre 1929 dal governo Mussolini, che lo sostituì col Ministero dell’Educazione Nazionale. Questa denominazione venne mantenuta anche dopo la caduta di Mussolini con il governo Badoglio, ovvero fino al 29 maggio 1944. Il governo Bonomi II riportò il dicastero alla denominazione originaria, Ministero della Pubblica Istruzione. Così rimase fino al 1988 (nel 1974 il Governo Moro IV creò il Ministero per i beni culturali e l’ambiente sottraendo al Ministero della pubblica istruzione alcune competenze e funzioni) anno in cui al Ministero della pubblica istruzione si affiancò il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (MURST). In ottemperanza alla L. Bassanini (D. Lgs. n. 300/1999), i Governi Berlusconi II e Berlusconi III nuovamente fecero confluire tutto nel Ministero della Pubblica Istruzione, Università, Ricerca Scientifica e Tecnologica. Nel 2006 il Governo Prodi II divise ancora scuola e università ricostituendo il Ministero della pubblica istruzione e il Ministero dell’università e della ricerca. Con la legge finanziaria 2008, governo Berlusconi IV, le due strutture ministeriali furono di nuovo accorpate in unico dicastero. Con il governo Conte II (2020) i ministeri diventano di nuovo due: il Ministero dell’Istruzione (MI) e Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR). Come si può facilmente constatare da questa sintetica ricostruzione, al di là della necessità o meno di tenere unite scuola e università, ciò che dovrebbe più di ogni cosa risaltare è l’aver tolto al Ministero dell’istruzione la qualifica di “pubblica Istruzione”. Secondo me questo aspetto non è secondario soprattutto se poi lo leghiamo al “merito”. Mi spiego: la costituzione all’art. 33 così recita “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. Come si può notare, è la Repubblica che detta norme generali e istituisce scuole, lo possono fare anche i privati ma nell’esplicare una funzione pubblica, ovvero agendo sul piano istruttivo all’interno del sistema nazionale di istruzione. Quindi, non è solo lo Stato l’unico erogatore della funzione pubblica perché quest’ultima può essere esercitata anche da privati, ma sempre all’interno delle leggi statuali. Che c’entra tutto ciò con il “merito”? Cerco di spiegarmi. Se lo stato e i privati svolgono funzione pubblica per garantire l’istruzione, allora entrambi, e per i primi è ovvio, mentre per i secondi non lo è, devono rispondere ad un altro articolo della costituzione, l’art. 34 secondo il quale “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Il merito è, dunque, già riconosciuto nella Costituzione la quale, però, tende ad una scuola per tutti e di ciascuno, una scuola che rende effettivo un altro principio presente nell’art.3, ovvero: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Come si vede, il problema non è merito si, merito no. Si tratta, invece, di garantire a tutti l’accesso all’istruzione e in più favorire con leggi ad hoc coloro che per merito intendono raggiungere i più alti gradi di istruzione. Non è, quindi, tanto sul merito che bisogna discutere, quanto sulla funzione pubblica che gli erogatori di istruzione devono esercitare per garantire una scuola per tutti e possibilmente di qualità. Ma su quest’ultimo aspetto tornerò in altra occasione. Per ora mi limito a chiedere che si faccia pressione affinché il Ministero ritorni ad essere Ministero della pubblica istruzione. Riccardo Pagano Professore Ordinario Università degli studi di Bari
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