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Giovanni Pascoli e Marilyn Monroe: due anime simili e tormentate

Marilyn Monroe

Marilyn Monroe

Sono passati 110 anni dalla morte di Giovanni Pascoli e quasi 60 dalla morte di una delle donne più famose in tutto il mondo: Marilyn Monroe. Perché associare queste due figure che apparentemente non hanno nulla in comune? La risposta è semplice, è sufficiente esaminare la loro essenza, i segreti della loro anima. Infatti, si tratta di personaggi celebri non solo per i loro talenti straordinari ma anche perché accomunati da un animo tormentato. Pascoli, esponente della letteratura decadente, ha subito sin da piccolo delle tragedie familiari che lo hanno sconvolto. In primis, perde la figura paterna, il padre viene ucciso, fucilato da due sicari ignoti; assiste poi alla disgregazione completa del nucleo familiare quando purtroppo si spengono le vite di sua madre e del resto delle sorelle. Una famiglia così numerosa che viene distrutta. Questo dolore diventa protagonista dei suoi principali componimenti. Basti pensare alla lirica intitolata “Lampo”, caratterizzata da un evidente valore simbolico, poiché racconta, attraverso metafore evocative di un paesaggio sconvolto dal temporale, la morte del padre di Pascoli, già ricordata in X Agosto. Questo intento simbolico appare negli ultimi versi del componimento, dove un occhio si apre per l’ultima volta, sgomento, davanti alla consapevolezza dell’abisso. Non sono le uniche liriche in cui viene rappresentato il dolore. Celebre è anche “Novembre”, in cui l’iniziale atmosfera primaverile (il profumo degli alberi, la luce del sole, gli albicocchi) nasconde una natura illusoria perché cela dietro di sé la triste immagine della morte. Rami stecchiti che ricordano scheletri, terreni sterili, le foglie che cadono dagli alberi, il silenzio logorante. Attraverso la sua produzione, l’autore rivela i momenti più difficili della sua vita, ma soprattutto l’impossibilità di andare avanti, di realizzare un futuro migliore. “Il Gelsomino notturno” in particolare descrive questo legame viscerale con i parenti ormai morti. Infatti è possibile notare la contrapposizione tra le immagini del rito sessuale e quelle dei suoi familiari che ormai non ci sono più. È come se l’autore si fosse cristallizzato e intrappolato nella condizione infantile, mostrando questo rapporto così morboso, geloso che gli impedisce di vivere la sua vita. Non sarebbe mai capace di generare un nuovo nucleo al fianco di un’altra donna, lo vedrebbe come un tradimento. Sebbene abbiano condotto delle vite totalmente diverse, Marilyn Monroe è ferita dalle stesse cicatrici, vivendo così un’esistenza segnata da instabilità e dall’assenza di un nucleo familiare. La stella del cinema è nata il 1° giugno 1926 a Los Angeles (Stati Uniti), figlia naturale di Gladys Baker, una montatrice cinematografia e C. Stanley Giffert, panettiere che riuscì a diventare un produttore e regista. Venne però data in adozione a sole sei settimane di vita. Gran parte della sua infanzia l’ha passata tra case famiglie affidatarie e orfanotrofi. Il padre l’aveva abbandonata e la madre venne ricoverata in un ospedale psichiatrico con sintomi di depressione. Fu dunque affidata a diverse famiglie dove subì violenze e disattenzioni. Ricorda anche un episodio di molestie sessuali subite da parte del sig. Kinnell. Si confida dell’accaduto con la propria madre, ma non trova alcun conforto in lei. La donna, al contrario, la accusa di avere avuto un atteggiamento provocante con il suo molestatore. Sarà difficile dimenticare la sua espressione ferita non solo per gli abusi che ha subito ma anche per la triste solitudine, nessuno era disposto ad ascoltarla e supportarla. Norma venne traumatizzata anche da continui comportamenti violenti della madre, che pare avesse tentato di ucciderla per ben tre volte. Così in giovane età, proprio come Giovanni Pascoli, guarda con distacco alla devastazione del suo nucleo familiare: una madre mentalmente instabile e trascurante; un padre che si è smaterializzato; la totale mancanza di figure adulte e genitoriali che la proteggessero, la ascoltassero e provvedessero ai suoi bisogni di bambina. E così, come lo stesso Pascoli, anche Marilyn rimane un’eterna bambina e non è capace di muoversi in un mondo così crudele. Si tratta proprio del fanciullino di cui tanto si è sentito parlare nella poetica di Giovanni. Un fanciullino, una creatura ancora pura, sensibile, vitale, non incatenata dai meccanismi della razionalità. Per questa sua naturalezza nell’essere, il fanciullino entra in contatto col mondo attraverso l’immaginazione, l’intuizione, e può dunque conoscere il mondo che lo circonda in modo autentico, genuino. Quella della donna sexy ed attraente era solo una maschera che nascondeva una bambina con meravigliosi occhi velati dall’amarezza. La sua infanzia segnata dall’abbandono condizionò il suo disperato bisogno di amore, che ricercava in continuazione in uomini egoisti che in lei invece vedevano solo un trofeo o una facile conquista sessuale. La sua non era altro che la ricerca di una figura paterna che non ha mai avuto, un uomo che potesse proteggerla e darle le attenzioni di cui non ha goduto in giovane età. Giovanni Pascoli e Marilyn Monroe ci permettono di riflettere sulla fragilità dell’essere umano.
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