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Taranto

Ex Ilva, “Se non ci credono gli industriali italiani, perché dovrebbero farlo gli stranieri?”

Il segretario generale di Confartigianato Fabio Paolillo chiede una scelta netta sul futuro della siderurgia nazionale e la costruzione di una cordata interamente italiana. Per l’associazione, il mercato dell’acciaio non soffre la crisi di Taranto

L'ex Ilva

L'ex Ilva

TARANTO - Il tema del futuro dell’ex Ilva continua ad essere al centro del dibattito con un duro intervento di Confartigianato Taranto, che mette in discussione l’atteggiamento dei grandi gruppi industriali italiani e la mancanza di una strategia chiara sul destino della siderurgia nazionale. Nel comunicato firmato dal segretario generale Fabio Paolillo, l’associazione evidenzia che, nonostante l’emergenza industriale in corso, nessun grande attore italiano della finanza e dell’industria ha manifestato un impegno concreto per il rilancio dello stabilimento, ponendo un interrogativo decisivo: perché investitori esteri dovrebbero credere in Taranto se l’Italia per prima non mostra fiducia?

Secondo Confartigianato, lo scenario reale è quello di un impianto che rischia di essere trascinato ancora a lungo con interventi provvisori, senza affrontare il nodo strutturale: chi guiderà la siderurgia italiana nei prossimi anni. Nel documento si afferma che, se davvero la prospettiva è quella di un impianto ambientalizzato e decarbonizzato come fulcro nazionale, il sostegno dovrebbe essere immediato e evidente. Invece, osserva l’associazione, mancano segnali concreti, tanto che dall’estero non arrivano proposte solide perché “a quei livelli nessuno fa beneficenza”.

Confartigianato insiste su un punto ritenuto centrale: solo una cordata industriale italiana potrebbe salvare la siderurgia nazionale, poiché interessi e strategie estere – come dimostrato anche dalle esperienze precedenti – considererebbero Taranto più come un concorrente da indebolire che come un asset da potenziare. Nel comunicato si aggiunge che molti osservatori riterrebbero più logico costruire un impianto nuovo e moderno altrove, piuttosto che continuare a intervenire sull’attuale stabilimento.

L’associazione richiama poi l’attenzione su un dato considerato spesso sottovalutato: il drastico calo della produzione a Taranto non ha creato squilibri nel mercato nazionale. La domanda interna è rimasta stabile e la produzione siderurgica in Italia risulta in crescita, elemento che all’estero viene interpretato come segnale del fatto che l’impianto tarantino non è più considerato determinante.

Il nodo più critico, rileva Confartigianato, riguarda la forza lavoro, giudicata oggi sproporzionata rispetto alle esigenze del settore: le stime citate indicano circa 3.000 dipendenti necessari, molto meno dell’attuale organico. Un quadro che, secondo l’associazione, scoraggia qualsiasi acquirente serio.

Il comunicato mette anche in guardia dal rischio di uno “spezzatino” degli impianti, rafforzato dagli elementi emersi nell’ultimo bando di gara, con la prospettiva di lasciare Taranto in condizioni di totale marginalità. Confartigianato chiede dunque al Governo di avviare un confronto concreto per una soluzione nazionale, con investimenti vincolati ad ambiente, sicurezza e sostegno all’indotto.

Un passaggio finale riguarda proprio l’indotto, definito un punto non più rinviabile: la ripartenza dovrà aprire forniture e servizi all’intera imprenditoria locale, compresi trasportatori e microimprese, superando ogni precedente sistema chiuso.

Il comunicato si chiude con un appello diretto: decidere una volta per tutte se l’Italia crede davvero nella siderurgia e nel ruolo di Taranto. Perché, conclude Paolillo, “se non ci credono gli industriali italiani, non possiamo pretendere che ci credano gli stranieri”.

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