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Taranto

Ricorso al Tar contro l’Aia per l’ex Ilva. Le sette associazioni: “Autorizzazione illegittima e inadeguata”

Contestata la decisione del Governo di prolungare per 12 anni la produzione a carbone. Nel ricorso si richiama anche la recente sentenza della Corte di Giustizia UE e si solleva la questione di legittimità costituzionale dei “decreti salva Ilva”

Ex Ilva

Ex Ilva

TARANTO – Sette associazioni tarantine hanno impugnato davanti al Tar di Lecce l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) che consente la prosecuzione dell’attività siderurgica a combustione fossile nello stabilimento ex Ilva. L’iniziativa giudiziaria, firmata da Medici per l’Ambiente ISDE Italia, Genitori Tarantini, Giustizia per Taranto, PeaceLink, Ambiente e Salute per Taranto, Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti e Lavoratori Metalmeccanici Organizzati, contesta la legittimità e l’adeguatezza del provvedimento rispetto al contesto ambientale e sanitario del territorio.

Nel ricorso si ricorda che Taranto è stata definita dall’Onu “zona di sacrificio” e “peso sulla coscienza collettiva dell’umanità”, proprio a causa dell’impatto della produzione a combustione fossile. Le associazioni sostengono che questa sia la prima AIA concessa in Italia dopo la dichiarazione di emergenza climatica ed ecologica in Europa, e che il provvedimento non tenga conto dei nuovi obblighi in materia di decarbonizzazione e tutela ambientale, riconosciuti anche dalla Regione Puglia dal 2019.

Secondo i promotori del ricorso, l’autorizzazione approvata dal Governo “ignora volutamente il mutato quadro giuridico internazionale e le decisioni delle corti europee e nazionali”, che negli ultimi anni hanno individuato parametri stringenti per la compatibilità tra attività industriale e tutela dei diritti umani e ambientali.

La Corte Europea dei Diritti Umani, ricordano le associazioni, ha stabilito che gli Stati devono possedere specifici criteri di valutazione prima di autorizzare la prosecuzione di produzioni a carbone o altre forme di combustione fossile, alla luce degli obiettivi climatici dell’Accordo di Parigi del 2015. “L’Italia è priva di tali criteri, ma ha ugualmente autorizzato il proseguimento della produzione per altri 12 anni, nel tentativo – rivelatosi fallimentare – di rendere appetibile l’impianto sul mercato”, si legge nel documento.

Il ricorso, elaborato dagli avvocati Ascanio Amenduni, Michele Macrì e Maurizio Rizzo Striano, con il contributo scientifico del professor Michele Carducci, docente di Diritto climatico comparato all’Università del Salento, elenca sei profili di illegittimità. Tra questi figurano:
– il mancato rispetto dei criteri stabiliti dalla Corte Europea dei Diritti Umani in materia di decarbonizzazione;
– una rappresentazione errata dello stato di emergenza climatica e ambientale, dichiarata in Puglia già nel 2019;
– la violazione dei contenuti vincolanti indicati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel giugno 2024, relativi proprio all’impianto di Taranto;
– l’omessa applicazione delle migliori tecniche disponibili (BAT) per la tutela ambientale e sanitaria;
– l’assenza di un’effettiva partecipazione del pubblico tarantino alle decisioni, in contrasto con la Convenzione di Aarhus;
– la violazione del Codice dell’Ambiente, che impone di considerare i nuovi scenari climatici nel rilascio delle autorizzazioni.

Per la prima volta, il ricorso solleva anche la questione di legittimità costituzionale dei cosiddetti “decreti salva Ilva”, alla luce della riforma del 2022 che ha introdotto in Costituzione l’obbligo di tutela dell’ambiente e della salute in prospettiva intergenerazionale.

Sarà quindi il Tribunale Amministrativo di Lecce a doversi pronunciare sia sulla validità dell’AIA, sia sull’eventuale incostituzionalità dei provvedimenti che negli anni hanno garantito la continuità produttiva del siderurgico. In caso di rigetto, le associazioni sono pronte a ricorrere alla Corte Europea dei Diritti Umani, chiedendo una messa in mora definitiva del Governo italiano per l’inadempienza nella bonifica e nel risanamento ambientale di Taranto.

La vicenda, dunque, potrebbe avere ripercussioni giuridiche di rilievo nazionale, riaprendo il dibattito sul futuro del più grande stabilimento siderurgico d’Europa e sulla compatibilità tra sviluppo industriale, diritto alla salute e tutela ambientale.

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