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Taranto
28 Settembre 2025 - 06:55
L'ex Ilva
TARANTO - Il bando per l'acquisizione degli asset di Acciaierie d'Italia (ex Ilva) si è chiuso con un esito che riflette una profonda criticità strategica. Delle 10 offerte, solo 2 - quelle del fondo statunitense Bedrock Industries e della cordata Flacks Group/Steel Business Europe - mirano all'acquisto dell'intero complesso. Le restanti 8, invece, propongono un preoccupante frazionamento degli impianti, nella logica dello “spezzatino”. Questo scenario, dominato da operatori finanziari esteri e da proposte parziali, evidenzia il rischio concreto di uno spostamento verso la logica della finanziarizzazione, in netta opposizione al modello europeo di codecisione industriale (Mitbestimmung), basato su sostenibilità e stabilità sociale.
L'interesse dei fondi d'investimento si inserisce in una logica di private equity che, pur potendo offrire una soluzione tampone per la cronica crisi di liquidità e debito, non assicura una strategia industriale di lungo periodo. Tuttavia, ad onor del vero, non tutti i “fondi” operano con orizzonti brevissimi; alcuni mirano perfino a una ristrutturazione profonda e definitiva. Comunque questa logica, orientata alla massimizzazione del valore per gli stakeholder e alla prospettiva di un rapido disinvestimento (exit), rischia di subordinare le complesse esigenze industriali, occupazionali e ambientali di Taranto alla mera valorizzazione finanziaria dell'asset.
I Commissari straordinari dovranno valutare le offerte tenendo in altissima considerazione gli aspetti legati al lavoro diretto e indotto, gli impegni di decarbonizzazione e l'entità degli investimenti occorrenti. Tali criteri, imposti dal Governo, non collimano perfettamente con la rapidità e la selettività tipiche delle decisioni dettate dal capitale finanziario. Il ridotto numero di offerte ottenute per l'intero apparato industriale riflette la gravità della situazione che incombe sull'ex Ilva e spiega gli orientamenti verso soluzioni parziali o, nel caso dei grandi fondi, verso una ristrutturazione della contabilità e dei bilanci. Questa tendenza si scontra apertamente con il modello di sostenibilità integrata e concertazione sociale adottato in una realtà come Duisburg, in Germania.
In quel contesto, senza dubbio diverso da quello italiano, la siderurgia è trattata come un asset strategico di interesse comune. Così la “codecisione” (Mitbestimmung) e il massiccio intervento pubblico guidano insieme la transizione tecnologica verso l'idrogeno “verde”, garantendo il mantenimento occupazionale e un risanamento strutturale. L'approccio puramente finanziario rischia di prediligere soluzioni a breve termine, come l'accelerazione dell'uso dei forni elettrici (EAF), però alimentati da gas fossile e non da energie rinnovabili e pulite. Il modello tedesco, al contrario, punta direttamente alla sostenibilità globale con l'idrogeno “verde” e a traguardo della neutralità climatica.
L'elevato numero di offerte parziali, che includono attori noti del panorama industriale italiano, rende adesso più concreta l'ipotesi di una vendita a pezzi. Tale scenario complicherebbe la gestione totale e la strategia unitaria di decarbonizzazione, che, nel caso, deve rimanere un imperativo assoluto. La sfida per il Governo, oltre a trovare un acquirente, è definire rigorosamente la qualità dell'intervento. Accettare un capitale privato, seppur necessario per il risanamento finanziario, non può equivalere a una cessione in bianco delle priorità ambientali e occupazionali. La vera sovranità strategica non si esercita tramite la nazionalizzazione fine a sé stessa, bensì si impone attraverso un'intesa vincolante col Governo, che leghi indissolubilmente il sostegno (pubblico e privato) al raggiungimento degli standard di sostenibilità europei. In assenza di tale fermezza, il rischio è che l'Ex Ilva venga ottimizzata finanziariamente e rivenduta, lasciando allo Stato l'onere ineludibile delle esternalità ambientali e sociali.
«Il frazionamento, o “spezzatino” - commenta il Sociologo del lavoro, Raffaele Bagnardi - rappresenta un rischio strategico gravissimo. Il polo siderurgico integrato dell'Ex Ilva funziona da sistema compatto, dove ogni impianto è interdipendente dagli altri, specialmente nella prospettiva del Ciclo Integrale e della sua sostenibilità tecnologica. Frazionare gli asset complicherebbe enormemente la gestione e renderebbe quasi impossibile l'attuazione di una strategia unitaria di decarbonizzazione, che richiede investimenti massicci e coordinati su tutta l'impiantistica produttiva. Il rischio è creare isole operative scollegate, lasciando il fardello delle parti meno profittevoli - come ad esempio le bonifiche e la salute - interamente a carico dello Stato».
«La “spezzatino” - continua Bagnardi - si presenta come una soluzione solo apparentemente semplice, destinata a scontrarsi con ostacoli rilevanti di natura finanziaria, legale, sociale e occupazionale. La suddivisione patrimoniale dell'azienda richiederebbe una complessa gestione delle passività pregresse, in particolare a causa dell'enorme debito accumulato e degli oneri necessari alle bonifiche. Per tale ragione, è altamente improbabile che gli investitori siano disposti ad acquisire singole unità produttive che includano l'integrale responsabilità per le passività ambientali pregresse. Inoltre, la ricollocazione della forza lavoro in diverse entità proprietarie potrebbe comprometterne l'unità contrattuale. Ciò richiederebbe, oltre a una profonda riorganizzazione industriale, una vera e propria ricomposizione del tessuto sociale, rendendo necessario un coordinamento interistituzionale di portata e articolazione senza precedenti.»
«La CIGS - conclude Bagnardi - non può essere un mero artifizio sociale in attesa di dismissioni o di recupero dei costi. Deve essere, invece, pur considerando le difficoltà congiunturali, un elemento di politica attiva della manodopera. Il modello tedesco ci insegna che la riqualificazione del personale è sempre parte integrante della pianificazione industriale. Passare dagli altiforni a carbone all'idrogeno “verde” non significa semplicemente licenziare, vuol dire riconvertire le competenze di migliaia di lavoratori verso nuove funzioni e nuove procedure. Perciò una strategia economica, specie se orientata al lungo periodo, deve essere vincolata da un preciso e deciso Accordo di Programma con lo Stato.»
La palla è ora nelle mani dei Commissari e del Governo, che, compatibilmente con le tempistiche, i vincoli UE sugli aiuti di Stato, e i procedimenti giudiziari, sono chiamati a scegliere appunto tra la finanziarizzazione immediata e il modello di sviluppo concertato a lungo termine; quest'ultimo più vicino all'idea europea dell'acciaio.
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