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Taranto

Ex Ilva, tra offerte al ribasso e manovre politiche

La trattativa tra Governo e Jindal procede tra tensioni industriali, pressioni sociali e scenari alternativi. A rischio migliaia di posti di lavoro, mentre la produzione è crollata a livelli minimi

Ex Ilva

L'ex Ilva di Taranto

TARANTO - L’ex Ilva di Taranto si trova ancora in una posizione di estrema incertezza, con una complessa trattativa che si muove su più livelli, quello economico, quello politico e quello sociale. Il tempo stringe, ma una soluzione definitiva sembra ancora lontana. La situazione è descritta come un “gioco di potere”, dove il Governo italiano si trova in una posizione di svantaggio e un solo attore, il colosso indiano Jindal, sembra avere tutte le carte in mano.

La ragione principale di questo squilibrio è l'assenza di una vera concorrenza. Nonostante si parli di altri pretendenti, Jindal pare rimanere l’unico offerente con la capacità finanziaria e industriale per farsi carico dell’intero impianto. Questa posizione di forza permetterebbe alla Holding di presentare un'offerta considerata “al ribasso”, addirittura inferiore alle sue proposte precedenti, e sicuramente al di sotto delle aspettative del Governo.

L’impianto, nel frattempo, continua a perdere valore. I problemi sono molteplici, a partire dall’incidente avvenuto a maggio all'altoforno 1. Con un solo altoforno funzionante, la produzione è crollata a un livello insostenibile, con una previsione annua di appena 2 milioni di tonnellate di acciaio, un dato quasi insignificante rispetto alla produzione nazionale. A peggiorare il quadro, ci sono i ritardi sull'Accordo di Programma, che hanno contribuito a svalutare ulteriormente l’asset.

Il Governo, dal canto suo, si trova sotto una forte pressione sociale e politica. Migliaia di posti di lavoro sono a rischio e la “fame di lavoro” a Taranto è un'ansia fondamentale nelle decisioni politiche. Il Ministro Adolfo Urso ha delineato un piano per mantenere il perno produttivo a Taranto, proponendo un rigassificatore per i nuovi forni elettrici, ma ha anche messo in campo un’alternativa, non escludendo lo spostamento di parte della produzione a Genova o Gioia Tauro in caso di fallimento della trattativa.

Tuttavia, Jindal ha dimostrato di non essere un attore passivo. L'azienda ha agito in modo indipendente, incontrando il sindaco di Genova e smentendo l’intenzione di costruire un forno elettrico in quella città. Questa mossa spregiudicata ha messo in evidenza le profonde tensioni tra la strategia industriale del Governo e i piani di Jindal, suggerendo che l’azienda indiana segue piuttosto le opportunità.

La situazione è dunque un intreccio di strategie aziendali, piani governativi e pressanti necessità locali. La scadenza del 15 settembre, sebbene cruciale per lo scioglimento del nodo del rigassificatore, è solo una tappa di un percorso che potrebbe durare ancora a lungo, con le negoziazioni. L’incertezza rimane alta e il rischio di un’ennesima “fumata nera” aleggia sul futuro dell’ex Ilva, un tempo simbolo dell'industria italiana.

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