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Taranto

“L’Aia non salverà l’Ilva”: PeaceLink attacca il governo e chiede una svolta

Il presidente Alessandro Marescotti boccia le dichiarazioni del ministro Urso: “Impianti fatiscenti, debiti fuori controllo, nessun acquirente all’orizzonte. Serve un nuovo accordo per la riconversione”

Ex Ilva

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TARANTO - Un’autorizzazione amministrativa non basta a cambiare la realtà dello stabilimento siderurgico di Taranto. È quanto denuncia PeaceLink, attraverso le parole del presidente Alessandro Marescotti, che contesta con fermezza l’ottimismo espresso dal ministro Adolfo Urso al congresso della CISL, dove è stato annunciato con enfasi il rilascio della nuova Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) per l’ex Ilva.

“Le frasi trionfanti del ministro – secondo cui la siderurgia italiana sarebbe salva – ignorano completamente lo stato reale dell’impianto”, afferma Marescotti, che descrive un complesso industriale in rovina, privo di prospettive economiche e sempre più isolato.

Lo stabilimento, oggi sotto la gestione di Acciaierie d’Italia, presenta un quadro tecnico disastroso. Dei cinque altoforni, uno è spento da anni, uno è stato demolito, uno è stato colpito da un incendio, un altro ha il crogiolo danneggiato e l’ultimo funziona solo a intermittenza. L’intera area a caldo, evidenzia PeaceLink, rimane sotto sequestro per motivi di sicurezza e impatto ambientale.

A peggiorare il quadro è la situazione finanziaria ormai fuori controllo. L’impianto, secondo i dati forniti da Marescotti, brucia oltre 100 milioni di euro ogni mese e accumula debiti sempre più insostenibili, senza che all’orizzonte si profili un reale acquirente. “L’unico soggetto interessato si è già sfilato, e nel frattempo si continua a gettare denaro pubblico in un impianto tecnicamente e economicamente fallito”, denuncia PeaceLink.

Ma a differenza del passato, oggi a Taranto qualcosa si è rotto. Tutti gli enti territoriali si sono espressi contro il rilascio dell’AIA, un fatto inedito che, secondo l’associazione, rappresenta un punto di svolta nella storia del rapporto tra il territorio e lo Stato centrale. Una posizione condivisa e compatta che non si vedeva nemmeno durante le grandi proteste del 2008-2009, quando 20.000 cittadini scesero in piazza e furono poi delusi dalla decisione degli enti locali che nel 2011 votarono a favore dell’AIA.

A contribuire a questo nuovo fronte unitario, spiega Marescotti, è stato anche l’impegno dell’assessora comunale all’Ambiente Fulvia Gravame, che ha portato avanti un lavoro costante e determinato per costruire una visione alternativa.

E proprio questa visione, per PeaceLink, deve ora tradursi in un Accordo di Programma. Il modello proposto è quello di Genova 2005: superamento dell’area a caldo e piano strutturato di ricollocazione per i lavoratori. “Continuare a tenere in vita l’impianto significa alimentare un pozzo senza fondo. Occorrono coraggio, idee nuove e una svolta concreta”, afferma Marescotti.

L’associazione rilancia infine una proposta politica: dirottare le risorse previste per il piano di riarmo nazionale verso la riconversione economica di Taranto, puntando su lavoro sostenibile, salute e bonifica ambientale.

“Il movimento per la pace, quello per l’ambiente e quello per il lavoro devono finalmente unirsi”, conclude Marescotti. “Solo così si potrà costruire una vera alternativa, giusta e possibile, per Taranto e per tutto il Paese”.

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