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Taranto

“La nuova Aia è già vecchia”: Legambiente attacca il piano per l’ex Ilva

La presidente Lunetta Franco boccia il provvedimento: “Impianti obsoleti, rischi per la salute ancora irrisolti e decarbonizzazione rimandata. Serve una svolta reale, non proroghe camuffate”

L'ex Ilva

L'ex Ilva

TARANTO - Un piano che nasce già superato, incapace di rispondere alle sfide ambientali, sanitarie e tecnologiche del presente. Così Legambiente Taranto definisce il nuovo schema di Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia) destinato all’ex Ilva, oggi Acciaierie d’Italia, con un duro intervento della presidente Lunetta Franco, che accusa l’azienda e le istituzioni di voler allungare la vita a impianti vecchi e inquinanti, a scapito della salute pubblica.

«Questa AIA è una concessione al passato, non una scelta per il futuro – dichiara Franco –. Nella migliore delle ipotesi è una soluzione provvisoria, in attesa di un piano di decarbonizzazione che il parere istruttorio si limita a richiedere entro 12 mesi. Nella peggiore, è il certificato di accompagnamento a una lenta agonia industriale, che potrebbe durare altri 12 anni».

La storia delle autorizzazioni ambientali per l’impianto siderurgico tarantino, iniziata nel 2011, non infonde fiducia, osserva la presidente dell’associazione, che definisce “inaccettabile” l’idea di continuare a far marciare impianti a carbone tra i più vecchi d’Europa, nonostante gli 800 milioni di euro stanziati dall’Unione Europea tramite il Just Transition Fund.

La transizione è ferma, la salute a rischio, insiste Legambiente, che propone una svolta netta: spegnere altoforni e cokerie entro 2 o 3 anni, sostituendoli con forni elettrici e impianti per la produzione di preridotto (DRI), e investire nella produzione di idrogeno come agente riducente, sul modello già avviato in Svezia da H2 Green Steel, che punta a produrre 7 milioni di tonnellate di acciaio all’anno a regime.

Nel frattempo, la salute pubblica non può attendere. «Il parere dell’Istituto Superiore di Sanità evidenzia carenze non ancora risolte – spiega Franco –. La prescrizione 2 dell’AIA impone al Gestore di aggiornare lo studio di valutazione dell’impatto sanitario entro 3 mesi dall’approvazione dell’AIA, includendo dati sulle emissioni di NO₂, SO₂, sulla centrale AdI Energia, sull’esposizione cutanea nei lidi e sulle zone ricreative». L’ISS, a sua volta, dovrà valutare i dati entro 30 giorni dalla ricezione.

Ma le criticità non finiscono qui. Secondo Legambiente, il limite di rischio cancerogeno adottato (1x10⁻⁴) non è accettabile per un impianto che opera in un contesto urbano densamente popolato, con bambini e soggetti vulnerabili nel quartiere Tamburi, già esposto a molteplici fonti di inquinamento e ricadente in un Sito di Interesse Nazionale (SIN).

«La soglia deve essere abbassata a 1x10⁻⁶, il livello più cautelativo previsto, in coerenza con le linee guida VIS e i principi dell’USEPA», sottolinea Franco, che respinge categoricamente ogni ipotesi di riduzione delle prescrizioni o allentamento dei limiti emissivi.

Ancora più dura la reazione alla possibilità di ricostruire impianti come l’altoforno 5 e le batterie delle cokerie 3, 4, 10 e 11. «Non si può immaginare di investire su impianti superati e pericolosi. Se l’azienda ritiene insostenibile il costo della nuova AIA, stimato in 1 miliardo di euro, allora si riduca la produzione, restando sotto i 6 milioni di tonnellate annue, ma garantendo tutte le misure sanitarie necessarie».

Taranto, conclude Legambiente, ha già pagato troppo. Ora serve un cambio di rotta vero, che metta la salute dei cittadini al primo posto e investimenti concreti nella decarbonizzazione, non proroghe mascherate o operazioni di facciata.

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