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Omicidio Benedetto Petrone, la Procura chiede di nuovo l'archiviazione. Udienza decisiva il 9 luglio

Dopo anni di nuove indagini, si riaccende la battaglia giudiziaria: la famiglia e l'Anpi si oppongono alla richiesta dei pm, mentre la giudice valuterà se procedere verso il rinvio a giudizio per i sei indagati

Omicidio Benedetto Petrone, la Procura chiede di nuovo l'archiviazione. Udienza decisiva il 9 luglio

Una delle cerimonie per ricordare l'omicidio di Benedetto Petrone a Bari

BARI — Nuovo capitolo nell’inchiesta sull’assassinio di Benedetto Petrone, il giovane operaio comunista di 18 anni ucciso brutalmente il 28 novembre 1977 durante un’aggressione di matrice fascista nel cuore di Bari. La Procura ha infatti depositato un’ulteriore richiesta di archiviazione, ritenendo insufficiente il quadro probatorio emerso dalle indagini supplementari.

La decisione finale sarà affidata al giudice per le indagini preliminari Gabriella Pede, che ha fissato un'udienza in camera di consiglio per il prossimo 9 luglio, accogliendo le opposizioni presentate dall'Anpi e da Porzia Petrone, sorella della vittima. La famiglia e l’associazione partigiana hanno contestato la chiusura del fascicolo, chiedendo con forza che si vada avanti nell’accertamento delle responsabilità.

L'inchiesta, riaperta nel 2023, era stata inizialmente avviata nel 2017 contro ignoti. Il giudice dell’epoca aveva individuato aggravanti pesanti, come la crudeltà e i motivi abietti che caratterizzarono l’omicidio. A seguito di questo impulso, la Procura aveva inserito nel registro degli indagati sei persone, alcune delle quali già coinvolte negli anni ‘80 con condanne per favoreggiamento.

Le intercettazioni disposte dagli inquirenti hanno catturato conversazioni definite "interessanti", specialmente dopo la notizia dell'iscrizione dei nuovi sospettati. I dialoghi hanno fatto emergere dettagli sul numero dei partecipanti all’aggressione, alimentando nuove speranze di verità.

Nonostante questi sviluppi, i pubblici ministeri Roberto Rossi e Grazia Errede hanno ritenuto che gli elementi raccolti non fossero sufficienti a sostenere un’accusa in aula. Pur riconoscendo che vi siano "fondati sospetti" sulla partecipazione degli indagati, i magistrati hanno sottolineato l'impossibilità di formulare una "fondata previsione di condanna", mancando riscontri decisivi alle conversazioni intercettate.

Dei sei sospettati, cinque hanno scelto di non rispondere agli interrogatori, mentre il sesto, residente in Indonesia, non si è mai presentato davanti ai magistrati. Uno degli indagati, in una conversazione intercettata, ha persino dichiarato di aver coinvolto rappresentanti del governo nella vicenda.

Di parere opposto l’avvocato Michele Laforgia, legale di Porzia Petrone e dell’Anpi, che nella memoria depositata sostiene la piena corresponsabilità degli indagati nell’omicidio del giovane, sottolineando come Petrone fosse in "condizioni di minorata difesa" per problemi di deambulazione che gli impedirono di sfuggire alla violenza del commando.

Il legale ha chiesto alla gip di ordinare alla Procura la formulazione dell'imputazione di omicidio volontario pluriaggravato e di disporre l'ascolto di ulteriori testimoni che potrebbero fare luce sui fatti di quella drammatica giornata.

Intanto, resta nella memoria giudiziaria la condanna del solo esecutore materiale, Giuseppe Piccolo, riconosciuto colpevole nel 1981 e condannato a 22 anni di reclusione, poi ridotti a 16 in appello l'anno successivo. Piccolo si tolse la vita in carcere nel 1984, ponendo fine alla sua parabola giudiziaria, ma lasciando aperti numerosi interrogativi sulle responsabilità collettive dell’assalto.

Ora, la parola passa alla giudice Pede, che il 9 luglio sarà chiamata a decidere se scrivere la parola fine a questa lunga e complessa vicenda, o se aprire un nuovo processo a carico dei sei indagati.

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