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Lo spettacolo

Angelo Mellone: «Canto le mie radici e la storia di una generazione»

Domenica al Teatro Fusco il reading poetico-musicale del giornalista e dirigente Rai

Angelo Mellone

Angelo Mellone

“In fin dei conti, capitoli di una messinscena” è il reading tra musica e parole che Angelo Mellone, giornalista e direttore del Day Time-Rai, sta portando in teatro e domenica 10 novembre (ore 18.00, ingresso libero) sarà al Fusco, accompagnato da un quartetto d'eccezione: Salvatore Russo alla chitarra, Francesco Longo alla fisarmonica, Franco Speciale al contrabbasso, Peppe Fornaro a sax e clarinetto.

Un reading nel quale Mellone lascia convergere tutte le sue tematiche narrative: l'Italia, le radici, il Sud, la sua Taranto, gli antenati, i figli, la provincia, la memoria nazionale, la nostalgia dell'origine, l'amore di coppia.

Angelo, cosa racconti dunque in questi capitoli di messinscena?

Esattamente ciò che è nel titolo. “In fin dei conti”, vale a dire alla fine dei conti, è un bilancio esistenziale. Racconto cosa ho fatto, ma non è solo un punto di vista individuale. Racconto la mia generazione, quella degli anni ’80, nei suoi rapporti con la vita, con l’amore. Porto in scena dei monologhi in forma poetica.

E la messinscena?

I sociologi ci definiscono attori sociali: “attori”, quindi la vita è una messinscena nella quale ognuno recita la sua parte, tutti i giorni. Questo mio lavoro è soprattutto un richiamo al senso di appartenenza e alla eterna questione del mio rapporto con la terra d’origine, anche qui declinabile per una intera generazione.  Un rapporto che è insieme entusiastico, tossico, a volte doloroso.

In questo tuo lavoro è molto importante anche la parte musicale.

Sì. E devo dire che il colpevole di tutto questo è proprio Salvatore Russo. Il tema della musica è fondamentale per la mia generazione. Sul palco canto una mia canzone inedita sull’amore per la Patria e la canto alla fine di un ricordo rappresentato in forma poetica. Poi ci sono altre canzoni di quegli anni più o meno famose.

Nel richiamo alle radici c’è quello alla tua famiglia.

Uso la mia storia personale, le figure di mio nonno e mio padre, come rappresentazione di generazioni. “In fin dei conti” racconta anche il rapporto tra generazioni che hanno vissuto epoche e valori diversi.

La Patria è uno di questi valori?

Certo. È il richiamo all’identità italiana. Purtroppo ci sono pezzi di storia che si vanno perdendo. È scomparso ad esempio il valore del Risorgimento. Tempo fa feci un lavoro su Carlo Pisacane con Eleonora Giorgi – a proposito, aspetto che si riprenda presto. Ma oggi Pisacane non lo si studia più. A Taranto abbiamo Nicola Mignogna, ma nessuno sa chi è. Sono storie e valori che vanno recuperati.  

Ecco, nelle tue opere letterarie e teatrali, il valore della memoria è sempre molto presente.

La memoria è manutenzione dei ricordi. Io mi considero un conservatore e un conservatore come Van den Bruck diceva che conservatore è colui che costruisce cose che valgono la pena di essere conservate. La memoria non è sempre bella, ma senza memoria, senza radici e identità diventi solo un feticcio nelle mani dei mercati. Ah… in questo lavoro non compare neppure una volta la parola “acciaio”.

 

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