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La mobilitazione

Sciopero di 48 ore dei lavoratori area Afo

Fim, Fiom e Uilm su Acciaierie d’Italia: «Il Governo prenda la maggioranza ed estrometta Mittal»

L'ex Ilva

L'ex Ilva ora Acciaierie d'Italia

«Impedire che Arcelor Mittal continui nel suo ricatto, utilizzando i lavoratori e la fabbrica come scudo, per ricevere ulteriori risorse pubbliche da sperperare fino alla chiusura dello stabilimento». Questo l’obiettivo dello sciopero di 48 ore proclamato dalle rsu Fim, Fiom e Uilm a partire da oggi, mercoledì 6 dicembre, per i lavoratori di esercizio dell’area Afo.

 «In questi giorni l’azienda ha preso delle decisioni in merito alla fermata di Afo/2 senza, ad oggi, fornire alle rappresentanze dei lavoratori comunicazioni sui futuri assetti produttivi, a partire dalla fermata di agosto dell’Afo/1. Infatti, la Direzione Aziendale comunicò che la fermata di Afo/1 era programmata per effettuare il montaggio del filtro Meros della Linea D dell’impianto di Agglomerato e che sarebbe ripartito a settembre del 2023. Tuttavia, al contrario di quanto dichiarato dalla Direzione Aziendale, ormai è diventata una consuetudine, non vi è stata la ripartenza dell’Afo/1 e troviamo del tutto fuori luogo che si pensi ad una fermata di Afo/2 in quanto potrebbero determinarsi situazioni di criticità dal punto di vista della sicurezza dei lavoratori, dal punto di vista ambientale e di salvaguardia degli impianti con la conseguente fermata totale dello stabilimento - evidenziano le rsu - È inaccettabile che le organizzazioni sindacali non siano consultate in sede aziendale in merito alle scelte e alle previsioni dell’attività produttiva così come previsto dall’art. 9 del vigente Ccnl e, pertanto, ci riserviamo ulteriori azioni per consentire il regolare svolgimento delle relazioni industriali».

Per tali ragioni Fim, Fiom e Uilm diffidano l’azienda alla fermata di Afo/2.

Fim, Fiom e Uilm nazionali: «Acciaierie d’Italia, il Governo prenda la maggioranza ed estrometta Mittal». «Domani (oggi per chi legge, ndr) si riunirà l’assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia e, anche questa volta, non si conoscono le decisioni che assumerà Invitalia, a nome del Governo. Conosciamo, invece, quelle del socio privato. Il destino della siderurgia italiana e di 20 mila lavoratori è nelle mani di ArcelorMittal che, per la terza volta consecutiva, ribadirà di non voler mettere le risorse necessarie per continuare a mantenere in vita l’ex Ilva». Così le sigle confederali dei metalmeccanici sulle sorti di Acciaierie d’Italia. «Il Governo non può essere ostaggio di ArcelorMittal e deve prendere atto che questa decisione è stata già presa dalla multinazionale nel 2020, quando fu deciso di realizzare un patto parasociale, ancora secretato, con un primo finanziamento pubblico di 400 milioni.

A fronte di una persistente situazione fallimentare, a inizio 2023 lo Stato ha versato ulteriori 680 milioni e il socio di maggioranza (ArcelorMittal) zero. Adesso la situazione è analoga: per poter continuare a far vivere l’ex Ilva occorrono almeno 320 milioni ma, ancora una volta, il socio privato non è disponibile a mettere la sua quota. L’obiettivo di ArcelorMittal è stato chiaro fin dall’inizio: lo Stato deve mettere i soldi e loro li gestiscono. Lo Stato deve pagare le bollette, la cassa integrazione per migliaia di lavoratori, farsi carico dei lavoratori in AS e negli appalti, del rifacimento degli impianti, a partire dall’Afo 5, dei rischi della salute e sicurezza dei lavoratori, del risanamento ambientale e di eventuali problemi di mercato. Mentre il socio privato, a fronte di nessun impegno, vuole mettere le mani sui 5 miliardi previsti per la decarbonizzazione - osservano Fim, Fiom e Uilm - La situazione è diventata insostenibile in tutti gli stabilimenti: assenza di relazioni sindacali, industriali, mancanza di intervento alle richieste di normale attività manutentiva e di funzionamento fino alle provocazioni.

A gennaio scorso il ricatto dei 2.500 lavoratori degli appalti, a luglio a Taranto la fermata dell’altoforno 1 e ora quella dell’altoforno 2, l’inattività aziendale dinnanzi allo stop del principale carroponte di Genova, un disastro alla vigilia dell’assemblea dei soci usato per condizionare il Governo a mettere ulteriori risorse. L’Amministratore delegato ha dichiarato che l’ex Ilva, grazie alla sua gestione, è molto più bella, forte e potente di prima, e che è lo Stato che deve farsi carico dei costi della decarbonizzazione. Come se non bastasse, a fronte delle nostre denunce sui rischi sulla salute e sicurezza e di una specifica prescrizione del Ministero del Lavoro, l’azienda ha deciso di ignorarle. Queste sono solo alcune azioni degli ultimi mesi, che denotano la spregiudicatezza di questo Amministratore delegato nei confronti del Governo, delle istituzioni, dei lavoratori, del sindacato e di intere comunità. L’ultimo atto, aspettiamocelo, sarà la fermata dell’unico altoforno rimasto in marcia: il numero 4, già in condizioni precarie. A quel punto saremo all’eutanasia dell’ex Ilva. Come organizzazioni sindacali lanciamo oggi un forte appello al Governo e a tutte le istituzioni affinché si scongiuri la chiusura dell’ex Ilva e si garantisca la continuità produttiva. Fermiamoli finché siamo in tempo, mancano poche ore.

Il Governo non ha altra scelta - rimarcano i sindacati di categoria - deve estromettere questo Gruppo industriale per inadempienza contrattuale e deve fare una richiesta di risarcimento per gli ingenti danni subìti, reinvestendoli in azienda. Il Governo, con un provvedimento d’urgenza, deve acquisire la maggioranza e quindi individuare soluzioni industriali, precettando produttori nazionali, affidandogli, transitoriamente, la gestione di Acciaierie d’Italia e il salvataggio dei 20 mila lavoratori di tutti gli stabilimenti. In base alle conclusioni dell’assemblea dei soci di domani, siamo pronti a realizzare un presidio permanente al fine di essere ricevuti a Palazzo Chigi, a partire dal prossimo 11 dicembre».

Il ministro Urso: «Aspettiamo le decisioni degli azionisti. Il Governo farà la sua parte». «Il Governo, in maniera coesa e unitaria, ha chiesto agli azionisti di fare la loro parte. Innanzitutto all’investitore straniero, ma anche a Invitalia, domani (oggi per chi legge, ndr) in assemblea vedremo quale sarà la loro risposta. Noi però siamo in campo perché siamo convinti che il sito di Taranto e di Genova di Acciaierie d’Italia siano uno straordinario esempio della siderurgia. Un esempio di forza, e tale devono tornare ad essere». Lo sottolinea il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, rispondendo alle domande dei cronisti, a margine dell’assemblea di Confimi.

«Tra l’altro, stiamo realizzando un piano siderurgico nazionale che vedrà quattro poli: acciaierie del Nord, avanguardia europea per la siderurgia green, il Polo di Terni, su cui definiremo l’accordo di programma nelle prossime settimane, il polo di Piombino che vedrà la partecipazione, ci auguriamo, di due investitori stranieri per realizzare un nuovo sito siderurgico, e il polo di Taranto che deve incamminarsi velocemente sulla strada della riconversione. Aspettiamo le decisioni degli azionisti, poi il governo come sempre farà la sua parte».

Colautti e Rizzo (Usb): «Il Governo rompa gli indugi e assuma il controllo degli stabilimenti». «In merito all’assemblea dei soci di domani (oggi per chi legge, ndr), noi diciamo semplicemente che il disastro va fermato prima che sia troppo tardi. il Governo deve rompere gli indugi e fare presto, assuma subito il controllo di Ex Ilva e salga in cattedra per garantire il rilancio dello stabilimento, il mantenimento dei posti di lavoro, la salute e la sicurezza, tutti diritti sacrosanti. Il Ministro Urso, quando parla di piano nazionale dell’acciaio, deve rendersi conto che per le politiche industriali del nostro Paese, è stata data carta bianca alle multinazionali straniere, che in particolare nel settore siderurgico hanno lasciato una scia di cenere con licenziamenti, cassa integrazione e disastri ambientali. Se vogliamo impedire che per l’ennesima volta la comunità si accolli il costo di scelte miopi e sbagliate, bisogna avere il coraggio di cacciare ArcelorMittal e assumere il controllo degli stabilimenti». A dirlo sono Sasha Colautti e Francesco Rizzo, dell’Esecutivo Nazionale dell’Unione Sindacale di Base.

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