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La scomparsa

Oronzo Forleo, l’amore per la cultura della vita

Era entrato al Ss. Annunziata nel 1981. Il suo impegno per l’Utin

Oronzo Forleo

Oronzo Forleo

Per capire chi fosse Oronzo Forleo basterebbe scorrere le centinaia di commenti che si sono susseguiti sui social alla notizia della sua scomparsa. Genitori che gli avevano affidato le proprie creature, ragazzi cresciuti sotto le sue cure.

Testimonianze commosse di gente comune che ha manifestato il proprio dolore per la perdita non di un semplice medico, ma di un punto di riferimento per le famiglie, per le mamme e i papà in difficoltà. Sì, perché Oronzo aveva una idea profonda della pediatria: l’aveva interpretata sempre come una missione, quella di un medico che deve saper comprendere le dinamiche, anche di relazione, che esistono intorno alla nascita e alla crescita di un bambino. Aveva intuito, nei suoi lunghi anni di esperienza in ospedale, che le famiglie non possono essere lasciate sole e lui per tantissime di queste è stato davvero un riferimento insostituibile. Sempre con una visione chiara: quella dell’amore per la vita. Oronzo si era laureato a Milano, prima di tornare a Taranto e fare il suo ingresso al Santissima Annunziata, nel 1981. Di quell’emozionante passaggio aveva parlato in una lettera aperta pubblicata proprio dal nostro giornale al quale spesso consegnava il suo pensiero sui pregi e i difetti della sanità pubblica e in particolare sulle gioie e le difficoltà del lavoro quotidiano in ospedale.

A Taranto era rientrato nonostante le perplessità della madre, che pragmaticamente avrebbe preferito che la sua strada continuasse nel capoluogo lombardo. Invece Oronzo era entusiasta di quel suo primo traguardo raggiunto: «Ero felice, coronavo il sogno antico, quello di fare il medico ospedaliero e soprattutto il medico ospedaliero dei bambini e per i bambini nelle loro famiglie: erano già evidenti i grossi bisogni sociali. L’aver vinto il concorso di assistente pediatra (negli anni ‘80 esistevano 3 figure mediche: primario, aiuto primario e assistenti) era per me come aver vinto il concorso da direttore della “NASA” americana. Si, ero orgoglioso, avevo conquistato la mia meta, iniziava il mio percorso». Aveva raccontato di questo suo esordio al momento di congedarsi dal “suo” ospedale, due anni fa. La malattia lo aveva già aggredito, ma non aveva scalfito il suo spirito combattivo col quale aveva vissuto il non semplice rapporto professionale col Ss. Annunziata.

Quarant’anni al servizio della sua missione esaltata dalla guida dell’Utin, l’unità intensiva neonatale per la quale, soprattutto negli ultimi tempi, si era battuto contro il suo ridimensionamento. La sua lunga esperienza l’aveva riassunta in un libro toccante: “La verità nei loro occhi”, un’antologia di racconti con finalità di beneficenza arricchita dalla prefazione dell’attrice Rocìo Munoz Morales, ambasciatrice Telethon. In quei racconti Oronzo aveva rivelato in forma narrativa i tanti volti dell’amore per la vita, senza nascondere le ombre ciniche e crudeli che talvolta avvolgono una nascita, l’arrivo al mondo di una nuova creatura. Racconti-verità, spaccato di una società complessa e difficile e del travagliato impegno quotidiano di un medico in prima linea. Oronzo Forleo aveva speso se stesso per dare dignità e prospettive a ogni bambino, soprattutto ai nati prematuri. Per lui occasione per promuovere una cultura di accoglienza alla vita.

Nelle sue parole il neonato prematuro era un «maestro di vita» da ringraziare «perchè - scriveva Oronzo - ci hai insegnato la tolleranza quando nascevi con diversi colori della pelle, con occhi diversi dai nostri, con sofferenze che non avevi scelto volontariamente e con le tante diversità che hanno dato, a noi adulti, quella ricchezza che conserveremo gelosamente». Un’altra cosa a Oronzo Forleo stava particolarmente a cuore: la culla per la vita, quella che una volta si chiamava ruota degli esposti. Una opportunità straordinaria - che lui aveva fortemente voluto - per le mamme che, per svariate ragioni, non hanno forza per crescere un figlio. Di queste donne Oronzo amava parlare senza pregiudizio, senza innalzarsi a censore morale di scelte dolorosissime. Auspicava una vera e propria rivoluzione culturale nell’approcio a questi temi. Come suonano attuali, anche per la nostra città, queste sue parole: «La culla per la vita offre poi ulteriori possibilità anche per chi non ha scelto il parto in anonimato; richiede però ugualmente e, forse ancor di più, una gestione del neonato con maggiore sensibilità e soprattutto delicatezza per la madre che l’abbandona. Che pessimo termine: abbandono!

Nella mia attività professionale di neonatologo, parlando con bravi magistrati del tribunale dei minori, avevo chiesto se mai sarebbe arrivato il tempo di derubricare il termine di “abbandono”, sostituendolo con quello più reale di “dono”. Immaginate il cambio di prospettiva che produrrebbe la semplice eliminazione di poche lettere da quella sgradita parola abbandono. La mamma che abbandona razionalmente ed emotivamente un neonato sta facendo un dolorosissimo atto d’amore, sta donando alla società un bambino e una goccia del nostro futuro. Una mamma che compie quel gesto merita tutto il nostro rispetto, tutta la nostra comprensione e impone il silenzio e l’anonimato».

Parole di grande valore morale e culturale, parole che da sole danno il segno della grandezza dell’uomo ed è con queste parole che vogliamo rivolgergli il nostro ultimo saluto. Grazie Oronzo per quello che hai donato e per quello che hai insegnato col tuo modo di essere.

I funerali saranno celebrati oggi, giovedì 31 agosto, alle 16.00 nella Concattedrale Gran Madre di Dio, in viale Magna Grecia a Taranto.  

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Alla signora Vittoria e ai figli Sara e Fabrizio il più affettuoso abbraccio di TarantoBuonasera.

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