Pubblichiamo la terza parte del dossier sullo stabilimento siderurgico elaborato dall’associazione Orizzonti, costituita da dirigenti o ex dirigenti d’azienda di Taranto. I dati dell’inquinamento a Taranto Lo stabilimento ex Ilva è comunemente ritenuto causa dei mali ambientali e sanitari che da anni affliggono il territorio. L’attenzione è concentrata sull’inquinamento atmosferico responsabile dell’aumento degli indici di mortalità e dell’incidenza di patologie tumorali provocate dagli inquinanti emessi dagli impianti siderurgici. La situazione ambientale è ritenuta la più critica a livello regionale e nazionale. Di contro, sono disconosciuti i miglioramenti ambientali rilevati. Nel volume di Orizzonti, che stiamo riassumendo a puntate su questo giornale, sono riportati documenti, valutazioni e dati prodotti da Enti specialistici, preposti allo scopo dalle leggi italiane, che illustrano una realtà tarantina difforme dal comune sentire. Sono cose prese dai siti degli enti interessati, anche diffuse da media nazionali e locali. Si tratta di: a) grafici, numeri e situazioni sulla “qualità dell’aria” dei “Rapporti Annuali” di ISTAT, ISPRA, ARPA, ASL, ecc.; b) “registri tumori”, rapporti, relazioni e pubblicazioni di associazioni specialistiche come AIOM, AIRTUM ed altri. Tutto ciò prefigura una situazione relativa agli impianti Ex Ilva difforme da quella allarmistica/ambientalista presente su giornali, TV e social media. La nostra rappresentazione, basata su dati di “terzi competenti”, punta a dimostrare ai tarantini che si può soddisfare la “necessità vitale di far coesistere lavoro, ambiente, salute”. Il fragoroso battage sull’ex Ilva L’inquinamento a Taranto è attribuito solo all’ex ILVA mentre deriva anche da altre industrie locali, traffico marittimo e stradale, riscaldamento domestico e altre attività antropiche presenti nel territorio. L’inquinamento atmosferico non è il principale fattore di rischio per patologie tumorali. Secondo la letteratura scientifica, le quote di tumori attribuibili all’inquinamento sono inferiori a quelle di altri fattori di rischio quali uso di tabacco e/o alcool, sovrappeso, inattività fisica. Non si avverte la contraddizione tra riscontri supposti da singoli cittadini e/o associazioni (sempre amplificati sui media) e i riscontri rilevati e pubblicati da ARPA Puglia, che pure rileva che le patologie correlabili a criticità del livello di inquinamento diminuiscono dal 2012 in corrispondenza di valori di inquinamento sempre entro i limiti di legge. Sulla delicata, complessa questione tarantina l’approccio dei media è fragoroso, sensazionale. Su un quotidiano regionale del 11.03.2018 si legge: “uno studio su 300 bambini di Taranto ha certificato che i danni neuronali sono direttamente proporzionali alla distanza dalle ciminiere”, ma senza validazione scientifica. In quel periodo era in corso la trattativa per la cessione di Ilva a un privato e nel contempo girava l’idea della “riconversione economica” del territorio tarantino con chiusura di Ilva. Coincidenze? Nella trasmissione Report di RAI3 del 29.11.2021, il pediatra intervistato arriva alle stesse conclusioni di quello studio: il minore sviluppo intellettivo dei bambini viventi vicino allo stabilimento rispetto a quelli che vivono lontano dallo stabilimento deriva da presenza nell’atmosfera di arsenico e piombo del siderurgico. Prive di validità scientifica, le dichiarazioni del pediatra sollevano vibranti proteste di genitori ed insegnanti dei bambini dei Tamburi che le respingono decisamente. Sono due delle tante voci che sostengono che la situazione ambientale di Taranto è fuori controllo: i danni arrecati ai cittadini e il perdurare dei suoi effetti sulla salute, superano il ricatto occupazionale e impongono di trovare subito soluzioni che “consentano l’impiego dei lavoratori in ben altri ambiti, che la stessa città può offrire”. La realtà vera è ben diversa: ARPA Puglia, in ossequio alle vigenti normative (D.Lgs 155/2010), rileva i dati sull’inquinamento ambientale a Taranto e li riporta in periodici rapporti confrontandoli con i rispettivi limiti di legge. Chiunque può esaminare quei dati, come abbiamo fatto noi, e constatare che dal 2009 in poi si registrano miglioramenti ambientali e che dal 2012 al 2021 i limiti di legge risultano sempre rispettati. Tutto questo non abbassa l’insofferenza verso lo stabilimento. Il rischio di arrivare al punto di non ritorno Noi crediamo che sull’opinione pubblica abbia inciso, e continui a incidere, il martellamento sulle presunte criticità ambientali e sanitarie, nel pieno di una crisi che non ha precedenti dall’avvento dell’era industriale. Così viene messa in discussione la sopravvivenza dell’intero assetto industriale, finora insostituibile fonte socio-economica che si riverbera su lavoro, ambiente, salute e crescita culturale e sociale. Si dimentica così che l’attuale situazione è soprattutto figlia dell’assenza dell’intera classe dirigente e politica, fatta di persone che si sono avvicendate negli ultimi 50 anni: avrebbero dovuto prendere provvedimenti contro gli effetti negativi e i guasti su ambiente e salute dei cittadini, pur tutelati dalle più recenti normative. Di fronte alle assenze dei poteri politici e amministrativi e sulla spinta di sollecitazioni e denunce di cittadini e associazioni ambientaliste, subentrò la magistratura di Taranto che dispose, per la prima volta, l’indagine epidemiologica, interessando in particolare gli abitanti del quartiere più vicino all’area industriale (il Rione Tamburi) oltre quelli di Statte e Massafra. Con le sue risultanze, la magistratura nel 2012 emise un provvedimento abnorme, provocando un incredibile terremoto, che dura ancora, innescando il progressivo inesorabile deperimento economico e impiantistico dello stabilimento, l’impoverimento dei lavoratori e dell’intera città, con l’imperante rischio di superare il punto di non ritorno dell’intera vicenda. Il provvedimento giudiziario e le sue conseguenze Solo l’ex Ilva viene individuata come fonte determinante di situazioni di inquinamento e di effetti negativi sulla salute dei cittadini e dei lavoratori. Vengono posti sotto sequestro gli impianti ritenuti responsabili dell’inquinamento. Nel contempo l’azienda deve rendere la produzione compatibile con l’ambiente, pena la sua chiusura. Vengono rinviati a giudizio la proprietà e tutti i responsabili della gestione degli impianti che rilasciano inquinanti dannosi alla salute. L’intervento della magistratura viene vissuto con grande consenso dei cittadini e anche di chi, nelle istituzioni, “avrebbe dovuto fare e non ha fatto”. Tutto ciò avviene in un periodo di crisi mondiale e nazionale, in cui la disoccupazione a Taranto raggiunge livelli allarmanti. Le fonti di lavoro erano le grandi aziende ILVA, ENI, Arsenale MMI, Traffico marittimo e Vestas, tuttora presenti, mentre Cementir, TCT, Cantieri Navali, Belleli, Marcegaglia non ci sono più, e le medie e piccole imprese diminuiscono sempre più. Dopo un decennio, la situazione rimane la stessa, riverberata nella corsa all’accertamento del nesso di casualità tra l’inquinamento derivante dalle industrie e quanto si va riscontrando su salute umana, flora e fauna, con un fermento di azioni, comportamenti e dichiarazioni, che confondono ancor più i cittadini. Torna bene riportare la dichiarazione alla stampa locale della Procura di Taranto: «La salute e la vita umana sono beni primari dell’individuo, la cui salvaguardia va assicurata in tutti i modi possibili. Non ci possono essere situazioni di inesigibilità tecnica ed economica quando è in gioco il diritto alla vita. Chiaro il riferimento alla carta costituzionale che definisce il diritto alla vita come l’unico incomprimibile, davanti al quale tutti gli altri diritti devono cedere il passo, compreso il diritto al lavoro, altrimenti si arriverebbe all’assurdo giuridico di operare delle comparazioni tra il numero dei decessi accettabili e il numero dei posti di lavoro assicurati». È il principio di civiltà che non consente scappatoie, né vie di mezzo: se non si eliminano le cause che hanno determinato i danni alla salute, non si può togliere il sequestro degli impianti ritenuti fonte delle emissioni degli inquinanti pericolosi. Tutto ciò ha grandi e durature implicazioni sulla gestione concreta dello stabilimento, mentre il processo “Ambiente svenduto” è solo alla prima tappa. Periodo di incertezze e di possibili disastri Di fatto, oggi c’è una situazione di stallo in cui tutto è sospeso e pieno di incertezze; sembrano in vista decisioni che possono stravolgere il destino della città e la sopravvivenza dell’era industriale tarantina. Alla paura di tanti per la “chiusura” dello stabilimento, ritenuto sino a poco fa il fiore all’occhiello della siderurgia nazionale ed europea, si contrappone il movimentismo di tanti altri che vedono la “chiusura” come la fine di tutti i guai all’ambiente e alla salute della città. Di certo, con decisioni non mediate si aprirebbero scenari di pesante conflittualità. Eppure, sino a pochi anni fa, nessuno avrebbe mai pensato di mettere in discussione la sopravvivenza del più grande e moderno centro siderurgico europeo, quarto nel mondo. In più, quando si ventila la “chiusura” non si presentano realistiche soluzioni alternative per l’occupazione degli oltre 15.000 lavoratori di Taranto tra diretti ed indiretti, oltre ai circa 5000 degli stabilimenti minori di Genova Cornigliano, Novi Ligure e Racconigi, tutti alimentati dallo stabilimento di Taranto. La soluzione non può essere una “cassa integrazione a vita” dei lavoratori licenziati o la immaginifica occupazione nelle eventuali operazioni di bonifica del sito industriale ex ILVA. Si può ignorare quanto è accaduto a Bagnoli? In più, l’età media dei lavoratori ex ILVA è poco più di 37 anni: ipotizzando anche 10, 15 anni di impiego nelle operazioni di bonifica, poi cosa accadrebbe? Come potrebbero essere ulteriormente utilizzati 15.000 cinquantenni ancora lontani dall’età pensionabile? Non si può continuare ad ignorare che nei 60 anni di vita dello stabilimento di Taranto nessuno è riuscito a realizzare attività alternative all’industria siderurgica. Cosa si può fare? L’azienda è alle prese con valutazioni strategiche piene di incognite: a) completamento degli adeguamenti previsti dalla revisione dell’A.I.A. e ricostruzione di Afo 5; b) sostenibilità economica dello stabilimento privo degli impianti dell’area a caldo, in attesa della sostituzione con altri meno inquinanti; c) investimenti necessari per la decarbonizzazione (entro quando?) dello stabilimento. Non si possono commettere errori, è in gioco la vita economica e sociale di una città di 188.000 abitanti. Chi è sicuro che, con l’ambientalizzazione dell’ex ILVA o con la sua “chiusura”, saranno risolti tutti i problemi evidenziati o accertati nella nostra città? Sarà messa in discussione la presenza della raffineria ENI sino ad oggi ignorata? O quella del traffico marittimo, visto che oggi si osanna l’aumento dell’attracco delle grandi navi passeggeri quando in altre città lo stanno evitando? Su nuove scelte alternative all’industria, necessita ricordare e riconoscere gli errori del passato per evitarne la ripetizione. Riteniamo, infine, che vada affrontato comunque il rebus della “doppia realtà” sui danni alla salute provocati da inquinamento industriale. Esso è riconosciuto, fino a livello di O.M.S., come potenziale fattore di rischio di danni alla salute. Accade che a Taranto una singola azienda di una vasta area industriale viene accusata di provocare la morte da inquinamento industriale di adulti o bambini che hanno vissuto, poco o tanto, vicino a quell’azienda. Tale azienda, però, dispone di rapporti ufficiali di enti preposti per legge ai controlli periodici, che attestano che quell’azienda rispetta i limiti di legge. Dando per scontata l’attendibilità sia dei dati dell’ente controllore, sia dei dati oggettivi dell’insorgenza di patologia specifica tumorale, si pone il problema della validità effettiva dei limiti fissati per legge. È giusto condannare chi ha rispettato la legge? O è più giusto mettere mano al significato dei limiti di legge e relative conseguenze? Per analogie, viene da pensare al “famigerato scudo penale” che a Taranto fa tanto discutere. Orizzonti Associazione culturale di dirigenti ed ex dirigenti di aziende di Taranto
Commentiscrivi/Scopri i commenti
Condividi le tue opinioni su Buonasera24
Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo