«Non c’è nessun intendimento di fare pressione sul governo che ci ha costantemente sostenuto in questi anni, soprattutto il governo Draghi, e l’attenzione del governo Meloni è molto forte. Queste cose che ho letto sono esagerate, c’è una situazione di sofferenza perché i 700 milioni stanziati non sono arrivati, ma sono fiducioso che i problemi burocratici all’origine di questi ritardi si risolvano presto». Lo ha dichiarato il presidente di Acciaierie d’Italia, Franco Bernabè, in una intervista a Class. Bernabè ha fatto riferimento al programma di decarbonizzazione e agli investimenti complessivi per un miliardo e 700 milioni: «Uno sforzo importante per salvaguardare una realtà così importante». «Gli investimenti per l’ambiente – ha detto ancora il presidente di AdI – continuano». Per quanto riguarda la crisi energetica, Bernabè si è detto fiducioso che una volta superata, «l’energia tornerà abbondante e a buon prezzo». «L’importante – ha detto ancora – è resistere e quello che sta facendo l’amministratore delegato Lucia Morselli è mettere l’azienda in sicurezza per preservare le prospettive future. Taranto ha potenzialità enormi e ha la capacità di realizzare un progetto di decarbonizzazione per tutta l’industria siderurgica». Sindacati pronti alla mobilitazione Chi resta in trincea sono i sindacati. Le diverse sigle di Cgil, Cisl e Uil coinvolte sottolineano in una nota unitaria che «la madre delle vertenze del nostro Paese si trascina ormai da troppi anni, oltre dieci, senza che nessuno dei governi, di qualsiasi colore politico, sia riuscito a dare una risposta positiva e risolutiva alla vertenza in termini industriali, occupazionali che di ambientalizzazione». Nel corso della riunione (di cui riferiamo a pagina 2) le organizzazioni sindacali presenti «hanno denunciato le problematiche riguardanti la vertenza dell’ex Ilva, attuale Acciaierie d’Italia, che vede coinvolti tutti i lavoratori diretti, insieme a quelli di Ilva in Amministrazione Straordinaria, dell’Appalto e dell’Indotto. I sindacati di Fim, Fiom, Uilm e Usb insieme ai confederali di Cgil, Cisl e Uil, nonché alle categorie degli Appalti (metalmeccanici, multiservizi, edili e trasporti), al termine della discussione, mentre erano in procinto di programmare per la giornata di mercoledì 16 novembre p.v. una giornata di mobilitazione, in serata hanno appreso circa la convocazione ufficiale a Roma alle ore 12 presso il Mise, fissata per la giornata del prossimo 17 novembre. Ragion per cui, in attesa della dovuta ufficialità, si è ritenuto utile sospendere qualsiasi tipo di azione già in fase di programmazione. Resta inteso, che qualora nel corso dell’incontro ministeriale non dovesse giungere alcun elemento di novità, rispetto all’annullamento del provvedimento assunto da Acciaierie d’Italia su Appalto e Indotto, nonché ad un serio avvio con un cronoprogramma certo della definizione complessiva della vertenza ex Ilva, a partire dall’assegnazione delle risorse già individuate e non ancora assegnate dal precedente Governo, si darà seguito alle iniziative di mobilitazione già individuate per la giornata di lunedì 21 novembre 2022». La preoccupazione di Confindustria «L’improvvisa sospensione dell’operatività di 145 imprese appaltatrici da parte di Acciaierie d’Italia, ex Ilva, desta molta preoccupazione e, nel totale rispetto dell’autonomia d’impresa, Confindustria, Confindustria Puglia e Confindustria Taranto auspicano che venga individuata al più presto una soluzione nell’interesse dei lavoratori e della vasta filiera di imprese fornitrici, scongiurando gravi ripercussioni sul tessuto sociale di Taranto e della Puglia». Così l’associazione degli industriali. «Acciaierie d’Italia» ricorda Confindustria «è una priorità nazionale per l’intera manifattura del Paese ed è strategico accelerare la piena difesa del ciclo integrale a caldo per l’Italia intera e per la sua bilancia commerciale. Da anni è evidente l’effetto di freno sulle scelte di Acciaierie d’Italia determinato dal percorso dilazionato e incerto del ventilato ritorno al controllo pubblico. Per questo il Sistema Confindustria si rende disponibile a contribuire alla ricerca di soluzioni da avviare in tempi rapidi, in linea con l’importanza strategica che rappresentano le produzioni, gli occupati e la filiera di Acciaierie d’Italia». Il Comitato Indotto: «Non c’è più tempo» A far sentire la loro voce anche i rappresentanti del Comitato Indotto ex Ilva, che fa capo a imprese e imprenditori. «Nell’ultimo decennio abbiamo perso posti di lavoro, abbiamo perso benessere economico, abbiamo perso attività commerciali diffuse, abbiamo perso i nostri negozi storici dei centri cittadini» hanno ricordato. «Ora si tratta di scegliere tra questi due approcci: un percorso, ovvero un cammino virtuoso e inesorabile, attento e illuminato dalla chiarezza dell’obiettivo che si vuole raggiungere ovvero il rilancio dello stabilimento siderurgico, oppure la rivoluzione ovvero l’annullamento dell’esistente, la chiusura dello stabilimento, accompagnato dalla speranza che qualcos’altro nasca e che questo qualcos’altro sia proficuo per l’economia della ns. comunità». La scelta, per il Comitato, è chiara: «Noi non crediamo nelle rivoluzioni, noi vogliamo scegliere un percorso, fatto innanzitutto di risposte immediate a domande che da troppo tempo esigono una risposta: cosa si vuol fare di questo stabilimento? Quale sarà il suo destino?». «Esigiamo che questo Governo ci dica chiaramente quali siano le sue intenzioni sul futuro di migliaia di famiglie di nostri concittadini che in quello stabilimento ci lavorano» dicono aggiungendo che «vogliamo sapere quale sarà il destino di 6000 lavoratori dell’indotto che soffrono da 10 anni sulla propria pelle e su quella dei propri familiari le alterne vicende di quello stabilimento. Tuttavia noi oggi non ci limitiamo a chiedere, perché per troppo tempo ci siamo fatti guidare da false promesse, ci siamo fatti anestetizzare da chi ha spesso strumentalizzato le esigenze della nostra comunità per altri fini. Noi oggi pretendiamo un impegno risolutivo per il rilancio dello stabilimento siderurgico, per la sua ambientalizzazione e per la salvaguardia dei posti di lavoro dei lavoratori diretti e dei lavoratori dell’indotto». La richiesta del Comitato insomma è che «si smetta di far ricadere sul solito anello debole della nostra società che sono le aziende e i lavoratori, le problematiche derivanti da una pessima gestione della programmazione economica del territorio e delle sue grandi imprese. Nel 2015 - continuano - abbiamo subito le conseguenze della messa in amministrazione straordinaria dell’ex Ilva da parte dei commissari dello Stato con un conseguente ammanco nelle casse delle nostre aziende di 150 milioni di Euro. Era necessario questo provvedimento? Secondo alcuni assolutamente no perché all’epoca lo stabilimento versava in condizioni economiche decisamente migliori delle attuali. Oggi, all’indomani di una pandemia mondiale e di una guerra che ha portato i costi energetici a livelli mai visti, subiamo i ritardi dei pagamenti fino a 180 giorni, le black list, l’annullamento improvviso di ordini e, da ultime, le sospensioni improvvise dei contratti oggi per domani ad un mese dal Natale. Si può fare impresa in queste condizioni? Si può competere con l’estero come ci viene chiesto dai vari governi che si succedono?». Gli esponenti del Comitato Indotto si rivolgono allora a «parlamentari, rappresentanti sindacali, imprenditori, lavoratori, comunità, noi chiediamo non sommessamente ma urlando che si faccia il bene del nostro territorio e si faccia presto perché non c’è più tempo. E se le risposte non arriveranno nel giro di pochi giorni, allora rischieremo di andare, pur non volendo, verso situazioni incontrollabili dove non regna più la ragione e la programmazione ma la disperazione. Nessuno legga questa affermazione come una minaccia, ma la storia ci insegna che dove i percorsi virtuosi di cui sopra falliscono, irrompono le rivoluzioni».
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