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ll lavoro al centro di un nuovo ordine economico
29 Dicembre 2023 - 11:14
Il tramonto del mondo bipolare e lo «scongelamento» delle linee di strutturazione geo-politica e geo-ideologica hanno rimesso in moto la storia. Il mondo contemporaneo mostra un diffuso ritorno delle identità collettive e delle politiche identitarie. In questo contesto emerge la rilevanza di una questione politica fondamentale: lo Stato-nazione può ancora essere considerato un modello identificativo preminente?
La globalizzazione non ha unificato il mondo, né lo ha reso omogeneo sul piano dei modelli culturali e politici. Gli stili di vita sociale, gli schemi culturali, gli orientamenti ideologici, politici, religiosi, economici, riguarderebbe soprattutto solo una parte del mondo, quella "occidentale", a fronte della quale restano contrapposte altre aree, a oriente e a sud, e in particolare su quel versante solo in parte territorializzato che è il "mondo islamico".
La globalizzazione occidentale convive, entro i suoi stessi confini territoriali, con un’altra tendenza: quella alla «frammentazione» che esprime sia processi generali di diversificazione socio-economica e culturale (localismo, regionalismo), sia tensioni e processi di frantumazione e ricomposizione politico-territoriali a livello statuale, inter-statuale o transfrontaliero (federalismo, autonomismo regionale, indipendentismo, secessionismo, nazionalismo e micronazionalismo spesso di natura etno-religiosa), tensioni che in talune aree assumono forme anche di conflitti violenti.
Lo Stato-nazione continua tuttavia a reagire alle sfide sovra e sub-statualnazionali. Fa valere la sua centralità come sistema di delimitazione e di regolazione dei processi politici, sebbene secondo modalità istituzionali in parte aggiornate e secondo capacità variabili, che dipendono sia dall’area geo-politica che dalla congiuntura degli eventi.
La perdita di investimenti verdi a favore degli Stati Uniti, l’aumento delle importazioni di veicoli elettrici dalla Cina e l’aumento dei prezzi dell’energia, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, rappresentano una condizione imprescindibile per il futuro dell’economia europea.
Lo sforzo per sostituire rapidamente il gas russo ha comportato un prezzo che potrebbe rendere alcune attività industriali finanziariamente non sostenibili, di fronte alla concorrenza internazionale. L’Ue rimane una delle economie più aperte del mondo e dipende fortemente dai mercati internazionali per la sua prosperità; l’adozione di misure protezionistiche come politiche di “buy European” rischiano di provocare reazioni di ritorsione e potrebbero mettere a repentaglio gli interessi fondamentali dell’UE rispetto a un sistema economico multilaterale.
Una politica industriale mal concepita rischia di far aumentare il divario tra gli Stati membri dell’UE che dispongono di capacità di intervento fiscale e quelli che ne sono privi. Un’asimmetria che potrebbe incrinare alle basi una delle più importanti conquiste dell’Unione Europea: il mercato unico.
La concorrenza della Cina non dovrebbe essere vista solo come una minaccia, ma anche come un’opportunità per stimolare l’innovazione e migliorare la competitività delle tecnologie verdi europee.
Chiudere il mercato europeo non è una soluzione praticabile se vogliamo che l’Europa mantenga l’accesso ai mercati globali delle esportazioni, che sono una fonte fondamentale della nostra prosperità.
La sfida principale per i prossimi anni è la competitività delle industrie energivore. In assenza di alternative valide, l’UE deve quindi raddoppiare gli sforzi per aiutare queste industrie a diventare ambientalmente sostenibili, non solo per sostenere i suoi obiettivi ambientali, ma anche per garantire la propria futura competitività in termini di costi ed evitare che lo scenario della deindustrializzazione diventi realtà.
Occorre tuttavia aggiornare il rapporto con il concetto di sicurezza in termini economico, di difesa, di commercio e di politica estera con un sostegno all’interesse nazionale in un’era di conflitto globale: la politica della produzione nazionale in un contesto di gestione delle crisi del capitalismo in cui lo Stato riveste un ruolo essenziale.
In questo contesto, un riferimento è rappresentato dall’esperienza innovativa di Biden: non ha promesso “America first” come il suo predecessore isolazionista, ma ha promosso la separazione delle forniture strategiche dalla Cina contestualmente rispondendo alle necessità dei lavoratori americani. L’approccio produttivista "supply-side" della politica economica di Biden si evidenzia con l’Inflation Reducition Act, un poderoso intervento per orientare le politiche americane sul commercio, tecnologie e affari esteri in un contesto competitivo con la Cina. Una politica che ha successo perché collega il globale con il locale e porta tangibili benefici a lavoratori e comunità nella formazione di nuovi lavori e nuove attività. Ciò comporta una grande attenzione alla politica industriale che ha ancora più senso per i Paesi, come l’Italia, fortemente concentrati nello sviluppo guidato dalle esportazioni.
È evidente che ciò che stiamo affrontando come “interesse nazionale” o come ruolo dello Stato si manifesta ancor più chiaramente se lo colleghiamo al ruolo dell’Europa. L’Europa non frammentata può giocarsi un ruolo importante con strategici vantaggi in specifici settori. Questo ci porta all’eterno dilemma di quanta risposta politica debba essere data a livello europeo e quanto per ogni singolo Stato nazionale.
Attualmente le risposte in questo campo non sono positive e le politiche adottate sono squisitamente di carattere nazionale.
La politica industriale europea sembra avere il compito di puntare e rafforzare l’innovazione a livello di singolo Stato invece che una politica integrata.
Le difficoltà di risposte di sistema europee esistono proprio in una fase in cui occorre ripensare al ruolo pubblico di stimolo dell’economia, non ritornando ad una logica degli aiuti diretti di Stato ma con la costruzione di un nuovo ruolo di stimolo. La necessità di guidare i processi di accorciamento delle filiere, di controllo degli acquisti esteri, di stimolo alla produzione interna di energia e di maggiore indipendenza nello sviluppo delle nuove tecnologie. L’importanza del concetto di Nazione, soprattutto nella sua accezione europea e del suo intervento diventa fondamentale per sviluppare gli investimenti e proteggere gli interessi nazionali.
Le popolazioni europee sono afflitte da una crescente sensazione di insicurezza, per il costo della crescita dei figli, dell’abitare, della cura della persona e delle preoccupazioni rispetto alla previdenza, il costo della vita che è sempre più innalzato dalle crisi globali e delle trasformazioni e rischia, se non affrontato seriamente, anche di mettere in discussione l’appartenenza atlantica degli stati europei.
Per affrontarlo occorre riportare lavoro e industria nei nostri territori, stimolando la vocazione manifatturiera che ci contraddistingue.
Ciò comporta un nuovo dilemma, tra la necessità di apertura dei mercati e libero scambio e la necessità di un maggior protezionismo per tutelare il lavoro, il rinnovamento industriale e la crescita economica. Per questo ha senso immaginare una taskforce che sostenga il riavvicinamento delle filiere e la necessità di infrastrutture produttive, sostenendo le imprese che riavvicinano i propri fornitori e promuovano una produzione sicura e la fornitura di beni con un aumento della qualità, della tecnologia e dei salari.
Lo Stato non deve avere il compito di ricostruire una “grandeur” produttiva basata sulle industrie del passato ma rivitalizzare le strutture istituzionali che consentono allo Stato di adattarsi ai periodi di trasformazione e incertezza, senza ritirarsi dalle catene di valore globali ma offrendo protezione ai propri lavoratori.
Insieme con l’impresa occorre quindi che lo Stato investa in competenze, formazione e nuove tecnologie, non in antagonismo con l’industria ma con la prospettiva di lungo termine che l’impresa non sempre può avere, offrendo quindi una maggiore produttività e crescita. La Nazione Europa per coordinare e intervenire nell’economia e nella società. Il luogo della definizione delle relazioni industriali (una parte cruciale della strategia industriale). I lavoratori e il lavoro al centro di un nuovo ordine economico basato su tre aspetti, nuove competenze, nuova produttività e nuova industria.
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