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SIMBOLICO

La ruota

di Fabiana D'arrigo

Bovindo

Bovindo – racconti da leggere, autori da scoprire è la rubrica dedicata a chi desidera far conoscere la propria voce letteraria e condividere il piacere del racconto breve.
Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, Bovindo propone un nuovo racconto, scelto tra autori esordienti e scrittori già affermati, offrendo ai lettori uno sguardo privilegiato sulla narrativa italiana contemporanea: una finestra luminosa da cui osservare il mondo attraverso tante piccole grandi storie.
Gli autori interessati possono inviare all’indirizzo bovindo2025@gmail.com il proprio racconto indicando nome, cognome, luogo di residenza e contatto telefonico. I testi, in lingua italiana e a tema libero, non dovranno superare le quattro pagine (formato A4, file Word). Sono ammessi racconti editi o inediti, senza limiti di genere. Per ulteriori informazioni: cellulare 327 1371380. Bovindo è uno spazio aperto e inclusivo, dove la scrittura respira, il talento si riconosce e ogni voce trova il suo lettore.


La ruota

di Fabiana D'arrigo

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Fosse uscita al solito orario non se ne sarebbe accorta, ma in questa mattina primaverile, ormai stranamente sveglia da prima dell’alba, Sara decise di cominciare la giornata prima. Quella strada la percorre tutti i giorni, con tutti i climi, quattro volte al giorno, due all’andata e due al ritorno: la fa con la pioggia e con la grandine, col profumo dei glicini e con quello delle rose, la fa correndo e a passo lento. Quella mattina cammina a un passo particolarmente lento, considerando che ha tutto il tempo a disposizione per andare al lavoro. Per questo la nota.
Una carta rivolta verso il marciapiede, unica orfana di qualche mazzo, ne è inspiegabilmente attratta. Già sollevandola sente la buona fattura: carta pesante, ruvida, il rilievo della filigrana dalle decorazioni dorate e verde bosco. È un pezzo dei tarocchi: una X centrata in cima, poi il disegno: LA RUOTA. Un paio di ipnotici occhi azzurro ghiaccio sembrano quasi fissarla, lo sguardo sicuro di una donna splendidamente vestita, imperatrice e Madonna; i lunghi capelli rossicci e mossi le ricadono lungo le spalle come un manto. È seduta sulla cima di una ruota decorata ma con un asse spezzato. Sembra quasi emanare potere, non solo la donna ma la carta stessa.
Sara la ripone con cura, la mette nella tasca del giubbotto. È rassicurante la leggera pesantezza che sente. Decide di concedersi un piccolo lusso: una colazione nel quasi anonimo bar ad appena un isolato dall’ufficio, così vicino eppure non vi è mai entrata.
Qualche avventore occasionale siede ai sobri tavolini rotondi, qualcuno ha un cappuccino accanto, qualcuno anche il giornale. Sara si avvicina al bar, guarda lo scarno assortimento di prodotti per la colazione: c’è l’ultimo pezzo della sua brioche preferita, la treccina con noci e miele. Dietro il bancone un ragazzo della sua età, magro, capelli neri e scarmigliati, movimenti precisi di chi è abituato a ripeterli cento volte al giorno.
«Buongiorno, cosa ti porto?»
«Un cappuccino con cacao e la treccina. Grazie.»
Comincia a trafficare con la macchinetta mentre continua a parlarle:
«Nuova del quartiere?»
«No, veramente abito qui da anni.»
«E perché non ti ho mai vista?»
«Perché conosci tutti di solito?»
«Qui non si vedono tante facce nuove.»
«Sono sempre di fretta, non mi capita mai di avere il tempo di fermarmi.»
«Questa mattina invece ti godi il tuo tempo e la tua treccina.»
Nel movimento che lui fa per servirle il cappuccino, Sara nota il piccolo tatuaggio sul polso di lui: un serpente che si morde la coda formando un cerchio quasi perfetto. Lui segue il suo sguardo.
«È l’Ouroboros, il serpente che divora sé stesso, il tempo che si piega e ritorna indietro, l’inizio e la fine.»
Si sente quasi punta sul vivo nell’essersi fatta scoprire a fissare.
«Parli sempre così tanto prima delle otto?»
«Solo se l’utenza è sotto i sessanta e sono già al terzo caffè.»
Sara paga velocemente e, nell’uscire, da dietro il buio del bancone brillano gli occhi di lui, dello stesso azzurro della sovrana della carta.
La mattinata in ufficio scorre normale, tra la pila di documenti che sembra sempre dello stesso livello, tra quelli archiviati e i nuovi che si aggiungono, le solite due o tre chiamate di utenti arrabbiati e il rumore cacofonico della macchinetta del caffè. Tutto considerato, le dodici e mezza arrivano presto e un inatteso desiderio attraversa la mente di Sara: potrebbe mangiare al bar, tanto il gatto e la zuppa di legumi la aspettano anche stasera.
Entra con una strana apprensione.
«Due volte nella stessa giornata?»
Il barista la prende in giro bonariamente, uno strofinaccio in mano, le maniche rimboccate; il sorriso sembra un po’ sarcastico, ma gli occhi sono brillanti.
«A questo punto facciamola completa.»
«Quindi ti aspetto pure per l’aperitivo?»
«Restiamo sul pranzo.»
«Comunque piacere, Marco.»
«Sara.»
La mano di lui è ruvida e calda, quasi la sensazione della carta vetrata sulla pelle, ma non è sgradevole.
Diventa una routine. Anche solo per un caffè veloce, il pranzo ogni tanto, quando si può permettere due minuti in più. Due chiacchiere, qualche battuta, un giocare sottile tra gatto e topo con ruoli non ben definiti. Si sorprende da sola Sara: lei che punta la sveglia prima per il piacere della colazione al bar, per truccarsi, per perdere un po’ di tempo in più nello scegliere i vestiti, quando prima viveva sul filo dell’orario per protrarre il più possibile il tempo a letto.
«Allora che dici, ci vediamo fuori di qua?»
Ha capito benissimo Sara, non vuole allungare il gioco.
«Stasera?»
«Pensavo che mi avresti risposto con qualche tua battuta.»
«Quindi hai parlato tanto per dire?»
«No. Per niente. Stasera va benissimo.»
Sara non è nervosa: si prepara con cura ma con tranquillità. Le fa piacere non sentirsi in ansia, essere padrona delle sue emozioni, viverle bene e appieno. A Marco tremano le mani: riguarda il suo scarno armadio, volendo quasi far materializzare abiti che non ci sono; ripiega su una camicia bianca sotto la giacca di pelle che indossa ogni giorno.
Si incontrano al bar, Sara arriva mentre lui abbassa la saracinesca. Girano l’angolo, salgono sulla moto nera di lui. Veloci in strada, le ultime case del paese lasciano spazio ai campi di granturco e poi giù fino al fiume. Lei si stringe forte ai suoi fianchi, aspira il buon profumo del giovane, gli stropiccia l’inamidata camicia bianca stringendola con le mani. Da qualche finestra traspare la luce accesa.
Marco porta la moto con la fluidità di movimenti di chi non ha fatto altro nella vita. Lei ha timore ma si lascia andare: gli occhi, da serrati per la paura, si fanno grandi per lo stupore e il piacere. Inaspettatamente lui le prende la mano e se la porta alla bocca, baciandola.
Si siedono sull’erba umida della sera, su una stuoia. Si crea un’intimità immediata. Si ferma il tempo. Sara si ritaglia un suo angolo tra le gambe di lui e poggia la testa alla spalla dell’uomo. Sotto le fronde del grande salice che cresce a pochi metri dall’acqua del fiume, nessuno li può vedere.
Lei lo tiene ancora per mano, è sempre calda la pelle di lui. Sara si stringe a lui, gli prende il viso tra le mani e lo bacia. È un bacio leggero, più timido del battito d’ali di una farfalla; con delicatezza lo spinge verso il tronco della pianta. È lui per primo a staccarsi dal bacio: i suoi occhi brillano, frastornato, col rumore dell’acqua e il tintinnio delle barche nelle orecchie.
Mezza sepolta nella fanghiglia, una ruota spezzata: un flash nella mente di Sara. Non aveva più pensato a quella carta trovata sul marciapiede. Si porta la mano alla tasca della giacca: è ancora lì, ne sente la pesantezza rassicurante. Quella ruota sembra essersi materializzata dalla carta alla vita reale: è identica, perfetta, precisa in ogni dettaglio.
Sara serve un cappuccino al tavolo del bar. È stato un totale ribaltamento della sua vita. Si è messa in aspettativa, è legata a Marco, inizia ogni giornata con l’odore del primo caffè fatto da lui. Pensano a rimodernare il bar per lavorarci insieme. Sara non ha mai parlato a Marco della carta, ma nel vederla lui ritiene che i suoi occhi non siano poi così simili a quelli della sovrana raffigurata, non ricorda neanche la ruota; è però certo che, da quando lei è entrata nel bar, due solitudini si sono completate in un’unità.
In un angoletto, incorniciata, quella carta – la cui sovrana ha misteriosamente gli occhi del colore di Marco – guarda davanti a sé. Ogni tanto la ruota sembra brillare e i suoi occhi sembrano ammiccare.

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