Cerca

Cerca

ROMANCE

Un filo sottile

di Tiziano Malfatto

Bovindo

Bovindo – racconti da leggere, autori da scoprire è la rubrica dedicata a chi desidera far conoscere la propria voce letteraria e condividere il piacere del racconto breve.
Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, Bovindo propone un nuovo racconto, scelto tra autori esordienti e scrittori già affermati, offrendo ai lettori uno sguardo privilegiato sulla narrativa italiana contemporanea: una finestra luminosa da cui osservare il mondo attraverso tante piccole grandi storie.
Gli autori interessati possono inviare all’indirizzo bovindo2025@gmail.com il proprio racconto indicando nome, cognome, luogo di residenza e contatto telefonico. I testi, in lingua italiana e a tema libero, non dovranno superare le quattro pagine (formato A4, file Word). Sono ammessi racconti editi o inediti, senza limiti di genere. Per ulteriori informazioni: cellulare 327 1371380. Bovindo è uno spazio aperto e inclusivo, dove la scrittura respira, il talento si riconosce e ogni voce trova il suo lettore.


Un filo sottile

di Tiziano Malfatto

k

“Non sono solo grandi eventi positivi che ci donano gioia. A volte anche le piccole cose che ci capitano nel corso della vita ci fanno stare bene.” Terminò con queste parole la conferenza. Un lungo e scrosciante applauso decretò il successo del suo discorso. Marco Fontina ringraziò il pubblico e gli diede appuntamento nella sala dove a breve sarebbe avvenuto il firmacopie del suo libro: “Il valore delle piccole cose.” Molti si precipitarono ad acquistare il libro e si misero in fila per l’autografo. Io non mi unii a loro, non ero d’accordo con le sue ultime frasi, ero convinto che le piccole cose non avessero alcun effetto sul mio umore.
Uscendo dal teatro dove si era svolta la conferenza, guardai l’ora e m’incamminai verso la stazione dei treni. Non avevo preventivato di assistere a quell’evento. Ero semplicemente arrivato con molto anticipo nei pressi della stazione, avevo notato dei manifesti che pubblicizzavano la presentazione del libro, e così per ingannare il tempo mi ero accomodato in teatro.
Entrai nella sala d’attesa della stazione, non era confortevole e sembrava poco pulita. Attesi l’arrivo del treno seduto sopra uno scomodo seggiolino, e mi ritrovai inconsapevolmente, più per abitudine che per necessità, con le dita sopra lo smartphone. Ero talmente assorto che solo un vociare più concitato distolse la mia attenzione. La sala si stava riempendo di colori, persone, rumori. Una scolaresca l’aveva invasa. Immaginai una gita.
Mi alzai e uscii sulla banchina. Il freddo era pungente. Di fianco, alla mia destra, non molto lontano, percepii una presenza. Lo sguardo non ebbe il tempo di osservare e rilevare in modo compiuto le sue sembianze: notai solo dei capelli lunghi, biondi e un cappotto scuro.
Il treno si annunciò con il suo consueto rumore, lo stridere dei freni era inconfondibile. Il viaggio stava per iniziare. Stavo tornando a casa, in provincia, per una breve vacanza. Tra molte ore avrei rivisto il mio mondo. Mi era mancato.
Salii e, completamente assorto nei miei pensieri, mi accomodai al posto assegnato. Il sedile accanto era vuoto, guardai fuori dal finestrino perso nelle mie riflessioni. Mi volsi, e mi accorsi solo in quel momento, di una persona che aveva occupato la poltrona alla mia destra. Non mi ero reso conto se arrivando mi avesse salutato.
Osservai di sbieco chi mi era accanto, notai un jeans e una maglietta anonima. Forse era la figura femminile che avevo notato sulla banchina.
Il convoglio partì. Il viaggio comprendeva anche tratte non servite dall’alta velocità, e questo significava che sarei rimasto molte ore comodamente seduto sul sedile accanto al finestrino. Ogni volta che mi trovavo a percorrere questo itinerario, lo consideravo come un vero e proprio viaggio: lo sguardo scrutava panorami diversi a ogni istante.
Non avevo mai avuto la frenesia di arrivare. Non guardavo mai l’orologio. Consideravo il viaggio un momento intimo, da vivere attimo dopo attimo.
Quindi mi misi a mio agio, osservai i campi coltivati della pianura padana, il cielo nuvoloso e poi, in modo imprevisto, più per stanchezza che per noia, gli occhi si chiusero e un sonno leggero prese il sopravvento.
Una voce mi svegliò. Aprii gli occhi e vidi un signore.
“Scusi, per cortesia, potrei avere il biglietto?”
“Scusi, lei.”
Cercai con la mano destra dentro la tasca interna sinistra della giacca, presi il documento e glielo consegnai. Lui controllò velocemente e me lo rese.
“Buon viaggio, signore.”
“Grazie”, risposi cercando di ricompormi.
Mi voltai verso il finestrino come per nascondermi, rendermi invisibile agli sguardi dei passeggeri. Sorrisi tra me: mi ero addormentato, e in quel momento d’incoscienza avrei davvero potuto fare di tutto: russare, parlare nel sonno, magari anche agitare le mani seguendo un sogno. O forse avevo solo respirato a bocca aperta, in modo ridicolo.
Trascorse qualche minuto, presi lo smartphone e iniziai a navigare a caso, anche se in realtà mi ero concentrato sulla persona che era seduta accanto a me. Non ne conoscevo il motivo ma m’incuriosiva.
Osservai la figura accanto a me per qualche secondo e poi rivolsi lo sguardo sul piccolo schermo. Fu un attimo, il momento di un respiro, ma bastò per avere una fotografia di lei. Rimasi colpito dal suo viso, e dall’aspetto orientale dei suoi occhi.
C’era qualcosa in me che non riuscivo ad evitare, guardavo il telefono, ma l’attenzione era attratta altrove, verso la donna che mi era seduta vicina.
Improvvisamente lei si alzò, prese qualcosa dalla borsa e si diresse verso i servizi.
La osservai cercando di non farmi notare. Non riuscii a stabilirne l’età con precisione: sicuramente non era molto giovane, ma, in una figura graziosa, minuta, dal faccino simpatico come la sua, è difficile individuare l’età. L’errore di valutazione sarebbe stato probabile. Quando ritornò, non mi voltai a guardarla.
Le ore scorrevano, e fuori dal finestrino la vegetazione era quella tipica del paesaggio laziale: i pini mediterranei si specchiavano nel mio sguardo.
Notai che lei, con lo sguardo, non seguiva le immagini che stavo osservando, nei suoi occhi il riflesso era un portatile, sul quale stava freneticamente digitando. Un’impiegata amministrativa, forse, pensai.
Il tempo scorreva e mi venne il desiderio di leggere, presi il libro che mi ero portato e iniziai a scorrere le righe, ma dopo una ventina di minuti decisi di abbandonare. Purtroppo la storia narrava vicende scontate e noiose. Lasciai la lettura.
Improvvisamente la mano di lei si avvicinò, raccolse qualcosa. Era piccola, curata, con le unghie dipinte di viola scuro. Quel colore, pensai, nulla c’entrava con l’idea che mi ero fatto di lei. Forse non era un’impiegata, forse era un’artista.
Lei stava calamitando sempre più la mia attenzione, cercai di pensare al modo di scambiare due parole, però con una frase a effetto, non banale, qualcosa che riuscisse a spiazzarla. Non mi venne in mente nulla.
Questo poteva significare che lei mi piaceva davvero? Mi sembrò assurdo anche il solo pensarlo: non la conoscevo, non conoscevo la sua voce, non potevo essere così coinvolto. Eppure da quel momento il finestrino, il libro, il cellulare non riuscirono più a catturare la mia concentrazione. La mia attenzione era solo per lei.
Non mi capacitavo di quello che mi stava succedendo.
Il treno stava purtroppo approssimandosi all’arrivo, avrei voluto che il viaggio non terminasse, ero dispiaciuto di essere arrivato. Non ero riuscito ad iniziare una conversazione, ad avere una strategia di contatto, tutto si era fermato alle intenzioni.
Velocemente gli oggetti furono riposti, e gli indumenti indossati. Mi voltai automaticamente. Senza guardarla accennai un saluto, ma il sedile vuoto raccontò di qualcuno che aveva abbandonato frettolosamente il luogo.
Pioveva forte, c’era vento.
“Mi perdoni, potrebbe darmi un passaggio fino alla fermata del bus? Non ho l’ombrello.” Era lei, ferma all’uscita della stazione. La pioggia l’aveva trattenuta.
“Certo”, risposi.
Notai il libro di Marco Fontina nella sua borsa.
“Lei crede che le piccole cose diano felicità?” dissi senza riflettere.
Lei non rispose, era intenta a chiudersi l’ultimo bottone del cappotto. Probabilmente non mi aveva sentito.
Verso il bus di quella sera invernale, il suo braccio si legò al mio per meglio ripararsi. Percepii il suo profumo. Dolce, intenso. Una piccola emozione mi attraversò. Era la sensazione che mi trasmetteva quella figura silenziosa e minuta al mio fianco.
“Vado, grazie del passaggio” disse guardandomi una volta arrivata alla fermata. Poi aggiunse: “Questi pochi passi, percorsi sotto il riparo che mi ha offerto, sono una piccola cosa, ma mi hanno fatto star bene, e mi ricorderò della sua gentilezza.”
“Di niente”, risposi.
Mi colse impreparato, non riuscii a pronunciare altre parole. Forse allora aveva udito la mia domanda di prima.
Rimasi da lontano ad osservare l’autobus che si fermava, e lei che saliva.
Incontri casuali, ma emotivamente coinvolgenti, capitano a chiunque, pensai.
Sono trascorsi anni. Marco Fontina ha trovato posto nella mia libreria.
Quando torno al paese e scendo dal treno, un filo sottile mi lega a quel ricordo. Attendo sempre l’arrivo dell’autobus, osservo le persone che salgono. E poi lo guardo partire.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Buonasera24

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Termini e condizioni

Termini e condizioni

×
Privacy Policy

Privacy Policy

×
Logo Federazione Italiana Liberi Editori