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REALISTICO-ROMANTICO

Venezia, estate 1975

di Fiorino Ludovico Smeraldi

Bovindo

Bovindo – racconti da leggere, autori da scoprire è la rubrica dedicata a chi desidera far conoscere la propria voce letteraria e condividere il piacere del racconto breve.
Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, Bovindo propone un nuovo racconto, scelto tra autori esordienti e scrittori già affermati, offrendo ai lettori uno sguardo privilegiato sulla narrativa italiana contemporanea: una finestra luminosa da cui osservare il mondo attraverso tante piccole grandi storie.
Gli autori interessati possono inviare all’indirizzo bovindo2025@gmail.com il proprio racconto indicando nome, cognome, luogo di residenza e contatto telefonico. I testi, in lingua italiana e a tema libero, non dovranno superare le quattro pagine (formato A4, file Word). Sono ammessi racconti editi o inediti, senza limiti di genere. Per ulteriori informazioni: cellulare 327 1371380. Bovindo è uno spazio aperto e inclusivo, dove la scrittura respira, il talento si riconosce e ogni voce trova il suo lettore.


Venezia, estate 1975

di Fiorino Ludovico Smeraldi

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Alle prime luci dell’alba il rumore dell’otturatore di una macchina fotografica svegliò Mattia, che dormiva su una panchina in campo San Vio con il capo reclinato all’indietro e la testa di Alvise poggiata sulla sua spalla.
«No! Torna a dormire! Siete troppo belli!» disse una ragazza continuando a puntare l’obiettivo sui due.
Mattia neanche provò a capire cosa la sconosciuta gli stesse dicendo, troppo impegnato a tentare di riprendere conoscenza. Poi, una volta aperti gli occhi, squadrò la fotografa. La guardò dal basso in alto: dagli stivali e pantaloni bianchi che coprivano due gambe slanciate, alla camicetta a pois blu annodata sull’ombelico, sino ai lunghi capelli color rosso intenso che sbucavano da dietro una Nikon con la tracolla.
Quando la macchina fotografica finalmente si spostò, rivelò un volto aggraziato e due occhi allegri, a giusto coronamento di una figura femminile assolutamente armoniosa.
Mattia, in modo brusco, tentò di svegliare Alvise. Lui, ancora dormendo, gettò uno sguardo alla ragazza, commentò con un «Ah, sei tu…» e richiuse gli occhi cercando di ritrovare la posizione perfetta sulla spalla del cugino.
Lei rise divertita, e quella risata terminò di svegliare Mattia, che chiese ad Alvise:
«Chi è?»
Questi, senza neanche degnarsi di riaprire gli occhi, rispose:
«Virginia Cavagnera, studentessa di lettere a Ca’ Foscari. Virginia, lui è Mattia Codetti, professore di liceo, oltre che mio cugino e cuscino. Ed è meglio come cuscino che come professore.»
Mattia si scrollò Alvise di dosso e allungò la mano verso Virginia.
«Piacere» disse.
Lei ricambiò il saluto e commentò:
«Come mai avete passato la notte sotto le stelle?»
«Un addio al celibato dalle parti dei Saloni. Forse abbiamo esagerato con il vino» rispose lui. Poi aggiunse:
«Dio, che mal di testa!»
«Si dice mal di festa, non di testa. Deve essere stato proprio un bell’addio all’alcolizzato... pardon, al celibato!» rise la ragazza.
Mattia abbozzò un sorriso. Forse avrebbe voluto replicare alla battuta, ma a quell’ora del mattino, dopo una notte di bagordi e un tempo imprecisato passato a dormire su una panchina, non riuscì a pensare a niente. Si limitò a girare la testa verso la serranda del fornaio che stava aprendo dietro di lui, in un angolo del campo.
«Colazione?» propose.
Virginia finse scherzosamente di pensarci, poi rispose:
«Va bene! Però non insistere sul conto… paghi tu!»
Mattia questa volta sorrise più apertamente:
«Non vorrei mancarti di rispetto. Oggi, tra cavalleria e femminismo, non si sa più come ci si deve comportare!»
«Se tutte le persone che mi han mancato di rispetto mi avessero offerto la colazione, le avrei perdonate più volentieri» disse lei. «E sarei decisamente più grassa, fidati.»
Mattia pensò rapidamente a due o tre interpretazioni da dare a quella risposta. Alla fine concluse che quella ragazza gli stava simpatica.
Si alzò dalla panchina lasciando ad Alvise lo spazio per sdraiarsi, e con Virginia percorse i pochi metri fino all’entrata del fornaio.
«Se aspettate due minuti, stanno per uscire i bomboloni» li avvertì l’uomo dietro il bancone.
«Crema o marmellata?» domandò Virginia.
«Crema.»
Lei guardò Mattia come aspettando un responso.
«Vada per la crema! Aspettiamo qui fuori, va bene?»
I due tornarono alla panchina. Alvise era steso con la pancia verso l’alto e un braccio che penzolava lateralmente.
Mattia estrasse dalla tasca dei pantaloni un pacchetto di Camel tutto schiacciato. Prese due sigarette ancora incredibilmente intatte, ne accese una e offrì l’altra a Virginia.
«No grazie, io fumo Philip Morris» rifiutò gentilmente lei. Poi prese di nuovo la macchina fotografica e cominciò a immortalare quella posa di Alvise, che stava ancora smaltendo la sbornia.
«Se sei uscita presto stamattina per fare fotografie, puoi trovare soggetti migliori. Anche se effettivamente è molto raro vedere Alvise in questo stato. Ma, a parziale giustificazione, ieri è quasi stato forzato a ubriacarsi all’addio al celibato» commentò Mattia.
«Devo ancora conoscere l’uomo che è forzato a bere! E in ogni caso guardalo: anche in queste condizioni è artistico. Sembra quel quadro La morte di Marat.»
Poi aggiunse:
«Di chi era l’addio al celibato?»
«Di un vecchio amico del liceo. Si sta per sposare con una specie di strega. Brutta e antipatica. Per fortuna ora c’è la legge sul divorzio.»
«Che brutto modo di cominciare un matrimonio! Già dover sperare nel divorzio!» rispose lei, divertita, riprendendo a fare fotografie allo scorcio di Canal Grande in fondo al campo.
«Comunque nessuna donna ha solo lati negativi. La futura sposa non può essere solo brutta e antipatica. Deve avere qualche qualità nascosta» asserì Virginia, senza staccare gli occhi dall’obiettivo.
«Ah no, certo!» confermò Mattia. «Non è neppure tanto nascosta questa qualità. È ricca!»
«Visto? Tutto si bilancia!»
Il fornaio uscì sulla porta sventolando un sacchetto con i bomboloni.
Mattia, come da accordi, pagò le 150 lire e divise il contenuto con Virginia.
Alvise, stiracchiandosi, si mise a sedere sulla panchina, ancora intontito. Si guardò intorno e vide i due far colazione in piedi sotto l’insegna del forno. Con molta fatica, non prima di due o tre tentativi, si alzò e, ancora barcollante, si incamminò verso il cugino e la ragazza che stavano gustandosi i bomboloni conversando amabilmente, come se fossero già vecchi amici.
«Buongiorno» li interruppe. Poi, sorpreso, guardò Mattia:
«Per me niente bombolone?»
Questi lo fissò con un volto ironicamente sconsolato:
«Credo che dentro ne siano avanzati un centinaio. Lasciando un obolo di 75 lire al fornaio te ne sarà dato uno in omaggio.»
Alvise fece per passare fra i due per guadagnare l’entrata. Di colpo si fermò e si voltò verso Virginia:
«Sei sempre innamorata di me?» chiese, come per verificare.
La ragazza quasi si strozzò con l’ultimo boccone della colazione.
«Mi mancava proprio la tua umiltà» sospirò.
Lui assunse un’espressione delusa:
«Non sai più accettare un complimento?»
«E quale sarebbe il complimento, scusa?» intervenne Mattia.
«Essere innamorata di me denota classe e buon gusto in una donna.»
«Ma se ti ha sorpreso a dormire su una panchina!»
«In ogni caso mi fa piacere che non abbia risposto!» sorrise soddisfatto Alvise, entrando nel negozio.
Virginia si affacciò alla porta e, con molta dolcezza, chiese al fornaio:
«Avete per caso un bombolone al cianuro? Va bene anche all’arsenico!»
«Ma sul serio eri innamorata di lui? Povera te!» commentò Mattia.
La ragazza fece una smorfia sconsolata con le labbra:
«Cose che capitano. Innamorata forse no, ma ero molto affascinata da lui. Cose che capitano.»
«Non chiedo per non essere invadente, ma sappi che mi hai lasciato con la curiosità.»
Lei lasciò perdere il broncio e tornò a sorridere, aprendosi come un libro:
«Ci siam conosciuti l’anno scorso a una mostra su Whistler, poi andammo a prenderci un gelato. Ha fatto un po’ il brillante analizzando i quadri… mi ha confusa: mi ero convinta fosse un genio.»
«Coraggio, non è colpa tua. Arte e gelato: ti ha fregato. Era difficile uscirne» la rincuorò bonariamente Mattia.
Lei annuì, come per concordare.
Alvise uscì con il suo bombolone caldo incartato per metà in un tovagliolo. Li guardò:
«Di che si parla?» chiese.

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