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INTROSPETTIVO

Teresa

di Tiziana Iannantuoni

Bovindo

Bovindo – racconti da leggere, autori da scoprire è la rubrica dedicata a chi desidera far conoscere la propria voce letteraria e condividere il piacere del racconto breve.
Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, Bovindo propone un nuovo racconto, scelto tra autori esordienti e scrittori già affermati, offrendo ai lettori uno sguardo privilegiato sulla narrativa italiana contemporanea: una finestra luminosa da cui osservare il mondo attraverso tante piccole grandi storie.
Gli autori interessati possono inviare all’indirizzo bovindo2025@gmail.com il proprio racconto indicando nome, cognome, luogo di residenza e contatto telefonico. I testi, in lingua italiana e a tema libero, non dovranno superare le quattro pagine (formato A4, file Word). Sono ammessi racconti editi o inediti, senza limiti di genere. Per ulteriori informazioni: cellulare 327 1371380. Bovindo è uno spazio aperto e inclusivo, dove la scrittura respira, il talento si riconosce e ogni voce trova il suo lettore.


Teresa

di Tiziana Iannantuoni

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Mi capitava spesso, la domenica mattina, soprattutto nelle giornate di sole, di uscire a fare una passeggiata.
Adoro camminare. Non lontano da casa avevo un bel parco verde, punteggiato da edifici antichi, pieni di storie dolorose. Lì, un tempo, c’era stato un noto manicomio. Alcune strutture erano state riadattate, divenendo uffici comunali; altre avevano trovato nuove funzioni: una casa di accoglienza per malati terminali, la sede di una cooperativa che si occupava di uomini e donne con disturbi mentali, un istituto per le terapie dei bambini con difficoltà neuropsichiatriche, ambulatori medici, perfino un museo della mente. Era come se le vicende del passato, racchiuse in quel luogo, cercassero nuovi spazi in cui continuare a vivere.
Camminando tra i sentieri immersi nella vegetazione, si avvertivano forti sensazioni: quello spazio aperto aveva racchiuso per anni tante anime, senza offrire vie di fuga. Le cose, però, possono cambiare, e passeggiare su quella terra trasmetteva il senso della volontà di donne e uomini illuminati che, con determinazione, avevano portato avanti idee anche rivoluzionarie.
Quel luogo mi rasserenava. I profumi, secondo la stagione, si mescolavano all’aria limpida. E c’era qualcosa, la domenica, che lo rendeva ancora più confortevole: in una delle piazze avevano concesso a un libraio di esporre la propria merce.
Era un uomo di una certa età, più che un libraio un raccoglitore di storie. Vendeva e acquistava libri usati. Non comprava tutto ciò che gli portavano: aveva bisogno di sapere da dove venissero quei libri, di conoscere la motivazione di quel passaggio di mani sulle parole. Dopo aver ascoltato i suoi potenziali clienti, prendeva con delicatezza il volume e, attraverso il tatto, decideva se acquistarlo.
Per lui la carta era importante: la porosità, il giallo del tempo, il tipo di stampa, la dedica iniziale. Le sue mani sapevano dove andare; sceglievano una pagina, e lo sguardo si posava su un capoverso. Poi la voce riempiva il senso delle parole. I libri avevano valore quando arrivava la musica, quando i capitoli diventavano spartiti.
Solo dopo questi passaggi, a cui dedicava il tempo necessario, stabiliva se comprare o meno il libro. A volte la sua valutazione era più alta di quella attesa dal venditore. Una volta acquistato, il volume non veniva subito messo in vendita: il libraio doveva prendersi il tempo della prima lettura, quella esclusiva. Il libro passava in una sorta di fase di decantazione, poi trovava posto sul suo banchetto. Conosceva alla perfezione la storia di ciascun volume.
Era un venditore insolito; non ero certa che traesse un vero profitto da quell’attività — o, almeno, non un profitto economico. Le emozioni che ricavava non avevano prezzo. Con il tempo aveva imparato a riconoscere i clienti: alcuni si affidavano completamente al suo intuito nella scelta del libro, e di rado tornavano per rivenderlo, rimettendolo in circolo. Le storie, in fondo, sapevano in quali case depositarsi.
Quella domenica mi avvicinai al suo banco. Il libraio mi conosceva bene: mi stava aspettando. Mi lasciò guardare e toccare. I libri, passandosi di mano in mano, sembravano animarsi, allungarsi in precise direzioni. Libri vivi, per chi sapeva ascoltarli. Non era un’abilità di tutti.
A un certo punto, l’anziano cercatore di parole prese un libriccino e disse:
«Questo è il libro per te, oggi. Hai bisogno di poesia. È una raccolta senza nome d’autore, un’edizione antica e limitata.»
Ascoltavo con piacere i suoi suggerimenti. Tesi le mani e presi il libro, stringendolo con cura.
Mi allontanai tutta soddisfatta per quel nuovo, singolare acquisto. Per me, comprare libri è come entrare in possesso di un bene prezioso. Non resistevo alla curiosità: lo aprii in mezzo alla strada e trovai dei versi scritti a penna, con grafia chiara ed elegante: «In qualche punto sotto la pelle, dove la carne diventa fluida, io sento le tue mani e le tue parole che mi sono entrate nel corpo. Mi possiedono perché tu mi guardi nell’anima.»
Quelle parole mi turbarono. Provai una sensazione di violazione, come se avessi oltrepassato un confine intimo che non mi apparteneva. Chiusi il libriccino e tornai verso casa.
Lo poggiai su un tavolinetto di vetro, sotto la finestra, accanto a una pianta di orchidea dai fiori bianchi striati di viola, in piena fioritura. Era il suo posto: una bellezza chiusa, custodita vicino a una bellezza esposta.
Il libro è ancora lì. Non ho più osato aprirlo, nonostante la curiosità. Ho sentito di doverlo a Teresa, per rispetto del suo amore e della sua anima.

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