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FANTASY

Tracce di memoria

di Diego Simonelli da Napoli

Bovindo

Bovindo – racconti da leggere, autori da scoprire è la rubrica dedicata a chi desidera far conoscere la propria voce letteraria e condividere il piacere del racconto breve.
Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, Bovindo propone un nuovo racconto, scelto tra autori esordienti e scrittori già affermati, offrendo ai lettori uno sguardo privilegiato sulla narrativa italiana contemporanea: una finestra luminosa da cui osservare il mondo attraverso tante piccole grandi storie.
Gli autori interessati possono inviare all’indirizzo bovindo2025@gmail.com il proprio racconto indicando nome, cognome, luogo di residenza e contatto telefonico. I testi, in lingua italiana e a tema libero, non dovranno superare le quattro pagine (formato A4, file Word). Sono ammessi racconti editi o inediti, senza limiti di genere. Per ulteriori informazioni: cellulare 327 1371380. Bovindo è uno spazio aperto e inclusivo, dove la scrittura respira, il talento si riconosce e ogni voce trova il suo lettore.


TRACCE DI MEMORIA

di DIEGO SIMONELLI

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Hai presente quella sensazione che ti viene a volte ascoltando la musica? Ti sarà sicuramente capitato di tornare con la mente a un ricordo, a una situazione, a un luogo, trasportato inconsapevolmente, meccanicamente, da una canzone. Ho scoperto che succede per un fenomeno scientifico chiamato earworm, dovuto al collegamento che esiste tra l’area del cervello responsabile dell’elaborazione della musica e quella che gestisce le emozioni e la memoria. Tutto parte da quella che viene definita “memoria contestuale”. È lo stesso meccanismo che determina quei tormentoni musicali che ti si inchiodano in testa e non vanno più via. Ma non voglio annoiarti con altre nozioni che, se vuoi, puoi tranquillamente approfondire da solo, semplicemente cercandole nell’infinito serbatoio del web.
Volevo piuttosto raccontarti una storia. Lo scorso weekend ho cominciato a mettere un po’ d’ordine nel vecchio garage di famiglia, che negli anni è diventato un vero e proprio deposito. Un universo di cianfrusaglie e di memoria impolverata. Erano anni che rimandavo. Ci entro sempre e solo “mirato”, per recuperare qualcosa di specifico o, al contrario, per depositarci qualcos’altro. Gran parte di quegli oggetti sono veicolo di ricordi. Ci entro e poi vado via. Velocemente. Per non inciamparci. Per non restarne imbrigliato.
Più che il tempo, forse, me ne mancava il coraggio. Ho trovato un vecchio lettore portatile di CD, di quelli che sostituirono, a metà degli anni Novanta, i vecchi walkman che suonavano con le musicassette. Roba da antiquariato ormai. Te li ricordi? I walkman, intendo. Non ricordavo quel lettore CD. Non ne conosco la provenienza, o forse semplicemente l’ho dimenticata. Non legge gli MP3, ovviamente: quelli sarebbero arrivati soltanto molto tempo dopo. L’ho portato a casa, curioso di scoprire se ancora funzionava. Ho inserito le batterie e quindi ho cercato un CD da riprodurre. Ne avrò un centinaio, custoditi gelosamente nel mobiletto che comprai apposta da Ikea molti anni fa, prima ancora che nascesse Claudio, il mio primogenito, prima che il web rivoluzionasse radicalmente il modo di ottenere e ascoltare la musica. Dai ripiani del mobiletto, in cui i miei CD sono ordinati in modo che qualcuno definirebbe “maniacale”, ho tirato fuori una raccolta dei Culture Club. Quanto mi piacevano! Te lo ricordi Boy George, il cantante? Ho visto di recente una sua foto di adesso. Com’è diventato! Quanto ha infierito su di lui il tempo. Ci sono rimasto malissimo… Ad ogni modo, ho messo le cuffie e ho fatto partire Love is love, una canzone cui sono particolarmente affezionato.
Tenevo in mano il lettore, che mi dava però una sensazione strana, insolita, come se trasmettesse una sorta di pulsazione. Una vibrazione, forse. Non ci feci caso al momento. Comunque, funzionava! Funzionava in modo molto particolare, come mi sono reso conto subito. Sono su un balcone. Guardo all’interno dell’appartamento. Tanti ragazzi stipati insieme. Una festa di adolescenti. Qualcuno balla, qualcuno sgranocchia qualcosa. Mi guardo intorno. Mi vedo! Ci sono io sul balcone! Giuro! Mi vedo! Sono io! Ho diciassette anni, il gesso alla caviglia sinistra, mi tengo sulle stampelle e abbraccio Elena, quella che oggi è mia moglie. La bacio. È il giorno in cui ci siamo messi insieme. Certo che me lo ricordo! È il compleanno di Marianna, una sua compagna di classe che sarebbe stata, molti anni dopo, la nostra testimone di nozze. Dall’interno sento provenire la musica: Love is love dei Culture Club.
Non lo stavo semplicemente ricordando. Non era solo un ricordo vivido. Lo vedevo! Lo vivevo! Non potevo toccarli, ma io ero lì! Sentivo addosso perfino il freddo di quel febbraio del 1987 sul balcone di quell’appartamento. Non ci potevo credere: ero davvero di nuovo lì, spettatore di qualcosa accaduto ormai troppi anni fa. Finita la canzone, in un attimo sono di nuovo a casa, nel mio tempo, nel mio corpo. Di nuovo con quello strano lettore CD tra le mani e con le cuffie indossate in testa.
Suona la canzone successiva, sento la musica che mi arriva dalle cuffie. La ascolto semplicemente. Non avverto più quella vibrazione, quel ronzio, quel battito o qualunque cosa fosse. Interrompo la musica. Lo spengo. Ero assolutamente sconcertato. Avevo avuto una visione? Ero svenuto? Ero ubriaco? No – almeno ubriaco sicuramente no. Sono sempre stato assolutamente astemio. Cosa mi era successo, allora? Non me lo spiegavo. Che avresti fatto tu? Io ho preso un altro CD, dopo aver riposto accuratamente il precedente al suo posto, nonostante la situazione assurda (maniacale, vero?). Questo era un album dei Pooh, il mio gruppo italiano preferito. Con le cuffie ancora sulle orecchie e ancora completamente frastornato, cominciano a scorrere le tracce. La musica ha subito l’effetto di rasserenarmi, ma l’ascolto senza che mi succeda niente di strano – anzi, di assurdo, come mi era appena accaduto. Mi ero quasi convinto di aver sognato, quando arriva la traccia numero sei di quel bellissimo album del 1980, Stop. L’inconfondibile riff della tastiera della canzone Canterò per te. Il lettore torna a “pulsare” in quel momento tra le mie mani e mi catapulta immediatamente all’estate del 1980. Sono a Scanno, in montagna, in Abruzzo, in vacanza ad agosto con i miei genitori. Ricordo che percorrevamo a piedi, dall’albergo in cui alloggiavamo, una lunga strada costeggiata da pini, fino a raggiungere il lago che era un po’ più a valle. Mi vedo, bambino, mano nella mano di mia madre. Sotto al mio braccio libero, un pallone blu. Davanti a me, piccolo, mio padre, giovane, in pantaloncini. Vedo da dietro le sue gambe magre, al tempo ancora sane, forti, e ancora due, che mi sembravano lunghissime allora. Ha le braccia tese e tiene per le mani, una per lato, le mie sorelle. Io sono di nuovo lì. Fisicamente. Sento il profumo dei pini, la leggera brezza di montagna sul viso, lo scricchiolio dei passi sul selciato. Davanti a me quel piccolo e, ai miei occhi di adulto, tenerissimo corteo passa accanto a un juke-box, subito fuori da un bar lungo il percorso. Sta suonando proprio il pezzo di quel gruppo al quale mi affezionerò tanto, di lì a qualche anno. Termina la canzone sul mio particolarissimo lettore. Sono di nuovo a casa. Mi accorgo di avere le guance rigate di lacrime. È successo ancora. È successo di nuovo! È assolutamente assurdo, ma quel lettore mi ha fatto fisicamente rivivere i miei ricordi. Riviverli! Mi ci ha risucchiato dentro. Sembra impossibile, vero? Anzi, è assolutamente impossibile. Eppure è successo. Due volte! Cominciavo a capire l’incredibile meccanismo, l’assurdo funzionamento di quel lettore, senza poter contare ovviamente su un libretto d’istruzioni che potesse guidarmi. La canzone riprodotta mi riportava fisicamente dentro al ricordo, quando la mia mente – la mia memoria contestuale (te ne ho parlato prima, ricordi?) – aveva legato quel ricordo a quella canzone.
E quella strana pulsazione che sentivo tenendolo tra le mani, quel ronzio, doveva evidentemente essere il segnale che il lettore, in quel momento, percepiva in qualche modo, per qualche motivo incredibile, quella connessione tra ricordo e musica, e avviava la sua funzione straordinaria. Doveva essere così, e decisi di provarlo. Eccitatissimo, cominciai a masterizzare un CD con canzoni che sapevo di aver legato a dei ricordi, sperando funzionasse. Non potevo ovviamente essere certo di come lavorasse la mia famigerata memoria contestuale – sempre che la mia assurda ipotesi fosse quella giusta. Chiusi il CD con dieci tracce. Avevo fretta di finire. Lo misi nel lettore magico, indossai le cuffie e attesi il battito. La prima traccia scorse via senza nessun “effetto speciale”. Lo stesso la seconda. Alla terza avvertii tra le mani la vibrazione: La Isla Bonita, brano di Madonna del 1986. Sono a scuola. Riconosco la classe del liceo. Sono all’ultimo anno. Un casino enorme. Eccomi lì, mi vedo! In piedi con gli altri. Che bello! Ci siamo tutti. Risate a crepapelle. C’è chi batte le mani a ritmo, chi balla. In classe nessun professore. Solo noi. Ricordo fosse un’ora “buca”, professore assente, e per la quale – fidando sulla maturità di alunni all’ultimo anno – ci avevano lasciati soli senza sostituzione, raccomandandoci calma e responsabilità. Noi, tutti in cerchio attorno a un banco al centro dell’aula. Gli altri banchi stipati in qualche modo sui lati. Sul banco centrale, in piedi, c’è Antonio che, con una rosa tra i denti presa chissà dove, si esibisce in un improbabile flamenco con relativo battere ritmico dei piedi. In sottofondo, da uno stereo che qualcuno ha portato con sé da casa, sento le note della canzone di Madonna. Ridevo ancora – quanto, e forse più, del me stesso di allora – quando terminò la canzone. Tornato di colpo nella realtà, metto in pausa il lettore. Devo prendere fiato. Ho di nuovo le lacrime sul viso. Stavolta non sapevo se fosse per le risate o per la commozione di rivedere giovani i miei compagni di classe. Chissà cosa penserebbero oggi di Antonio, i membri della sua giunta di Circoscrizione, di cui è stimato presidente, se lo avessero visto ballare allora su quel banco del liceo… Rimetto in funzione il lettore. Quarto brano: solo musica. Peccato! Avrei voluto rivivere il “nostro” primo scudetto, in quel 10 maggio 1987 allo stadio, ascoltando ’O surdato ’nnammurato nella versione di Massimo Ranieri. Evidentemente la mia memoria contestuale non si “aggancia” sempre. Quinto brano: Girl, dei Beatles. Vibra! Ed eccomi. È sera. Estate 1986. Sono ancora in vacanza. Passeggio per il centro di Baia Domizia con la mia comitiva estiva. Che bello rivederli! Ci siamo completamente persi di lì a qualche estate. Non li ho più rivisti! Mi vedo lì, appoggiato a una panchina, fuori da un bar che, ricordo, ogni sera aveva un gruppo di tre persone che facevano piano-bar: chitarra, basso e tastiere. Ascolto rapito. Sento anche il profumo che proviene dal pub immediatamente vicino e quello della pasticceria dove avremmo comprato l’immancabile graffa, subito dopo. Ogni sera suonano lo stesso repertorio, ed io mi ero innamorato di una canzone che fino ad allora non conoscevo. Mi piaceva tanto quel ritornello, quella sorta di fruscio, di respiro profondo – non saprei come altro definirlo – che accompagnava il verso “Oh girl”! Non avevo mai riflettuto sul fatto che furono loro ad “iniziarmi” all’ascolto del più grande gruppo di tutti i tempi. Finisce il brano. Di nuovo a casa. Mi trovavo tra le mani una sorta di macchina del tempo. Una macchina del tempo alimentata dalla musica, che faceva fermate ai segnalibri disseminati nella mia memoria. Avrei potuto costruire, in qualsiasi momento, un percorso guidato nei ricordi. Che meraviglia! La storia che volevo raccontarti finisce qui. Spero ti sia piaciuta. Vienimi a trovare, però. Facciamo due chiacchiere, prendiamo un caffè. Magari ascoltiamo un po’ di musica. Se vuoi, porta qualche CD. Quelli che preferisci.

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