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ANTROPOLOGICO

Vivere il caos

di Matteo Gennari da Rio de Janeiro

Bovindo

Bovindo – racconti da leggere, autori da scoprire è la rubrica dedicata a chi desidera far conoscere la propria voce letteraria e condividere il piacere del racconto breve.
Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, Bovindo propone un nuovo racconto, scelto tra autori esordienti e scrittori già affermati, offrendo ai lettori uno sguardo privilegiato sulla narrativa italiana contemporanea: una finestra luminosa da cui osservare il mondo attraverso tante piccole grandi storie.
Gli autori interessati possono inviare all’indirizzo bovindo2025@gmail.com il proprio racconto indicando nome, cognome, luogo di residenza e contatto telefonico. I testi, in lingua italiana e a tema libero, non dovranno superare le quattro pagine (formato A4, file Word). Sono ammessi racconti editi o inediti, senza limiti di genere. Per ulteriori informazioni: cellulare 327 1371380. Bovindo è uno spazio aperto e inclusivo, dove la scrittura respira, il talento si riconosce e ogni voce trova il suo lettore.


Vivere il caos

di Matteo Gennari

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Prima la sparatoria durante una videochiamata con un’alunna da New York.
– Tà tà tarrattarattà!
– Che succede? – ha chiesto lei.
– La polizia è entrata nella favela Tabajara, a duecento metri da casa mia.
– Ma noi… continuiamo?
– Certo – ho risposto con un po’ d’apprensione.
Abbiamo ripreso la lettura de La figlia oscura di Elena Ferrante: la protagonista è in una spiaggia del centro-sud, attorno napoletani chiassosi le ricordano i genitori, i parenti. È una donna di mezz’età. Senza le figlie già grandi, partite per andare a vivere con il padre in Canada o negli Stati Uniti, lei si sente leggera, libera e sola.
– Tà tà tarrattarattà!
Tutto a Copacabana è continuato normalmente, nessun negozio ha chiuso. Qualcuno si è nascosto sotto il bancone, altri hanno corso. In una foto del giornale, una madre tappa gli occhi della figlia mentre la polizia passa con un cadavere trasportato sopra un sacco, tenuto da quattro o cinque uomini dei reparti speciali: tute mimetiche, giubbotti antiproiettile.
Cinque morti ammazzati a duecento metri da casa mia mentre insegnavo italiano online. E la vita lavorativa è continuata normalmente.
L’alunna che vive a New York è brasiliana, come la maggioranza dei miei studenti e studentesse. Il Brasile le manca, sta pensando di tornare.
Oltre agli spari si sentivano le eliche di un elicottero che non è stato abbattuto perché il narcotraffico di Tabajara non ha mitragliatrici calibro .50. La polizia lo sapeva: i reparti speciali conoscono ogni dettaglio della favela.
Durante una rapina a mano armata era stato ucciso un loro commilitone. Il poliziotto tornava dalla casa della madre; quando ha visto i banditi in mezzo alla strada è uscito dall’abitacolo, ha reagito e lo hanno fatto fuori. La fidanzata era in una macchina blindata che procedeva dietro alla sua. È una giudice. Il giornale ha scritto che, dopo essersi accorto dell’imboscata, si è girato verso di lei e le ha fatto segno di andarsene.
L’ingresso in favela dei reparti è stata la vendetta della giudice. Alla polizia era arrivata l’informazione che l’assassino o gli assassini venivano da Tabajara. Sono entrati per ammazzare e sono usciti con cinque corpi, tra cui due narcos soprannominati Pieno d’Odio e Cioccolatino.
In casa con me c’era, stranamente, mia moglie: sono abituato a stare solo mentre tutti lavorano o studiano fuori, solo con una cagnolina di nome Miele. Mia moglie ha fatto un intervento di chirurgia estetica ed è convalescente. Rilassata, dolorante, passa lunghe ore in camera, cosa che non ha mai fatto prima.
Le ho detto:
– Stanno sparando, chiudi le finestre.
– Ma tu credi che i proiettili non li rompano i vetri?
Prima la sparatoria, poi un rituale in un terreiro di macumba con dei romani in visita qui a Rio.
Il Pai è più giovane di me e ha tagliato i capelli alla moicana. Due romani gli hanno chiesto di leggergli i búzios, delle conchiglie che vengono lanciate su un ripiano di pelle. Se cadono con la parte aperta verso l’alto significano una cosa, se cadono con la parte chiusa significano un’altra.
Il Pai prima ha letto le conchiglie a Germana. Io le ero seduto accanto in qualità di traduttore. Il centro in cui li ho portati l’ho frequentato ogni venerdì per anni. Il vecchio Pai era capo spirituale mio e dell’attuale, ma poi ha avuto un ictus e si è ritirato.
Germana gli ha comunicato la data di nascita; lui l’ha scritta, divisa su due colonnine, ha fatto un rapido calcolo e le ha detto qual è il suo odù, un numero che viene dall’Africa.
Con il nuovo Pai tutto nel centro religioso viene dall’Africa. Con l’altro Pai c’era anche un po’ d’Europa, tra cattolicesimo e spiritismo; ma con l’attuale tutto viene dalla radice Keto del Candomblé, dalla Nigeria, dagli schiavi nigeriani obbligati a immigrare in Brasile tra il Settecento e l’Ottocento. Anche il sangue della maggioranza dei cadaveri dei narcos della favela viene, alla lontana, dagli stessi posti.
Il nuovo Pai sacrifica animali prima dei rituali; il vecchio non lo faceva e la cosa mi ha sconvolto.
Ogni volta che i búzios di Germana cadevano sul ripiano, il numero era lo stesso. Ogni odù ha un significato diverso: alcuni rappresentano gli orixás, le divinità del Candomblé.
Nel Candomblé ogni orixá ha una decina di sotto-orixás, specie di divinità minori che ne definiscono le caratteristiche. Nel centro del vecchio Pai ogni orixá era unico; con il nuovo, ogni lettura e ogni interpretazione si sono fatte più complicate.
Il Pai ha detto alla bella romana che è accerchiata da persone che vogliono scaricarle addosso i loro problemi, ma lei non ha la struttura per reggere così tanti pesi: deve liberarsene. Ha troppi pensieri, è una persona che vuole che tutto sia preciso, organizzato, ogni cosa al suo posto, che tutti attorno stiano bene – ma questo è impossibile: bisogna imparare a vivere il caos, lasciare che il destino segua il suo corso.
Dopo di lei è toccato a Pierpaolo, che ha la faccia da vecchio lupo di mare. Quando il Pai, di carnagione chiara come la mia e con uno spillo all’orecchio, ha scritto i numeri della data di nascita del romano, gli si sono illuminati gli occhi.
– Il tuo odù è il 10, come il mio! Noi ci assomigliamo.
Tu hai un Exù, un Tranca Rua che ti protegge ovunque vai, ti fa intuire quando stai per entrare in una situazione di pericolo. Ascoltalo, ascolta la tua intuizione. Sei un uomo fortunato: non hai mai avuto problemi economici né li avrai, anzi, stai per ricevere parecchi soldi. Devi solo evitare che persone poco raccomandabili incrocino il tuo cammino; Tranca Rua ti dirà come fare. E poi vedo che sei… un donnaiolo!
Io e il Pai abbiamo riso.
«Dici di volerti trovare una donna fissa, ma sei nemico della routine, sia nel lavoro che in amore, e ti stai ingannando.»
Durante il rituale a cui abbiamo partecipato, a Fabio – romano pensieroso – una medium posseduta da uno spirito ha detto che la fine dell’ultima relazione è stata un bene per lui: deve riuscire a staccarsene, liberarsi della nostalgia e dell’amore rimasti. Dopo avergli coperto la testa con un velo, una donna quasi strega gli ha passato una candela davanti al viso, mentre tutt’intorno rintronavano i canti e i tamburi.
Fabio, quando era entrato nel tempio religioso, aveva chiuso gli occhi e visto la casa in cui la madre viveva quando lui era bambino a Roma: i corridoi, i quadri, proprio com’erano a quei tempi.

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