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Il riconoscimento

Il Premio Letterario Vitruvio ad una tarantina

Premiata Maria Rosaria Intermite

Nella serata conclusiva del Premio Letterario Internazionale Vitruvio 2023, la scrittrice tarantina Maria Rosaria Intermite si è aggiudicata il primo premio per la lirica "Sali in alto" nella sezione Poesia Religiosa. Un premio prestigioso, giunto alla sua diciottesima edizione sotto la Direzione dell’architetto Enrico Romano e della dottoressa Chiara Armillis, che vanta il patrocinio dell’Università del Salento, con la presenza attiva del prof. Ordinario di Filosofia Ennio De Bellis in qualità di Presidente di Giuria. La serata finale del premio alla Presenza del sindaco di Lecce Carlo Salvemini e della professoressa Manuela De Giorgi, delegata alla Valorizzazione del territorio dal Rettore dell’Università del Salento, si è svolta sabato 16 settembre, presso la Sala Teatrino dell’Ex Convitto Palmieri. Una sede prestigiosa e storica per un premio che esalta la ricerca delle radici, del senso del silenzio e della connessione con il tutto e con gli altri. Il motto di questa edizione è stato “Comunanza, condivisione, armonia. Magia? No, è Poesia!” per sottolineare come le corde più profonde di ognuno possano parlare solo attraverso la magia della poesia e mentre esse vibrano creano connessioni, incontri e comunanza con gli altri.

Tutte le immagini sono di ALESSANDRO FIORE FOTO PROGETTI

Abbiamo chiesto all’autrice come mai la scelta di una poesia religiosa, per lei che solitamente scrive d’amore?

Definirei ‘Sali in alto’ una poesia spirituale. Una spiritualità che non è assente nei miei scritti. Ad esempio nel romanzo ‘Cuore di pellicano’ scrivevo che «Ci  sono  incontri che non  possono  essere raccontati, vanno  solo  ascoltati. Essi  parlano  nel  loro  svolgersi mostrando  tutti  gli  insospettabili riflessi dell’ Essere che si  incarna nelle sue creature, perché, a volte, la  risposta può  essere una  persona». Spesso ci dimentichiamo che il mistero del Creatore è tutto nella creatura. Che non si può conoscere Dio, l’Essere Supremo, se non ci si arrende alla bellezza delle sue creature. Non è automatico né semplice. La brutalità che manifesta la società contemporanea annebbia e soffoca ogni volontà di esprimere e perseguire la bellezza. Perciò, da un lato ci si chiude in sé stessi per difendersi e non si mostra il vero volto, quello più bello e genuino che come creature di Dio è innato in ognuno. D’altro non lo si ricerca più. Invece di donare la parte migliore di noi respingiamo, giudichiamo e costruiamo barriere. Alla fine si resta delle monadi senza alcun senso di umanità.

Per amare Dio bisogna amare l’uomo, dunque?

Solo l’incontro con l’altro ci porta ad essere noi stessi. E dunque a mostrare la nostra vera essenza, quel riflesso autentico di una porzione dell’unico respiro spirituale che ci rende parti di una stessa umanità. L’incontro senza pregiudizi, preconcetti e forme di generalizzazioni, ovviamente. Ognuno è un universo a sé stante che sfugge a qualsiasi giudizio aprioristico. E questo è qualcosa che il vivere quotidiano ha dimenticato. Senza comprendere che mentre evitiamo l’autenticità dell’incontro con l’altro, ostacoliamo di incontrare e conoscere veramente noi stessi. L’amore è sempre incarnazione in un volto, in uno sguardo, in un sorriso, in un corpo. Ed è quel corpo che ci porta oltre, verso un Infinito di cui abbiamo fame e sete. Ma siamo troppi orgogliosi per ammetterlo.

Salire in alto è un portarsi oltre o un portarsi altrove ?

Se per altrove si intende una fuga, no. Non è un altrove da cui scrollarsi le responsabilità o uno stordimento delle domande interiori che ci assillano. È una ricerca di un orizzonte di bellezza che non vediamo, che qualcuno non ci mostra più o in cui abbiamo smesso di credere perché troppo delusi e feriti. Viviamo in una realtà che esalta la perfezione, il successo e la forza. Così quando ci sentiamo fragili e vulnerabili, ci pensiamo sbagliati rispetto al resto degli esseri umani. E invece sono proprio le fragilità che ci rendono davvero umani. Ogni frattura è una porta per un mondo sconosciuto, per lo sconfinato universo che inconsapevolmente portiamo dentro. Esattamente come uno lastra di marmo. Perché ci piace tanto? Perché ci piacciono le sue venature. Ebbene quelle venature sono le sue fratture, ed è ciò che lo rende prezioso. Lo stesso vale per l’animo umano.

Di qualcosa dobbiamo pur riempire queste fratture?

La risposta alle fratture non è sempre immediata né tanto meno scontata. In ogni caso è un incontro. Direi, un incontro provvidenziale, che salva. La salvezza è solo nell’Amore e attraverso l’Amore. Nell’essere amato e nell’amare ci si costruisce, ci si edifica e ci si eleva. L’ Amore (quello che io scrivo sempre con la lettera maiuscola) fatto di dono reciproco, di spirito di sacrificio, di comprensione e sostegno, di scoperta e stupore, è davvero il punto finale. È la vetta più alta cui l’essere umano può aspirare e innalzarsi. Dove trovare finalmente Dio.

Ha qualcosa da raccontare sulla serata di premiazione?

Grazie agli interventi di danza organizzati dal Centro Danza di Squinzano, sotto la direzione artistica della maestra Giovanna Rollo, si è per un attimo tornati alle origini della poesia. Quando essa era cantata, accompagnata da una cetra o una lira e danzata. La poesia conserva ancora oggi la ricerca del suono mentre la si compone. Per poi sopravvivere soltanto nella voce di chi la declama, pur restando il mondo più affine e vicino al cantautorato. L’attenzione al suono si è trasformato in un magico esperimento quando due liriche degli organizzatori sono stati tramutati in suoni e gesti proprio dalle giovani danzatrici, in totale assenza di musica. È stato uno dei momenti più estasiati. Oltre a quello della premiazione, ovviamente!

Come ha trovato il momento della proclamazione?

È stato bellissimo respirare la storia tra le mura dell’ex Convitto Palmieri, sentirle vibrare della mia voce, dei versi e dei miei sentimenti. Ho trovato un pubblico attento, partecipe e aperto al dialogo. Ognuno degli autori è riuscito a trovare una sintonia con l’altro e alla fine davvero ne è derivata una sintesi di comunanza e condivisione, come era nell’intenzione degli organizzatori. La sensibilità di scrittori ha rotto argini, barriere e distanze. Eravamo un vero e proprio corpo unico. Ringrazio immensamente tutti gli autorevoli organizzatori per la premura e la stima profonda che mi hanno riservato.

LA POESIA

SALI IN ALTO

Se vorrai vedere meglio

sali in alto.

Non importa dove tu sia

ma sali in alto.

Sali sul clivo natio

che dolcemente al divino protende,

sali sul dorso dell’onda

che eternamente si inarca,

sali sulla cruna dell’abbacinante

ultimo bagliore

che lacrimando il giorno ti lascia.

 

Non importa se la grigia città pare

alcuna desiderata altezza donare,

ma sali in alto.

E la distanza frapponi

tra te e la ruggine

degli errori delle passate stagioni,

tra te e le vertigini

delle presenti labili emozioni.

 

Tendi verso il celeste ciborio

che ci avvolge,

lì, ove ogni senso dimora

dilatando i confini

al di là del quotidiano orizzonte.

 

E librati come un gabbiano,

che scrollato di dosso il vissuto,

dopo essersi saziato

dell’immensa ambrosia

graziosamente offerta

dal dorato astro,

lesto recupera nuovo respiro

per tornare a ricoprirsi

della salsedine del creato.

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