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L'analisi

Il lavoro che al Mezzogiorno non c’è

Le questioni irrisolte dopo il primo maggio

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Lavoro

Il lavoro è il valore primario della nostra Carta, su cui si sostanza la nostra democrazia. Ma il diritto al lavoro è stato ed è sconosciuto a molti, e ciò rappresenta una grave questione sociale soprattutto nel Mezzogiorno, ed è ancora più giusto creare lavoro in un tempo in cui i fattori recessivi indotti dalla pandemia e della guerra e la ripresa dell’inflazione stanno producendo una restrizione della crescita economica e un aumento della disoccupazione e delle diseguaglianze. Gli italiani residenti all’estero, all’inizio del 2023, sono quasi 6 milioni.

E 1,8 milioni hanno meno di trent’anni. Per raccontare i dati da un altro punto di vista, si può dire che il 10,7% della popolazione giovanile nazionale vive stabilmente in un altro paese: più di metà di loro ha scelto una città in Europa. L’Italia, già nettamente in crisi demografica, continua insomma a perdere i suoi giovani, che partono in cerca di migliori condizioni di Ci sono altri movimenti demografici che meritano attenzione. Per esempio, quelli che dicono che in dieci anni il Mezzogiorno nel suo complesso ha perso oltre 500mila residenti, con una forte componente di ragazze e ragazzi dai 25 ai 34 anni. Sono dati noti, naturalmente. Testimonianze di tendenze che vanno avanti da tempo. Senza che questa grave ferita sociale abbia risposte politiche adeguate. Vale dunque la pena ricordarsene, ancora una volta, mentre si discute di riforma delle autonomie differenziate, di maggiore e migliore integrazione europea e dunque di necessità di fare tutto il possibile per cercare di affrontare quel divario tra Nord e Sud che nel corso del tempo è drammaticamente cresciuto (lo continuano a documentare le ricerche Svimez) e che proprio un buon impiego delle risorse del PNRR potrebbe contribuire a ridurre. Nel 1951 il Pil pro capite nel Mezzogiorno era pari al 70% di quello del Nord. All’inizio degli anni Novanta, era sceso al 60%. Nel 2020, al 55%: la metà. E, proprio guardando ai giovani, serve ricordare che il 62% degli italiani tra i 25 e i 34 anni è occupato. Ma, spostandosi dalla media nazionale alle medie locali, si vede che lo è il 74% nel Nord Ovest, il 76% nel Nord Est e solo il 45,7% nel Mezzogiorno. La media nazionale, insomma, comunque al di sotto di quella europea, nasconde forti divari regionali. Il Sud diseguale, non avvantaggia affatto lo sviluppo del Paese, la sua integrazione europea. Non serve, non favorisce certo le regioni del Nord, anche perché frena e distorce la produttività e la competitività di tutto il sistema Italia. Aggrava gli squilibri e i disagi sociali.

Ostacola profondamente le scelte di sviluppo sostenibile, ambientale e sociale. Servono dunque scelte politiche di fondo. Per la crescita del Sud. Tra infrastrutture materiali e immateriali, investimenti produttivi, ambiziosi piani di formazione all’altezza delle sfide poste dalla twin transition digitale e ambientale. Il Mezzogiorno, la sua intelligenza storica, la sua collocazione geografica baricentrica in un Mediterraneo che ha una crescente rilevanza geopolitica sono tutte condizioni che vanno considerate in una strategia europea di ripresa dell’Italia. Quanto sia utile o meno, in questa strategia, l’autonomia regionale differenziata non ci sono ancora dati chiari per dirlo. Di certo, le politiche industriali, fiscali, di ricerca e formazione e le infrastrutture vanno considerate in un disegno unitario che abbia radici a Bruxelles e sguardo verso il Mezzogiorno Mediterraneo.

Le migrazioni degli italiani fotografate da Istat e Svimez: a partire sono soprattutto studenti e laureati, dal Mezzogiorno vanno al Centro e al Nord, da dove invece scelgono l’estero Ha un’età compresa tra 25 e 34 anni un emigrato italiano su tre: in totale 31mila, di cui oltre 14mila hanno una laurea o un titolo superiore alla laurea. La quota maggiore è costituita da studenti che sono andati via dal Sud diretti verso il Nord e il Centro del Paese, meno verso l’estero. È questo il ritratto sociodemografico che emerge dai dati Istat, pubblicati nell’ultimo rapporto “Migrazioni interne e internazionali della popolazione residente”. Dati che certificano come la fuga di cervelli nel nostro Paese sia un esodo inarrestabile, soprattutto nel Mezzogiorno dove le opportunità di trovare un lavoro ben retribuito o di fare carriera restano un miraggio.

Alfredo VENTURINI

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