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L'analisi

L’assoluzione di Mori, De Donno e Subranni

C’È UN GIUDICE A ROMA

Corte di Cassazione

Corte di Cassazione

I giustizialisti di ogni colore da tempo sostengono la necessità di semplificare il processo penale, anche con la riduzione delle possibilità di ricorso e, magari, abolendo la Suprema Corte (Cassazione). Ricordiamo le polemiche col Giudice Carnevale (ammazzasentenze), ricordiamo le numerose sentenze riformatrici di precedenti errori di giustizia e ci domandiamo quale sarebbe il destino di un paese con la giustizia in mano alla politica dei gruppi più faziosi di magistrati, giornalisti e loro sostenitori nelle aule di rappresentanza dei cittadini senza nemmeno la possibilità di un giudice supremo a correggere errori spesso artatamente voluti dal sottostante inestricabile intreccio.

Si è alimentata una rete persecutoria che ha fatto delle procedure speciali la regola per pesca a strascico di imputati e pentiti delatori, montando processi pompati dalle indiscrezioni e materiali forniti ad arte, in fase istruttoria, ai mass media con costruzione di carriere intrecciate e supportate tra tribunali, giornali, stampa, televisioni. C’è una data ricorrente all’origine della presa del potere per via giudiziaria dei cattocomunisti, immuni grazie ad una precedente amnistia che aveva steso un velo tombale sui finanziamenti illeciti dall’est e non approfondito, quanto con altri, i proventi da imprese di ogni colore. 1992/3 morte di Falcone, morte di Borsellino, monetine fascio-comuniste contro Craxi, attentato di Firenze, avvio della tenaglia contro la democrazia con legislazioni antigarantiste in politica e contro presunte trattative stato mafia, la normativa antimafia utilizzata per indagare senza garanzie anche dove sarebbero bastati strumenti ordinari (salvo, come a Roma, strabismi clamorosi su foto parlanti).

Andata al governo alternativamente di Berlusconi e degli ex comunisti e cattolici alla condizione di un preciso allineamento internazionale e di non disturbare i manovratori. Risultato: paese demolito nella sua politica verso il popolo, prevalere totale delle lobby e dei megafoni delle procure, politica spettacolo eterodiretta dai talk e dai giornali vecchi e nuovi, salvo rare eccezioni. A tutto questo sono sopravvissuti, ed hanno fatto il possibile, magistrati (maggioranza) fedeli alla legge e non alla politica delle punte estremiste, in particolare presidenti silenziosi di tribunale di ogni grado, soprattutto una Cassazione che con le sentenze Contrada e Mori ha reso l’onore agli imputati dopo le distruzioni da malagiustizia. Dopo trent’anni, mentre la verità faticosamente si fa strada nel deserto del disinteresse politico della maggioranza degli italiani, ci si deve ancora chiedere come dare uguale giustizia a tutti i cittadini, come dividere le funzioni giudicanti con un ruolo paritario reale tra accusa e difesa ed un corpo giudicante indipendente ed accessibile da tutti gli operatori della giustizia, come riformare un paese senza limitarsi al soddisfacimento di personali interessi presidenzialisti, come restituire ruolo propositivo e di controllo ad un parlamento troppo simile ai cavalli di Caligola, come impedire la divisione del paese senza equità e ciechi alle possibilità di sviluppo date dal Mezzogiorno.

I movimenti riformatori, civici, europeisti tentano di dare risposte politiche alla non-politica attraverso forme di partecipazione che partendo dalle necessità dei territori pensino per sistemi ed operino per progetti (non necessariamente solo locali), spostando il focus degli interessi dalle lobby agli uomini ed ai loro interessi reali. Rimane la rabbia per servitori dello stato volutamente bloccati nella loro opera con imputazioni farlocche e processi pluridecennali, voluti anche per intimidire migliaia di altri che si prodigano ogni giorno per la comunità; rimane la soddisfazione di constatare che nonostante tutto, ed alla faccia di parecchi livorosi, Esistono ancora giudici a Roma.

 

Giancarlo ARMENIA

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