Per secoli, gli abitanti di migliaia di isole, dal Mare del Nord al Mediterraneo, hanno contribuito alla storia europea. Oggi i loro problemi restano fuori dalle politiche pubbliche, e intere comunità rischiano di scomparire. Ai poli opposti dell’Europa, le vicende degli isolani sembrano assomigliarsi. Le isole sono frutto di contaminazioni millenarie perché, attraverso il Mediterraneo, tutti sono approdati nei nostri porti e tutti ci hanno lasciato e preso qualcosa Le isole minori possiedono il principio dell’accoglienza nel DNA perché assimilato nei secoli: da sempre le isole sono state luoghi di sbarchi da parte di altre popolazioni, che gli isolani hanno sempre finito per integrare con le culture proprie originarie. Mancano politiche mirate, nazionali ed europee, e molto spesso lo sfruttamento turistico di bellezze naturali e tradizioni locali maschera solo stagionalmente le sfide quotidiane di milioni di isolani. Dopo un lungo iter legislativo e grazie a un sostegno bipartisan, con la legge costituzionale 7 novembre 2022, n. 2, recante “Modifica all’articolo 119 della Costituzione, concernente il riconoscimento delle peculiarità delle Isole e il superamento degli svantaggi derivanti dall’insularità”, le isole hanno fatto il loro ingresso nella Costituzione della Repubblica. Nell’inserire un comma aggiuntivo dopo il quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione, la legge costituzionale prevede che “la Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità”. La riduzione dei disagi derivanti dalla condizione di insularità dipende non solo dalla collocazione geografica, ma anche da altri fattori quali la demografia, l’esistenza di servizi pubblici essenziali e la disponibilità di collegamenti marittimi e aerei, condizione imprescindibile per garantire effettività alla libertà di circolazione tutelata dall’articolo 16 della Costituzione. Sono state, dunque, riconosciute a livello costituzionale le peculiarità della condizione insulare e l’esigenza di garantire a tutti i cittadini uguali condizioni di fruizione dei diritti fondamentali, così attenuando gli svantaggi derivanti dalle difficoltà di connessione. Si tratta di un’ulteriore e puntuale specificazione del principio di uguaglianza sostanziale sancito dall’articolo 3, secondo comma, della Costituzione, là dove si impegna la Repubblica a rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini. Con la riforma del Titolo V della Costituzione, il cosiddetto federalismo fiscale del 2001, il Parlamento aveva infatti cancellato una precedente menzione nel testo costituzionale alla valorizzazione del «Mezzogiorno e delle Isole», per la quale «lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali». La modifica costituzionale nasce da un referendum di iniziativa popolare lanciato nel 2018 dal Comitato promotore sardo per l’insularità, con il sostegno della Federazione delle associazioni sarde in Italia e dell’Associazione nazionale comuni isole minori (ANCIM). Uno studio del 2020 della Regione Sicilia, su un modello econometrico proposto dall’Istituto Bruno Leoni, stimava a 6,5 miliardi di euro per la Sicilia e a 5,8 per la Sardegna il costo annuale necessario a colmare gli svantaggi dell’insularità, ovvero il 7,4% e il 16,8% del prodotto interno lordo annuale delle due isole. La legge di bilancio per il 2023 prevede ancora poche risorse esplicitamente legate al nuovo articolo 119. Si tratta di 20 milioni di euro in due anni per il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, destinati a garantire un «completo ed efficace sistema di collegamenti aerei da e per la Sicilia e da e per la Sardegna», ovvero alla cosìdetta continuità territoriale, peraltro già finanziata tramite altri accordi tra lo Stato e gli enti locali. La Finanziaria prevede però anche l’istituzione di un «Fondo nazionale per il contrasto degli svantaggi derivanti dall’insularità, con una dotazione di due milioni di euro per ciascuno degli anni 2023, 2024 e 2025», suddiviso in un Fondo per gli investimenti strategici e in un Fondo per la compensazione degli svantaggi. Pur se accompagnate da stanziamenti limitati, le disposizioni della legge di bilancio sembrano quindi delineare la prima bozza di una politica italiana per le isole, richiesta anche dall’Ancim, la rete delle piccole isole, che nel maggio 2022 chiedeva di creare una «Area Vasta ed Omogenea di sviluppo delle Isole Minori», limitando «la pletora di Comitati e Cabine di regia che stanno dimostrando la loro non rispondenza alle esigenze di innovazione» del mondo delle isole. Appena sette delle isole minori italiane sono collegate alla rete elettrica nazionale, mentre per le restanti, tra cui quasi tutte le isole siciliane, la fornitura elettrica è garantita in gran parte da centrali a gasolio. Una prima risposta a questa carenza arriva tramite il programma Isole Verdi inserito a fine 2021 nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e rivolto ai 13 comuni delle 19 isole non connesse alla rete elettrica nazionale. Duecento milioni di euro, un quarto dei quali va alle sei Isole Eolie, territorio del Comune di Lipari, per interventi di «efficientamento energetico e idrico, mobilità sostenibile, gestione del ciclo dei rifiuti, economia circolare, produzione di energia rinnovabile». Se guardiamo alle politiche strutturali di sviluppo locale, le più richieste da enti locali e organizzazioni di rappresentanza, per la loro replicabilità, la novità più importante sembra essere l’inserimento delle isole minori nella Strategia nazionale aree interne (Snai), nata nel 2012 per rispondere all’esodo dai territori più depressi della penisola, attivando servizi di base in ambito sanitario, dell’istruzione, dei trasporti e dell’abitare.
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