La commissaria europea ai trasporti Adina Ioana Valean ha definito il ponte sullo stretto una infrastruttura decisiva non solo per Reggio e Messina ma per il Nord ed il Mediterraneo, dichiarando l’assoluta disponibilità a sostenere l’avvio dell’infrastruttura strategica per il Mezzogiorno e l’Europa Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto sulla realizzazione del collegamento tra Sicilia e Calabria. Il ministero dell’Economia, nella misura non inferiore al 51%, esercita i diritti dell’azionista d’intesa con il ministero delle Infrastrutture, al quale sono attribuite funzioni di indirizzo, controllo, vigilanza tecnica e operativa nella “Stretto di Messina Spa”, società a cui partecipano Rfi, Anas, le Regioni Sicilia e Calabria e, per la quale, il CdM ha deciso la revoca dello stato di liquidazione. Si riparte dal progetto definitivo del 2011 che verrà adeguato alle nuove norme tecniche, di sicurezza e ambientali. Il nuovo iter autorizzativo dovrà bollinare il ponte più lungo al mondo (3,2 chilometri), che rappresenterà il fiore all’occhiello dell’arte ingegneristica italiana. Noi oggi siamo un Paese che incomprensibilmente tiene una realtà di sei milioni di abitanti, come la Sicilia, separata dall’Europa. Il ponte sullo stretto può essere considerato un atto di perequazione al quale vengono connesse la Reggio Calabria Taranto, il completamento delle autostrade siciliane, il completamento della rete ferroviaria, gli aspetti infrastrutturali che fanno diventare il ponte un momento sistemico della piattaforma economica e logistica mediterranea già costruita per il sessanta per cento e che va completata. Il Ponte non sarà una cattedrale nel deserto, come sostengono i critici dell’opera. Sarà una infrastruttura, che genererà sviluppo, occupazione e crescita economica e che, a cascata, determinerà la realizzazione di altri interventi infrastrutturali necessari alla Calabria e alla Sicilia. È oltretutto chiara ed incontrovertibile la rilevanza strategica dell’opera a scala comunitaria. La banale critica alla realizzazione del ponte basata sulla opportunità di realizzare prima altre opere infrastrutturali è del tutto inutile e nasconde, invece, la vera motivazione: la infrastruttura ponte è la prima azione dello Stato slegata da ogni logica localistica, è la prima azione dello Stato dal dopoguerra in cui non si creano impianti industriali concordati con gli organi locali mirati alla creazione di posti di lavoro e ricchi di compromessi clientelari, è la prima volta che nel Mezzogiorno si annullano le ridicole logiche portate avanti nella gestione dei Fondi comunitari (Fondo Coesione e Sviluppo, PON, POR, ecc.) e si invocano le risorse previste dal Fondo delle Reti Trans European Network (TEN – T), cioè il ponte diventa non uno dei progetti ma il progetto chiave del Corridoio Comunitario Berlino – Palermo (oggi Helsinki La Valletta). Questa rilevanza strategica preoccupa e dà fastidio a chi come coloro che governano le Regioni Calabria e Sicilia intravedono in un simile intervento un segno forte che modifica non solo l’impianto geografico del Mezzogiorno ma soprattutto quello economico e politico. Se l’offerta infrastrutturale che garantisce la mobilità delle persone e delle merci è il riferimento chiave per la crescita o per la decrescita è appropriato dedurre che i Governi che si sono succeduti dal 2014 ad oggi hanno praticamente scelto come ambito per il Mezzogiorno proprio la decrescita. Un comportamento davvero irresponsabile che non ha messo in crisi un settore ma ha compromesso la crescita dell’intero Mezzogiorno. Se così non fosse avrebbero dato concretamente attuazione ad opere già avviate dalla Legge Obiettivo come la Agrigento – Caltanissetta, come la Palermo –Agrigento, come la Ragusa – Catania, come la rete ferroviaria ad alta velocità Palermo – Messina – Catania, come il sistema ferroviario Circumetnea, come il ponte sullo Stretto di Messina, come l’asse ferroviario ad alta velocità Salerno – Reggio Calabria, come la autostrada Caianello – Benevento (Telesina), come l’autostrada Molisana, come la Strada Statale 106 Ionica, come l’asse stradale Maglie – Santa Maria di Leuca, come il collegamento tra il porto di Napoli e la piastra logistica Nola – Marcianise, come il collegamento tra la autostrada A1 e il porto di Bari, come il completamento della metropolitana di Napoli. Tutto questo non è avvenuto e, alla luce di quanto abbiamo capito dalla esperienza vissuta con la pandemia, questa scelta non ha colpito solo il mondo delle costruzioni, questa scelta irresponsabile ha ulteriormente distrutto le potenzialità del Mezzogiorno d’Italia. In sei anni avremmo potuto investire nel Mezzogiorno oltre 35 miliardi tutti disponibili da Fondi PON e POR e TEN, e non lo abbiamo fatto; oggi avremmo potuto utilizzare il Recovery Fund per nuovi investimenti e invece forse tenteremo di utilizzarne solo una parte. È un grossolano errore pensare al trasporto come uno dei comparti classici della macchina dello Stato; il trasporto, è il riferimento portante di tutto l’impianto socio - economico del Paese, è, senza dubbio, l’anima dell’intera nostra economia. Lo aveva compreso Claudio Signorile quando nel 1984 volle redigere il primo Piano Generale dei Trasporti: ritenne opportuno che si affrontasse l’approccio alla redazione del Piano tenendo conto anche delle caratteristiche storiche, dei fattori esogeni ed endogeni che, direttamente o indirettamente, avevano condizionato la crescita e lo sviluppo del Paese e quelli che, in futuro, avrebbero potuto condizionare l’attuazione di alcune linee strategiche. Due storici, Fernand Braudel e Valerio Castronovo, che erano convinti della importanza del teatro economico rappresentato dal bacino del Mediterraneo, indicarono le linee metodologiche utili per una lettura dei fenomeni che avevano, nel tempo, condizionato la crescita e ne avevano ritardato la sua naturale evoluzione. Braudel contrapponeva, con la forza di convinzione che derivava da una conoscenza precisa di fonti sterminate, la visione di un mondo ancora pieno di traffici e di contrasti, di tensioni e scambi, di cui erano partecipi, direttamente o indirettamente, non solo i Paesi rivieraschi, ma anche Stati lontani. In altre parole, la vitalità dell’area mediterranea, la civiltà del vecchio mondo che risultava ancora dirompente ed essenziale per il mondo nuovo. Valerio Castronovo invece, seguì tutti i lavori del Piano e approfondì le interazioni tra le grandi aziende industriali del Paese e la loro incidenza nelle fasi di crescita non solo del Paese ma del sistema di Paesi al contorno del nostro. i il rapporto tra il nostro Paese ed i Paesi che si affacciano sul bacino. L’intero gruppo degli esperti, decise che uno degli obiettivi chiave del Piano doveva essere il “trasferimento su ferrovia di una quota rilevante di merci che venivano trasportate sulla rete stradale”. Erano pienamente convinti di un simile obiettivo e ribadirono subito che tale finalità non poteva essere di un singolo Paese ma doveva, necessariamente, coinvolgere l’intero sistema comunitario e decisero di proporre al Parlamento europeo la redazione di un master plan dell’intero sistema trasportistico della Unione Europea e l’allora Ministro dei Trasporti Claudio Signorile, nel semestre di Presidenza italiana dell’Unione Europea, avanzò tale proposta e nel 1986 il master plan, prodotto dagli esperti dal Piano Generale dei Trasporti italiano, fu approvato dal Parlamento europeo. Il Paese oggi continua a vivere nel grave equivoco, nella grave dicotomia tra chi crede e vuole fare le infrastrutture e chi non le vuole realizzare; una dicotomia paradossale perché, nei fatti, sia i sostenitori del fare che quelli del non fare alla fine assistono inermi al blocco della offerta infrastrutturale. La realizzazione del ponte sullo Stretto può diventare una grande occasione non per riaprire un dibattito o riaccendere uno scontro ma per far uscire allo scoperto proprio coloro che hanno per anni ricoperto il ruolo dei sostenitori dell’opera e nei fatti poi hanno preferito il fallimento dell’iniziativa progettuale. Non è scontato che si siano arresi…
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