Già dai primi anni del 2000 vi erano chiare indicazioni di un declino economico del nostro Paese, aggravate, peraltro, da una graduale, ma rapida, degenerazione di un quadro politico e partitico caratterizzato da instabilità sostanziale e dal consolidamento di collegamenti perversi tra diversi settori nevralgici della Nazione e con imprenditorialità pubblica e privata. Un clima di grave e preoccupante degrado culturale, ideologico e morale decisamente allarmante, che ha determinato, tra altri danni, una esasperazione delle ataviche divergenze tra il Nord ed il Sud del Paese, sia in termini di Pil, che di qualità di governo del territorio e servizi primari. Nonostante ciò, proprio in quegli stessi anni, si faceva largo un Mezzogiorno diverso da quello comunemente narrato, un Mezzogiorno vivo e presente nelle relazioni internazionali, nel quale cominciavano ad essere esistenti imprese innovative con capacità di guardare oltre i confini nazionali. Questo Meridione così volitivo e determinato, nonostante una contemporanea attenzione dell’Europa e lo sviluppo di politiche di sostegno, non ha potuto tradurre il suo slancio in un effettivo recupero dell’esistente divario con il Nord, principalmente per la incapacità politica di indirizzare compiute risorse al suo sistema infrastrutturale. Scelte politiche, certamente orbe e presumibilmente torbide negli intenti, non hanno colto la necessità del Mezzogiorno di essere supportato dallo sviluppo di reti di collegamento. Il difetto di accessibilità dei territori è rimasto pressoché invariato ostacolando ogni processo di valorizzazione delle risorse territoriali. Il Piano nazionale integrato è stato abbandonato. Opere di rilevanza fondamentale come aeroporti, collegamenti viari, ferroviari e porti non sono state realizzate o lo sono state con l’uso dei fondi strutturali europei e dunque con spesa sostitutiva e non aggiuntiva, straordinaria e non ordinaria. L’Alta velocità ferroviaria è rimasta confinata nel Nord e centro del Paese e l’autostrada Salerno-Reggio Calabria, sebbene munita di corsia d’emergenza, è sostanzialmente rimasta un’autostrada di montagna. La Sicilia, seconda regione più popolata d’Italia, pur rappresentando un’area di estrema rilevanza per suo il patrimonio culturale, ambientale ed identitario, è ancora scollegata dal resto della Nazione e quasi totalmente priva di collegamenti ferroviari, i quali, come peraltro in tutto il Sud, sono rimasti quelli del 1800, in parte solo “cosmeticamente” riammodernati. Dominano ancora i trasporti su strada, con largo e dannoso uso diffuso di mezzi individuali. Il sistema autostradale del Sud, per lo più privo di manutenzione, non vede in Calabria connessioni tra autostrada e centri urbani ed in Sicilia non sono mai state realizzate e/o completate le tangenziali verso le principali città. I collegamenti con gli aeroporti sono inesistenti, disorganizzati ed affidati a mezzi di trasporto privato ed individuale. Per scelta del governo centrale e con il concorso della insipienza delle rappresentanze politiche meridionali, la crisi finanziaria del 2007-2011 è stato il pretesto per interrompere quel minimo processo di convergenza Nord- Sud, che qualche piccolo effetto aveva prodotto. Il Ponte sullo Stretto di Messina è rimasto una chimera, è stata cancellata la prospettiva di dotare i nostri territori di Alta velocità e, di fatto, le aree meridionali sono state estromesse dal core del sistema di connessioni strategiche europee. In questo nostro Sud, oltraggiato da circa un trentennio di scelte ottuse di una classe politica inadeguata, i giovani e le donne più qualificati sono ancora costretti a scegliere di vivere altrove, mentre si continua a rimanere sordi anche ai rapporti Svimez, che da tempo evidenziano come, questo stato di cose, non integri un rischio solo per il Sud ma per l’intero Paese. Gli ultimi drammatici accadimenti, dalla pandemia alla guerra in Ucraina, con le gravi conseguenze economiche e sociali che hanno determinato, sembravano avere puntato nuovamente i riflettori dell’Unione Europea sulle aree più deboli del nostro Paese, registrando la necessità di investimenti, da quelli inerenti i servizi, sino alla logistica ed a quelli diretti a garantire accessibilità nelle reti di mobilità e di connessione, materiali e immateriali. Malgrado ciò e pur cambiando gli attori in scena, lo spettacolo sembra essere rimasto invariato ed interessi di consolidamento di assetti politici nazionali, reiteratamente equilibristici, oggi inducono il Parlamento in carica a contemplare spinte forzate su autonomie differenziate, in spregio delle condizioni in essere, dei bisogni sostanziali del cittadini del meridione e del mai realizzato (e certamente non realizzabile a breve termine) adeguamento dei L.E.P.. Sono queste le condizioni che debbono indurre tutti coloro che si sentono ispirati da principi di giustizia sociale, prima ancora che di ideale politico, ad attivarsi per mettere in campo, non già mere e sterili critiche, ma possibili, esperibili ed auspicabili soluzioni. Claudio Signorile e Mezzogiorno Federato, da tempo hanno visto nella previsione dell’art.117 della Costituzione, la possibilità di realizzare e rendere esecutivo un piano di azione concretamente diretto al recupero di un gap non più tollerabile, che consenta alla straordinarietà di molte risorse umane, mortificate e spinte, massicciamente ed in forma permanente, fuori dai loro contesti, a riprogettare il proprio futuro nei territori di appartenenza e contribuire fattivamente al rilancio economico e sociale dell’intero Paese e dell’Europa. Non esiste una sola ragione per non lavorare in modo unitario a questo progetto, se non la connivenza con un passato di scelte politiche ed amministrative, incapaci ed immorali. Mezzogiorno Federato ha da tempo scelto di distogliere lo sguardo da questo indecoroso passato e di utilizzare le capacità, i talenti e la forza di cui dispone per la costruzione di un nuovo edificante futuro. Andremo avanti cosi, come facevano i nostri Grandi Maestri, indifferenti ai compiacimenti momentanei e transitori e stimolati dal giudizio della storia!
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