Oggi, 19 gennaio 2023, sono 23 anni che Bettino Craxi se n’è andato. 23 anni! Per i socialisti l’era del rancore e dell’odio nei confronti di coloro che ne hanno determinato la fine e con lui quella del sogno socialista è finita per cedere il passo alla lettura storica dei fatti, alla valutazione serena dei protagonisti e alla voglia di tenere vivo il legato che Craxi ha lasciato al Paese e alle nuove generazioni che non lo hanno conosciuto. A noi socialisti, ultimi testimoni di una civiltà e di una cultura, il compito di trasmettere alle nuove generazioni i valori morali, politici e civili del socialismo e la lezione di uomini che ormai appartengono alla storia come Nenni, Lombardi e appunto Craxi. Certo la ferita c’è ancora ma essa dopo tanti anni e tanto scorrere della politica si è ormai rimarginata anche se ne rimane la cicatrice che fa ancora male. I o a 23 anni dalla sua scomparsa voglio qui ricordare Bettino Craxi così come l’ho incontrato la prima volta di persona e come l’ho raccontato in un articolo scritto molti anni fa e pubblicato in un mio libro nel quale ricordo quell’incontro. Me lo ricordo ancora quando, nel 1977, di fresca elezione a Segretario Nazionale del PSI, Craxi venne a Taranto per concludere una grandiosa Festa dell’Avanti che la Federazione di Taranto aveva organizzato in Piazza Garibaldi. Io, di fresca elezione a Segretario Provinciale del PSI jonico, andai a prenderlo all’uscita dell’autostrada, a Massafra. A me, che allora ero un fuscello, sembrò un gigante tanto era alto. Non ero della sua corrente, ero lombardiano, della sinistra socialista, e nutrivo una certa diffidenza nei suoi confronti poichè non condividevo il suo prendere le distanze dall’allora PCI. Allora “l’unità della sinistra per costruire l’alternativa socialista” per me era un valore assoluto perché così ci aveva insegnato Riccardo Lombardi. E lui a me sembrava si muovesse in direzione opposta. “Come va?” mi disse accogliendomi nella sua Alfetta 2000. Era cordiale ma i modi erano i soliti, bruschi e sbrigativi. Volle sapere tutto da me, sul partito, sull’amministrazione, sui rapporti con gli altri partiti, sulla festa dell’Avanti. Mi regalò dei libri, suoi discorsi, qualche saggio, un libro su Nenni, delle fotografie. “Caro Guadagnolo”, mi disse, quasi mi avesse letto dentro la diffidenza politica nei suoi confronti, “qui non ci ama nessuno, tutti ci vogliono fare la pelle. Dobbiamo dare gomitate a destra e a sinistra per far sapere che ci siamo, senza complessi nei confronti di nessuno”. In tre parole mi aveva spiegato la sua idea di centralità dei socialisti che intendeva perseguire. Al Delfino, un brevissimo incontro con Claudio Signorile, allora Vice segretario Nazionale del partito e con i compagni della Federazione di Taranto, poi, via, in Piazza Garibaldi dove, di fronte ad oltre 5000 persone, sfoderò il meglio di sè. Lucido, ironico, tagliente, sprezzante, arrogante, le pause studiate al punto giusto più rumorose di qualsiasi retorica. Menò fendenti a destra e a sinistra infiammando il pubblico e risvegliando l’orgoglio socialista nei militanti che lo ascoltavano. Rimase impressionato per l’entusiasmo e il calore delle migliaia di persone che lo applaudirono freneticamente. “Bravo”, mi disse, “il partito è vivo, vai avanti”. Sono ormai 23 anni che Craxi se n’è andato e riposa nel piccolo e disadorno cimitero di Hammamet. Però diamine neanche una cappella! Ma in compenso ha il mare davanti e insegue sull’orizzonte l’ombra di un Paese per il quale ha dato tutto e che lo ha ripagato con la calunnia, l’insulto, l’infamia e la persecuzione. Eppure Bettino è morto col nome di quel Paese sulle labbra come un figlio che in punto di morte invoca la madre che non c’è e che gli è stata matrigna. Quando se n’è andato un macigno fu rimosso dalla cattiva coscienza di più di qualcuno. Su di lui si scaricò il giustizialismo forcaiolo, strabico e a senso unico di una magistratura eterodiretta che voleva fare in modo improprio una falsa rivoluzione e “rivoltare l’Italia come un calzino”. Fu la celebrazione dell’intolleranza e del sopruso. Dai fratelli della sinistra e dal risorgente fascismo di AN, incestuosamente tesi verso un’unica direzione, davanti al Raphael Craxi fu coperto di monetine al grido di “Craxi ladro, socialisti ladri“. Craxi fu definito in vita un ladrone e un delinquente. Dopo la sua morte hanno detto che era un grande statista e un grande socialista e lo hanno celebrato in Parlamento. Oggi si sono rimangiati tutto e anche il suo stesso inquisitore, quel Di Pietro, quello che Craxi definì con un’eleganza non appropriata al personaggio che era quel ma in direzione opposta. “Come va?” mi disse accogliendomi nella sua Alfetta 2000. Era cordiale ma i modi erano i soliti, bruschi e sbrigativi. Volle sapere tutto da me, sul partito, sull’amministrazione, sui rapporti con gli altri partiti, sulla festa dell’Avanti. Mi regalò dei libri, suoi discorsi, qualche saggio, un libro su Nenni, delle fotografie. “Caro Guadagnolo”, mi disse, quasi mi avesse letto dentro la diffidenza politica nei suoi confronti, “qui non ci ama nessuno, tutti ci vogliono fare la pelle. Dobbiamo dare gomitate a destra e a sinistra per far sapere che ci siamo, senza complessi nei confronti di nessuno”. In tre parole mi aveva spiegato la sua idea di centralità dei socialisti che intendeva perseguire. Al Delfino, un brevissimo incontro con Claudio Signorile, allora Vice segretario Nazionale del partito e con i compagni della Federazione di Taranto, poi, via, in Piazza Garibaldi dove, di fronte ad oltre 5000 persone, sfoderò il meglio di sè. Lucido, ironico, tagliente, sprezzante, arrogante, le pause studiate al punto giusto più rumorose di qualsiasi retorica. Menò fendenti a destra e a sinistra infiammando il pubblico e risvegliando l’orgoglio socialista nei militanti che lo ascoltavano. Rimase impressionato per l’entusiasmo e il calore delle migliaia di persone che lo applaudirono freneticamente. “Bravo”, mi disse, “il partito è vivo, vai avanti”. Sono ormai 23 anni che Craxi se n’è andato e riposa nel piccolo e disadorno cimitero di Hammamet. Però diamine neanche una cappella! Ma in compenso ha il mare davanti e insegue sull’orizzonte l’ombra di un Paese per il quale ha dato tutto e che lo ha ripagato con la calunnia, l’insulto, l’infamia e la persecuzione. Eppure Bettino è morto col nome di quel Paese sulle labbra come un figlio che in punto di morte invoca la madre che non c’è e che gli è stata matrigna. Quando se n’è andato un macigno fu rimosso dalla cattiva coscienza di più di qualcuno. Su di lui si scaricò il giustizialismo forcaiolo, strabico e a senso unico di una magistratura eterodiretta che voleva fare in modo improprio una falsa rivoluzione e “rivoltare l’Italia come un calzino”. Fu la celebrazione dell’intolleranza e del sopruso. Dai fratelli della sinistra e dal risorgente fascismo di AN, incestuosamente tesi verso un’unica direzione, davanti al Raphael Craxi fu coperto di monetine al grido di “Craxi ladro, socialisti ladri“. Craxi fu definito in vita un ladrone e un delinquente. Dopo la sua morte hanno detto che era un grande statista e un grande socialista e lo hanno celebrato in Parlamento. Oggi si sono rimangiati tutto e anche il suo stesso inquisitore, quel Di Pietro, quello che Craxi definì con un’eleganza non appropriata al personaggio che era quel maBettino Craxi e l’Italia, madre e matrigna A 23 anni dalla scomparsa l’ex sindaco Guadagnolo ricorda lo storico leader socialista gistrato, “un petit trafiquant”, ha ammesso di aver sbagliato, che mentre per te ha salito i piani alti del Palazzo per altri uomini di altri partiti si è fermato al piano terreno e non ha toccato né sacrari né personaggi che avevano attinto denari non solo dalle imprese italiane, dalle Partecipazioni Statali ma anche da un Paese straniero, l’Unione Sovietica, tra l’altro nemico poiché perno di un sistema di alleanze avversario dell’occidente. Quegli inquisitori strabici e a senso unico hanno ammesso di aver sbagliato, perfino Borrelli. Troppo tardi. Eppure era a tutti noto, compreso ai Di Pietro e ai Borrelli, che tutti i partiti, compresi i partiti di opposizione, erano parte di un sistema. Ma quei partiti ne uscirono indenni e mentre Craxi moriva in esilio additato agli italiani e al mondo come un ladrone latitante internazionale i dirigenti di quei partiti diventavano presidenti del Consiglio e addirittura uno di loro, proprio quello che andava a trattare i rubli a Mosca, saliva le scale del Quirinale. Fecero bene i figli di Craxi a rifiutare i funerali di Stato che erano solo una riabilitazione post mortem ipocrita e pelosamente opportunistica. Essa non risarciva e non risarcirà mai abbastanza un uomo, una famiglia, un partito. Solo cattiva coscienza. Fu fatto credere agli italiani di essere stati governati per cinquanta anni da una banda di ladroni e di masnadieri e che Craxi ne era il capo mentre altrove c’erano in preghiera un concistoro di santi e di frati trappisti dediti alle opere pie. E gli italiani non capirono e ci credettero. E non capirono neanche quando Craxi, sfidando in Parlamento tutti i partiti, chiese che fosse smentita la sua pubblica affermazione che i bilanci di tutti i partiti erano falsi e che tutti i partiti, compresi quelli dell’opposizione, erano inseriti perfettamente nel sistema del finanziamento illecito dei partiti noto non solo al Parlamento ma anche alla stessa Magistratura fin dai tempi dell’immediato dopoguerra quando Mattei pubblicamente dichiarava nei cinegiornali che lui i partiti li usava “come un taxi, li prendo, pago e scendo”. Non si alzò nessuno a smentire Craxi. Gli italiani continuarono a non capire e credettero ai moralisti manettari che cavalcavano l’onda del giustizialismo e della falsa rivoluzione giudiziaria, credettero ai processi celebrati in piazza e in televisione anziché nelle aule dei tribunali. Craxi ebbe il coraggio dell’assunzione delle proprie responsabilità di fronte al Paese e insieme quello della denuncia di un sistema. E il sistema gliela fece pagare. Craxi ha pagato per tutti scegliendo di morire lontano dal suo Paese nella piena consapevolezza che non sarebbe tornato mai più in Italia. Già perché come diceva sempre “io non tornerò in Italia se non da uomo libero perchè la libertà per me è come l’aria che respiro”. Craxi ha amato come nessun altro questo Paese, gli ha regalato tutto se stesso e per un giorno, a Sigonella, lo ha fatto sognare perché questo Paese non si è sentito un pezzente col cappello in mano di fronte allo zio Sam come era stato per quaranta anni. Per un giorno Craxi fece assaporare agli italiani l’orgoglio di essere italiani come quando abbiamo vinto il campionato del mondo. Eppure gli italiani lo hanno lapidato e coperto di infamie e di insulti ed ha pagato per tutti. In questo Paese ha trionfato il paradosso. Chi ha vinto nella storia è sparito, chi ha perso ha governato. Il miracolo dei vinti. Fino a quando non sarà ristabilita la verità storica su quegli anni bui della repubblica il fantasma di Craxi aleggerà su questo Paese come il fantasma del padre di Amleto sul castello di Elsinore; ma non per chiedere vendetta, solo giustizia. Questo Paese quando ha seppellito Craxi, non ha rimosso un problema, ha seppellito in esilio un corpo, non un’idea. Bettino se n’è andato ventitre anni fa. Ingiustizia fu fatta. Ma Craxi è rimasto nel cuore dei socialisti italiani come un sogno sognato, un’avventura di progresso, di modernità, di democrazia e di libertà autentica spezzati sul nascere, una speranza di socialismo. Bettino giace in una tomba modesta lontano da “una patria assai lontana, pur non essendo lontana”, che guarda ancora da lassù con le lacrime agli occhi e la morte nel cuore. Ma verrà il giorno in cui il nome di Bettino Craxi e dei socialisti tornerà ad essere pronunziato con rispetto come quando si parlava di socialisti galantuomini, di gente per bene che ama il proprio Paese e per esso spende la propria vita come al tempo dei Turati, dei Treves, dei Matteotti, dei Pertini, dei Nenni, dei Lombardi. I socialisti aspettano da tanto che la storia faccia giustizia delle infamità, delle calunnie, dei tradimenti e continuano ad aspettare con la pazienza dei giusti anche se come spesso accade il male che gli uomini fanno sopravvive loro mentre il bene è spesso sepolto con le loro ossa.
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