Arriva dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bari, oggi dopo la riforma Corte di Giustizia Tributaria di primo grado, una sentenza interessante in favore dei contribuenti che si innesta nell’ambito della disciplina del rinvio degli atti stabilito dal Governo durante la pandemia da Covid19. È nullo infatti l’avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2015, se l’ufficio non prova che sia stato emesso in data antecedente al 31 dicembre 2020, termine previsto dall’articolo 157 del decreto Rilancio. E’ il caso di un contribuente che ricorreva contro un avviso per l’anno di imposta 2015 eccependone la nullità perché era intervenuta decadenza dal potere di accertamento in quanto emesso dopo il termine previsto dall’articolo 157 del Decreto Legge 34 del 2020. I giudici hanno accolto il ricorso del contribuente ricordando che la disciplina d’emergenza emessa durante la pandemia da Covid19, prevede una post datazione dei termini per la sola notifica degli atti di accertamento fiscale e non per l’emissione degli stessi. Così l’ente impositore poteva notificare atti relativi al 2015 entro e non oltre il 31 dicembre 2021, termine esteso poi al 28 febbraio 2022 ma aveva l’obbligo di emettere l’atto di accertamento comunque entro e non oltre i 31 dicembre 2020. Quali sono le differenze? Tutti gli enti impositori formano le proprie richieste impositive attraverso l’emissione di un atto che generalmente deve essere costituito entro 5 anni dalla data di scadenza del periodo di imposta. Dopo la formazione dell’atto impositivo questo deve essere poi notificato al contribuente e in questa sede decorrono dei termini specifici per la notifica, che è cosa diversa dalla formazione del documento impositivo. La differenza rilevata dai giudici è appunto questa. Il decreto Rilancio ha consentito a tutti gli enti impositivi di fruire di un maggior termine per la notifica dei documenti in questione ma non per l’emissione degli stessi e così l’atto relativo al 2015, emesso dopo il 2020 è da considerarsi nullo. Attenzione però, una sentenza di questo tipo ha valore solo in favore del contribuente che ha richiesto l’intervento del giudice e non vale come regola generale, che invece discende dalla legge, così se in questi mesi i contribuenti sono destinatari di atti di questo tipo possono chiedere anche essi l’intervento del giudice affinché si dichiari nullo il provvedimento ma tale nullità non interverrà automaticamente. Altra sentenza interessante sul tema degli atti impositivi arriva invece dalla Commissione Tributaria Regionale per la Sicilia. Questa, con sentenza n. 4829/1 ha stabilito che se non ricorrono specifiche ragioni di urgenza, l’avviso di accertamento è illegittimo qualora sia adottato prima della scadenza del termine di 60 giorni dalla data di rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte dell’organo di controllo (art. 12, comma 7 della L. 212/2002). Anche in questo caso è utile chiarire al lettore che una volta emesso l’atto impositivo o di accertamento da parte di un ente pubblico, esso viene preannunciato al contribuente mediante la notifica di una copia del processo verbale che chiude definitivamente le operazioni di controllo. Da quel momento il contribuente ha sessanta giorni di tempo per azionare meccanismi di difesa o di accoglimento della richiesta dell’ente impositore. Questa sentenza chiarisce che non è possibile da parte dello stesso ente azionarsi per il recupero di dette somme prima della scadenza dei sessanta giorni in questione. In base a tale principio, i giudici di appello, nel confermare la decisione di primo grado, richiamano l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 15843/2020, secondo la quale l’art. 12, comma 7 dello Statuto del Contribuente deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento scaturente dal verbale redatto a conclusione dell’attività di controllo, determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”. Secondo i giudici di legittimità, infatti, si tratta di un termine posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, che costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente. Pertanto, nel caso in esame, i giudici palermitani hanno ritenuto che l’imminenza del termine di decadenza di cui all’art. 57 del D.p.r. n. 633 del 1972, previsto per il recupero dell’Iva, non sia una valida ragione d’urgenza ai fini del mancato rispetto del termine previsto dal citato articolo l’art. 12, comma 7. Ciò in quanto il requisito dell’urgenza deve ricorrere “nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio” (Cass. Ord. 23.7.2020, n. 15843; più risalente SS.UU. 29.7.2013, n. 18184). Francesco Andrea Falcone Dottore Commercialista - Revisore Legale
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