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L'editoriale

Max santo subito

Un'enfasi che appare francamente sopra le righe

Il cane Max assistito negli ultimi giorni di vita

Il cane Max assistito negli ultimi giorni di vita

Se ci fosse un tribunale per la canonizzazione degli animali pure a questo ci saremmo rivolti, al grido di “Max santo subito”. In mancanza, c’è chi invoca un monumento, chi un murales, chi - forse più sensatamente - una raccolta fondi per accudire meglio i randagi. Poco ci è mancato che si chiedesse la rimozione del delfino dallo stemma della città per sostituirlo con l’effigie del cane assurto, a sua insaputa, a simbolo della città.

L’ondata di emozione che ha travolto Taranto per la scomparsa del cane che gironzolava al Borgo, non ha precedenti e - come ogni situazione che deborda dal buon senso - ha finito per scadere nel grottesco.

Persino i politici fanno a gara per cavalcare l’onda, facendo proprie le proposte bizzarre avanzate sui social e non mancando di tirare fuori dai propri smartphone l’immancabile selfie con il meticcio diventato famoso quando - eravamo ancora in emergenza covid - fu trasferito al canile sanitario dopo segnalazioni di cittadini che si erano sentiti molestati dalla presenza - evidentemente non sempre così tranquilla - del compianto Max. Allora si mosse il sindaco in persona e alla stessa velocità con la quale cambia gli assessori dispose l’immediata reimmissione sul territorio del cane così benvoluto dai cittadini. Max finì anche alla ribalta nazionale quando un poliziotto subì un linciaggio social reo di aver allontanato Max in modo decisamente brusco da una donna e da un bambino verso i quali il cane non aveva mostrato tutta quella tenerezza che mostrano i suoi dolcissimi occhioni oggi spammati sul web.

Oggi Taranto piange Max con un’enfasi che francamente appare sopra le righe. Una città che perde abitanti giorno dopo giorno - prima solo i ragazzi, ora anche le loro famiglie - travolta dalla povertà di lavoro e dall’assenza di reali prospettive di sviluppo; una città che si vede scippare per la seconda volta la Soprintendenza; una città costretta a rincorrere sempre (adesso anche il progetto per Nave Garibaldi, già impacchettato a Genova) e che per questo è profondamente segnata da un mortificante deficit di autorevolezza della propria classe politica; una città che da oltre un decennio resta condizionata dalla mancata soluzione della vertenza del siderurgico e alle prese con la crisi di un porto in agonia; una città che si propone come meta turistica ma che ha enormi difficoltà ad essere adeguatamente accogliente e vivibile; una città che si è proposta come capitale della cultura salvo poi costringere i propri cittadini a emigrare a Martina Franca, Mesagne, Conversano per apprezzare mostre d’arte degne di questo nome (quelle che richiamano turisti veri); una città che ha rischiato di perdere anche i Giochi del Mediterraneo (e non sappiamo ancora in quali condizioni ci arriveremo); ecco, una città ridotta in queste condizioni che si desta dal torpore e si ritrova unita intorno alla morte di un cane - con tutto l’affetto possibile per il povero animale - non è solo una città che ha smarrito il senso della misura. È una città che ha smarrito il proprio orizzonte.

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