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La storia

Quarantasei anni fa la tragedia di Iacovone: Taranto e l'innocenza perduta

La morte del calciatore più amato e il sogno infranto di essere una città di serie A

Bandiera Iacovone

A sinistra la bandiera con l'immagine di Iacovone in curva - Foto Taranto fc 1927/Walter Nobile

Quarantasei anni. Come cambia una città, in quasi mezzo secolo? E cosa resta uguale? La Taranto di fine anni Settanta era una città in piena espansione economica, sociale, anche demografica. L’industria ha portato lavoro, oltre ad uno strano fumo nero che allora pareva solo un segno di modernità. Ci sono le navi della Marina Militare ormeggiate in Arsenale. E c’è il calcio. La serie B. Una immagine: la vittoria contro il Bari, 1-0. Un pallonetto, come uno sberleffo al portiere avversario. Stagione ‘77/’78. Eccolo, il primo e unico momento in cui Taranto ha pensato che la promozione in serie A fosse proprio lì, ad un passo. Quello nel derby più sentito è il gol che unisce in matrimonio un popolo ed un uomo. I tarantini ed Erasmo Iacovone.

Quarantasei anni dopo quella notte tra il 5 ed il 6 febbraio 1978, Taranto è cambiata - non in meglio, e non solo in senso calcistico. Ma qualcosa è rimasto. La fedeltà tenace, incrollabile, a quel ragazzone che aveva solo 25 anni, quando venne sbalzato fuori dalla sua Dyane 2cv colpita - come da un proiettile - da una potente Alfa Romeo GT2000. La guidava un balordo, con qualche precedente penale, che l’aveva rubata poco prima.

Quella notte corre velocissima, l’Alfa. A fari spenti, invisibile, per sfuggire ad un inseguimento della polizia sulla strada che unisce Taranto a Lecce. Nel buio, la Dyane si affaccia da una strada secondaria. Iacovone ha cenato in un ristorante ed assistito ad uno spettacolo dell’attore Oreste Lionello a San Giorgio. Un modo per sbollire la rabbia dopo una partita storta. Alberto Ginulfi (sì, quel Ginulfi che con la maglia della Roma aveva parato un rigore a Pelè) gli ha negato la decima rete in campionato nello 0-0 con la Cremonese. Dove non è arrivato il portiere, ci ha pensato il palo, due volte. Ma “Iaco”, come lo chiamano i tifosi, è ancora capocannoniere del torneo, e la squadra resta in piena lotta per la promozione in quella serie A mai neppure sfiorata. Magari Erasmo, con quel sorriso malinconico che i tarantini considerano ormai familiare, pensa che ci sarà modo per rifarsi.

Intanto, a Carpi lo attende la moglie Paola, sposata sette mesi prima dopo cinque anni di fidanzamento. Paola attende Erasmo - ed aspetta una bimba. Iacovone raggiunge lei ed il suo pancione tutte le settimane. Ma all’una di notte, Erasmo che a luglio diventerà papà e chissà, forse avrà guidato il Taranto nel paradiso del calcio, non può proprio vedere un bolide senza luci che va a 200 all’ora, e che termina la propria corsa sulla piccola Dyane. Il corpo senza vita del centravanti rossoblu verrà ritrovato a cinquanta metri da ciò che resta della Citroen. Illeso, o quasi, il ladro d’auto che fuggiva a bordo della GT2000.

Non c’è internet, non ci sono i social. Ma la notizia si diffonde veloce a Taranto, quasi quanto quella maledetta Alfa Romeo. All’alba del 6 febbraio ‘78 ci si risveglia da un sogno. Pure quei pochissimi che in città non amano “il pallone” vedono nel Taranto il simbolo di una città che vuole farsi finalmente grande. Che vuole la serie A, e non soltanto nel calcio. Iacovone è il simbolo del simbolo. Non è il più talentuoso. Ma in una stagione e mezzo, da quando è arrivato in Puglia, ha dimostrato che i quattrocento milioni spesi per lui non sono stati troppi. Il presidente rossoblu è Giovanni Fico. Commerciante di carni, uomo ruvido e la fama di essere sin troppo attento ai conti. Eppure, Fico ha puntato forte su questo attaccante dal gioco un po’ sgraziato che in serie C, a Mantova, ha segnato 24 gol in due stagioni. Il primo anno tarantino di Iacovone è una stagione di crescita. Le sue reti sono otto. Contribuisce ad un campionato insolitamente tranquillo per un club abituato alla spola tra B e C. Soprattutto, Iacovone matura: migliora i movimenti, diventa più agile.

Erasmo Iacovone

Nel ‘77/’78, dopo venti partite, le reti sono già nove. Nessuno sino a quel punto ha fatto meglio in campionato. È senza dubbio il calciatore più amato dai tifosi. «Fino a un minuto prima è il tuo idolo insieme a Krol e un minuto dopo à mmuert’. Con la differenza che Krol se ne sta ad Amsterdam e Iaco invece giocava nel Taranto, gli piacevano le mie Orso d’ Abruzzo, aveva segnato al Bari, non se la tirava, lo volevano la Fiorentina e la Roma, era in pratica al tempo stesso uno di noi e uno arrivato all’album Panini» scriverà nel 2004 lo scrittore tarantino Cosimo Argentina nel suo romanzo “Cuore di cuoio”.

Sotto una pioggia battente, in quindicimila parteciperanno al funerale di Iaco nello stadio che era rimasto senza nome, chiamato semplicemente “Salinella” come il quartiere che lo ospita. Al termine del giro di campo, con la bara portata a spalla dai compagni di squadra, Fico si asciugherà le lacrime e pronuncerà poche parole: «Ho considerato e considero sempre i giocatori del Taranto come miei figli. Tu, Erasmo, eri il migliore. C’erano molte squadre che a novembre ti volevano. E io non t’ho ceduto. Se lo avessi fatto, ora tu saresti vivo. Perdonami, Erasmo. Questa folla ti applaude ancora e io m’impegno che per il futuro questo stadio si chiami per sempre “Erasmo Iacovone”». In quello che era il “Salinella” sventola ancora la bandiera con l'immagine del suo volto.

Iacovone e Giovanni Fico 

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