Gianni Florido, ex presidente della Provincia di Taranto
Questa sera alle ore 18 al Salone della Provincia sarà presentato il libro “Rione Collepasso”, di Gianni Florido. Oltre all’autore parteciperanno Sergio Talamo, Dina Turco, Giuse Alemanno, l’editore Antonio Mandese. L’incontro sarà moderato da Francesco Andrea Falcone.
Collepasso, in verità, non è mai stato un rione. Era un tratto di strada a due passi dal “Mazzola”. Oggi corrisponde a via Santilli. Ma lì, in quella periferia, in quella sorta di via Gluck tarantina, che un tempo era solo campagna lontana dalla città urbanizzata, ha vissuto la sua infanzia Gianni Florido. Non sospettava nemmeno lontanamente, in quegli anni, che un giorno sarebbe diventato un leader sindacale e poi anche Presidente della Provincia. E non sospettava neanche che la sua ascesa sarebbe stata bruscamente fermata dalla tagliola di una vicenda giudiziaria che lo ha segnato in modo indelebile.
«Di quella vicenda - confida a TarantoBuonasera - parlerò soltanto quando l’iter giudiziario si sarà definitivamente concluso. Di quella storia mi resta il dolore. Il dolore di sette giorni trascorsi in carcere e sei mesi ai domiciliari, il dolore di non aver potuto vedere per mesi il mio nipotino e quando mi fu reso possibile riabbracciarlo, ero costretto a farmi vedere da lui con la valigia pronta per dirgli che ero in partenza: un inganno per evitare che lui potesse, come faceva di solito, restare con me. Credo che il mio arresto sia stato uno sfregio e questo Dina lo racconta bene nel libro».
Dina è Dina Turco, la persona che in qualche modo ha indotto Florido a scrivere il libro dopo un post pubblicato su facebook. E il racconto nasce proprio da quel “rione” Collepasso. 1952: strade sterrate e una vita sana. «Gli unici punti di riferimento erano lo stadio, che ci inorgogliva, la chiesa di Santa Teresa e le “dieci palazzine” della Marina. Non c’era altro. Eravamo pochi e vivevamo bene, tutte famiglie di arsenalotti. In questo libro non c’è nostalgia, ma la memoria lasciata andare a ruota libera».
La memoria: uno dei quattro capisaldi intorno ai quali si snodano le pagine del libro che attraversano la vita privata e quella pubblica di impegno politico e sociale di Gianni Florido. «In questo libro, oltre alla memoria, sono presenti il realismo dinamico, la partecipazione, la fratellanza. Tutti principi che ho appreso giorno dopo giorno innanzitutto dalla mia famiglia e poi grazie alle mie esperienze nell’associazionismo cattolico e sindacale. Quella del realismo dinamico è una elaborazione di un prete salesiano, don Nicola Palmisano, un personaggio straordinario che conobbi quando con altri giovani facevamo la “controscuola” ai ragazzi delle Baracche Zaccheo. Realismo dinamico significa cambiare un passo alla volta. Mi sono sempre confrontato con questo principio di riformismo. Anzi, ho finito per pagare proprio per questo, mentre montava l’onda della rivoluzione, anzi della rivoluzione mancata. Pensiamo ad esempio all’esito che ha avuto Altamarea».
Nella memoria di Florido c’è un importante tentativo di esportare il modello del riformismo dinamico: «Quando ero segretario generale della Fim-Cisl Puglia venni incaricato di tenere un corso di formazione in Argentina, per gli attivisti di un nascente sindacato metalmeccanico, la Uom. Mi resi conto che lì volevano tutto e subito, dopo essere usciti dalla feroce dittatura militare. Io invece indicai la strada del pragmatismo, sostenuto senz’altro da una forte base ideale e da iniziative di lotta. In quella occasione conobbi Alberto Piccinini, origini italiane, il vero capo del nuovo sindacato. Una sera, nonostante parecchie riluttanze, mi portò a cena al cospetto del capo della finanziaria di Stato proprietaria di tutte le fabbriche siderurgiche argentine. Una persona odiatissima dagli attivisti sindacali perché era stato collaboratore del regime militare, tanto è vero che Alberto prese posto a tavola molto lontano da questo personaggio che si ostinava a non ammettere la Uom alle trattative sindacali. Ad ogni mia descrizione del funzionamento delle relazioni sindacali in Italia rispondeva con un ipocrita “bueno!”. Persi la pazienza e gli chiesi perché allora, se tutto gli sembrava “bueno”, non ammetteva la Uom ai tavoli di trattativa e gli ricordai violenze e sofferenze inflitte a lavoratori e sindacalisti. “Otros tiempos”, mi rispose. La cena fini lì e fu allora che Alberto si aprì con me raccontandomi le violenze subite negli anni della dittatura. Era stato persino arrestato e in carcere apprese che la sua compagna era stata trovata uccisa in un sacco di iuta alla foce del Rio. Anche lui, però, comprese che la negoziazione, seppure complessa e difficile, era l’unica strada per arrivare al pieno riconoscimento dei diritti. Era questo l’insegnamento di don Nicola Palmisano: avanzare a piccoli passi. Stesso insegnamento che trasmetteva Pierre Carniti».
“Rione Collepasso” è la storia di un uomo e, allo stesso tempo, di una città. Denso di ricordi di battaglie sindacali: l’Arsenale, l’Italsider, la Belleli. Storie che ci portano nella complessità della Taranto di oggi: «Bisogna cambiare sul piano culturale. Noi siamo stati capitale della Magna Grecia, poi della Marina Militare, quindi della siderurgia. Oggi non siamo più nulla. Sono dell’avviso che bisogna ripartire dalla mia idea di Terra Jonica, di città metropolitana che abbia il mare al suo centro, il mare inteso come industria, per diventare finalmente capitale del Mediterraneo. In fondo, la mia idea di Grande Salento era anche questa: far diventare competitivo il Sud della Puglia».
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