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23 Giugno 2020 - 18:45
La Divina Commedia
I “Commenti” alla Divina Commedia da quello esemplare di Nicolò Tommaseo ai tanti del Novecento sino i giorni nostri hanno reso sempre più intrinsecamente precisi ed evidenti e in senso filosofico e in quello semantico nonché storico, culturale, teologico e che dir si voglia il testo dantesco.
Tuttavia dalla metà del 1960 gli studiosi di Dante possono consultare l’edizione definitiva della “Commedia”, iniziata da Mario Casella e studiosi intorno al 1920 e chiusa definitivamente da Giorgio Petrocchi ed altri studiosi. Pubblicata a cura della Società Dantesca italiana in edizione nazionale nel 1966 in quattro volumi; le tre cantiche più l’introduzione. Secondo l’antica vulgata. Editore Mondadori, Milano.
Un lavoro mediante la revisione di tutti i codici; questo del Petrocchi e studiosi eccezionali.
Si è trattato di rivedere tuti quei manoscritti o “pezzi” che, dalla morte di Dante in poi, si sono venuti scrivendo in Italia e fuori d’Italia sino all’uso della stampa; ed essi sono con i frammenti circa mille di cui 850 propri della Divina Commedia e gli altri delle opere minori di Dante.
Questo lavoro di collazione e revisione allo stesso tempo è stato necessario perché purtroppo noi non possediamo, com’è noto, nessun manoscritto o frammento di manoscritto di Dante; nessun documento, nessun attestato di suo pugno, nessuna firma; tutto è andato perduto; e allora il Petrocchi, con l’aiuto capitale di fotografie e pellicole prese sui codici esistenti in monasteri e biblioteche in Italia e fuori, ha potuto da qualche anno iniziare uno studio comparato di quei testi per risalire possibilmente al codice più vicino al manoscritto dantesco, e così dare alla luce l’edizione filologicamente più precisa e completa della “Commedia”.
Ricostruiamo brevemente le tappe del lavoro di Dante. Sappiamo che il Sommo Poeta intorno al 1314 dovè pubblicare l’Inferno; che il Purgatorio vide la luce intorno al 1315 e che il Paradiso fu noto dopo la morte del Poeta.
Come precedentemente abbiamo detto, a noi non sono pervenuti gli autografi danteschi; pertanto siamo in possesso solo di codici manoscritti, fra i quali quelli più vicini alla vita del poeta vanno collocati tra il 1330, 1335 e il 1336. Anzi del 1336 è il Codice Landiano di Piacenza comprendente le tre cantiche. Inoltre è noto agli studiosi di Dante che del 1337 è un codice di officina fiorentina e del 1338 è un altro codice fiorentino, ma solo con il Paradiso.
Altri codici sono di età successive. Bisogna arrivare alla prima edizione critica della “Divina Commedia” che è quella del Boccaccio, il quale, com’è noto, commentò pubblicamente una parte dell’Inferno. Boccaccio copiò tre volte verso la metà del ‘300, l’opera massima di Dante. La prima edizione a stampa, quella Aldina, fu stesa sul codice del Bembo, che si era servito, oltre che dell’edizione del Boccaccio, di un codice della «Commedia» conservato nel Vaticano.L’edizione Aldina fu poi seguita prevalentemente dai Cruscanti e fu quella sulla quale lavorò per i suoi studi danteschi il Foscolo. Sulla linea Boccaccio-Bembo si basò anche l’edizione del Witte dell’800, che tuttavia, per quanto approfondita e pregevole, non fu che una edizione provvisoria perché si attenne ad una scuola di codici e non si basò sul metodo comparativo fra codici di altre derivazioni e di altri luoghi.
Anche gli studi del Barbi e del Vandelli, per quanto geniali ed efficaci, non approdarono ad una decisiva valutazione di tutto l’apparato filologico dantesco per l’enorme difficoltà di lavoro cui andarono incontro i suddetti studiosi. Il Casella poi in verità propose il confronto di tutto il poema attraverso due codici che egli riteneva i più vicini all’epoca di Dante: I1 Trivulziano del 1337 ed il Landiano che è del 1340. I1 lavoro non fu però portato a termine per subentrate difficoltà tecniche. I1 confronto tendeva eminentemente a controllare le parti affini dell’opera e a risolvere con esattezza filologica il problema delle varianti.
Petrocchi era sicuro che i manoscritti del Boccaccio costituissero l’edizione fondamentale del capolavoro dantesco.
Il Petrocchi continuò il lavoro di ricerca dei codici per quella che doveva essere l’edizione definitiva della «Commedia». Egli era sicuro che il manoscritto del Boccaccio, sia per l’autorità del grande scrittore fiorentino e sia perché il Boccaccio copiò per ben tre volte la «Commedia», costituisse l’edizione terminale o fondamentale. Su di essa il Petrocchi impostò tutto il lavoro con il confronto dei manoscritti successivi e si pose un altro problema: quello della coloritura linguistica del poema; e cioè egli era convinto che un’edizione definitiva della «Commedia», per essere proprio tale, dovesse tener presente il problema del linguaggio. Infatti le tre cantiche dantesche presentano tre diversi sostrati linguistici dovuti ai diversi luoghi in cui Dante dimorò durante il suo esilio.
Risalire a quelle differenti coloriture linguistiche significava sempre più avvicinarsi al perduto manoscritto dantesco e, siccome queste diverse patine verbali, più popolari nell’Inferno, meno nel Purgatorio e ancor meno nel Paradiso, sono nel codice del Boccaccio, proprio codeste stratificazioni linguistiche regionali rileverebbero per l’appunto i vari momenti della creazione dantesca nella loro più genuina espressione. Ecco perché il Petrocchi, attentamente lavorando attorno ai fattori linguistici del codice del Boccaccio, era sicuro di aver dato finalmente all’Italia la “Commedia” così come Dante la venne ideando e scrivendo. Al di là dei tanti benemeriti “Commenti” lo studioso dovrebbe avere presente l’edizione Petrocchi per una vera interpretazione testuale; anche per tutti i segni interpretativi attraverso le non poche “varianti”.
Ps. L’introduzione si compone di 579 pagine. L’Inferno di 593, il Purgatorio di 575, il Paradiso di 523.
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