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Divina Commedia, l’edizione definitiva in quattro volumi secondo l’antica vulgata

La Divina Commedia

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I “Commenti” alla Divina Comme­dia da quello esemplare di Nicolò Tommaseo ai tanti del Novecento sino i giorni nostri hanno reso sem­pre più intrinsecamente precisi ed evidenti e in senso filosofico e in quello semantico nonché storico, culturale, teologico e che dir si vo­glia il testo dantesco.

Tuttavia dalla metà del 1960 gli studiosi di Dante possono con­sultare l’edizione definitiva della “Commedia”, iniziata da Mario Casella e studiosi intorno al 1920 e chiusa definitivamente da Giorgio Petrocchi ed altri studiosi. Pubbli­cata a cura della Società Dantesca italiana in edizione nazionale nel 1966 in quattro volumi; le tre can­tiche più l’introduzione. Secondo l’antica vulgata. Editore Mondado­ri, Milano.

Un lavoro mediante la revisione di tutti i codici; questo del Petrocchi e studiosi eccezionali.

Si è trattato di rivedere tuti quei manoscritti o “pezzi” che, dalla morte di Dante in poi, si sono ve­nuti scrivendo in Italia e fuori d’I­talia sino all’uso della stampa; ed essi sono con i frammenti circa mille di cui 850 propri della Divi­na Commedia e gli altri delle opere minori di Dante.

Questo lavoro di collazione e re­visione allo stesso tempo è stato necessario perché purtroppo noi non possediamo, com’è noto, nes­sun manoscritto o frammento di manoscritto di Dante; nessun do­cumento, nessun attestato di suo pugno, nessuna firma; tutto è an­dato perduto; e allora il Petrocchi, con l’aiuto capitale di fotografie e pellicole prese sui codici esistenti in monasteri e biblioteche in Italia e fuori, ha potuto da qualche anno iniziare uno studio comparato di quei testi per risalire possibilmente al codice più vicino al manoscritto dantesco, e così dare alla luce l’edi­zione filologicamente più precisa e completa della “Commedia”.

Ricostruiamo brevemente le tappe del lavoro di Dante. Sappiamo che il Sommo Poeta intorno al 1314 dovè pubblicare l’Inferno; che il Purgatorio vide la luce intorno al 1315 e che il Paradiso fu noto dopo la morte del Poeta.

Come precedentemente abbiamo detto, a noi non sono pervenuti gli autografi danteschi; pertanto sia­mo in possesso solo di codici ma­noscritti, fra i quali quelli più vicini alla vita del poeta vanno collocati tra il 1330, 1335 e il 1336. Anzi del 1336 è il Codice Landiano di Piacenza comprendente le tre can­tiche. Inoltre è noto agli studiosi di Dante che del 1337 è un codice di officina fiorentina e del 1338 è un altro codice fiorentino, ma solo con il Paradiso.

Altri codici sono di età successive. Bisogna arrivare alla prima edizio­ne critica della “Divina Comme­dia” che è quella del Boccaccio, il quale, com’è noto, commentò pub­blicamente una parte dell’Inferno. Boccaccio copiò tre volte verso la metà del ‘300, l’opera massima di Dante. La prima edizione a stam­pa, quella Aldina, fu stesa sul codi­ce del Bembo, che si era servito, ol­tre che dell’edizione del Boccaccio, di un codice della «Commedia» conservato nel Vaticano.L’edizione Aldina fu poi seguita prevalente­mente dai Cruscanti e fu quella sulla quale lavorò per i suoi studi danteschi il Foscolo. Sulla linea Boccaccio-Bembo si basò anche l’edizione del Witte dell’800, che tuttavia, per quanto approfondita e pregevole, non fu che una edizio­ne provvisoria perché si attenne ad una scuola di codici e non si basò sul metodo comparativo fra codici di altre derivazioni e di altri luoghi.

Anche gli studi del Barbi e del Vandelli, per quanto geniali ed ef­ficaci, non approdarono ad una de­cisiva valutazione di tutto l’appara­to filologico dantesco per l’enorme difficoltà di lavoro cui andarono in­contro i suddetti studiosi. Il Casella poi in verità propose il confronto di tutto il poema attraverso due codici che egli riteneva i più vicini all’epoca di Dante: I1 Trivulziano del 1337 ed il Landiano che è del 1340. I1 lavoro non fu però portato a termine per subentrate difficol­tà tecniche. I1 confronto tendeva eminentemente a controllare le parti affini dell’opera e a risolvere con esattezza filologica il problema delle varianti.

Petrocchi era sicuro che i manoscritti del Boccaccio costituissero l’edizione fondamentale del capo­lavoro dantesco.

Il Petrocchi continuò il lavoro di ricerca dei codici per quella che doveva essere l’edizione definitiva della «Commedia». Egli era sicu­ro che il manoscritto del Boccac­cio, sia per l’autorità del grande scrittore fiorentino e sia perché il Boccaccio copiò per ben tre volte la «Commedia», costituisse l’edi­zione terminale o fondamentale. Su di essa il Petrocchi impostò tutto il lavoro con il confronto dei manoscritti successivi e si pose un altro problema: quello della colori­tura linguistica del poema; e cioè egli era convinto che un’edizione definitiva della «Commedia», per essere proprio tale, dovesse tener presente il problema del linguag­gio. Infatti le tre cantiche dante­sche presentano tre diversi sostrati linguistici dovuti ai diversi luoghi in cui Dante dimorò durante il suo esilio.

Risalire a quelle differenti co­loriture linguistiche significava sempre più avvicinarsi al perduto manoscritto dantesco e, siccome queste diverse patine verbali, più popolari nell’Inferno, meno nel Purgatorio e ancor meno nel Para­diso, sono nel codice del Boccac­cio, proprio codeste stratificazioni linguistiche regionali rileverebbero per l’appunto i vari momenti della creazione dantesca nella loro più genuina espressione. Ecco perché il Petrocchi, attentamente lavoran­do attorno ai fattori linguistici del codice del Boccaccio, era sicuro di aver dato finalmente all’Italia la “Commedia” così come Dante la venne ideando e scrivendo. Al di là dei tanti benemeriti “Commenti” lo studioso dovrebbe avere presen­te l’edizione Petrocchi per una vera interpretazione testuale; anche per tutti i segni interpretativi attraverso le non poche “varianti”.

Ps. L’introduzione si compone di 579 pagine. L’Inferno di 593, il Purgatorio di 575, il Paradiso di 523.

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