Da sinistra Spagnoletti, Lippo, Pierri, Mandrillo e Carrieri
La poesia di Michele Pierri, benché lodata ed apprezzata in campo nazionale, non è mai entrata del tutto nella coscienza collettiva dei tarantini, un po’ perché Taranto non ha mai avuto grandi slanci verso la poesia, un po’ perché la sua produzione non ha goduto di una grande diffusione a livello cittadino (complici sia la poco felice distribuzione editoriale che l’estrema riservatezza dell’autore) e infine perché quella di M. Pierri non è una poesia facile, ma al contrario difficile ed irta sia sul piano dei contenuti che della forma. Essa si ancora all’avanguardia simbolista, irrobustita dalla lettura dei testi biblici e dei mistici : si pensi a Jacopone da Todi, a Santa Teresa d’Avila, a San Giovanni della Croce... Per penetrarne il senso bisogna attrezzarsi sia sul piano filosofico che su quello teologico ed avere esperienza della poesia ermetica e postermetica (e non solo, si pensi ad es. alla predilezione per una poetessa sensibile e profonda come Emily Dickinson). Inoltre, c’è nella sua poesia una forte tensione tra il reale e l’ideale, tra il materiale e lo spirituale, tra il letterale e il traslato, con frequenti scambi di prospettiva. E l’intrico che ne scaturisce è complicato da una scrittura che non disdegna le torsioni logiche, le ellissi, i silenzi, le metafore inconsuete, le volute ambagi, etc. Fra coloro che si sono occupati a livello locale della sua poesia è giusto richiamare alcuni nomi : Piero Mandrillo, Cosimo Fornaro, Angelo Lippo, Angelo Carrieri, Paolo De Stefano. Piero Mandrillo, da sempre estimatore di Pierri, sia come uomo che come poeta, senza dedicargli uno studio organico, si è più volte soffermato sulla sua figura in interventi ora mirati ora occasionali : penso ad es. ad alcune pagine del Bollettino di statistica del Comune di Taranto (1957 - 1959) o a quelle estemporanee di ‘Taranto rossoblu’ o di altri fogli cittadini (dove non disdegnava di scrivere) : i giudizi sono sempre ben calibrati, precisi e penetranti, frutto di studio della sua opera. Cosimo Fornaro nella sua operetta “Luogovivo” (Milano 1980) racconta di una visita a Michele Pierri nella sua casa di via Pupino, attratto dalla notorietà del poeta e del professionista. Egli si sofferma maggiormente sulla sua valentia di chirurgo e sulla larga fama da cui era accompagnato a Taranto e in provincia per le non comuni doti professionali e le non poche vite che aveva salvato. Anche se Pierri, ad una precisa domanda di Cosimo, risponde con umiltà che lui non ha mai salvato nessuno, che a salvare è soltanto Dio e che lui è un semplice strumento nelle sue mani. Angelo Lippo, poeta sensibile e raffinato editore, curò con eleganza nel 1987 il volumetto di Pierri, “Madonna del Duemila”, e nelle nostre frequenti conversazioni (per non dire dei lunghi anni della mia collaborazione alla rivista di letteratura ed arte ‘Portofranco’ , sulla quale venivano ospitate liriche di P.), non mancava di esprimere i suoi sinceri apprezzamenti per la qualità e densità della sua poesia e ricordava gli intensi rapporti che Pierri intratteneva con illustri critici letterari: Giacinto Spagnoletti (tra l’altro, nostro concittadino), Carlo Bo, Giuseppe Ungaretti, Pierpaolo Pasolini, Carlo Betocchi, Giorgio Caproni, Oreste Macri, etc.. Angelo Carrieri ha curato il volume “Chico ed io” (Manduria 1984) con introduzione e commento, illustrando con sicurezza di metodo la sua poetica, il rapporto con Girolamo Comi, le ascendenze letterarie e gli originali esiti poetici. Si tratta di un poemetto di Pierri, interamente dedicato ad una gazza dal nome Chico, che ha convissuto con Michele negli ultimi mesi di vita, prima di sparire del tutto dalla sua casa senza lasciare traccia. Chico ed io sottolinea la grande attenzione del poeta verso il mondo animale, al quale riconosce un posto importante nel mondo e soprattutto un’anima, andando in qualche misura contro la stessa ortodossia cristiana, e riconoscendo da parte di Dio un’uguale premura verso gli uomini e gli animali. La sua potrebbe essere considerata una posizione ‘francescana’ per l’amore inconcusso verso tutto il creato. E questa sua posizione, davvero originale, comporta, sul piano ideologico ed etico, e persino linguistico, conseguenze molto interessanti. A tal proposito, mi piace osservare che questa stessa sensibilità e vicinanza si colgono in una silloge di racconti del figlio Lucio, dedicati agli animali, “Novelle per animali” (Taranto 2016). Paolo De Stefano si è ripiegato sulla dimensione religiosa della poesia di Pierri, quale si ricava dai brogliacci e dagli inediti, portati alla luce dal figlio Giuseppe e noti sotto il nome di “Appunti”, dove si può cogliere la poetica e la tensione del poeta verso la bellezza del Creatore che coincide tout court con l’amore. Non parlo a caso di tensione in quanto quella di Pierri non è mai una condizione statica e pacificata né il raggiungimento della bellezza / amore di Dio è una cosa acquisita per sempre. Sul piano nazionale invece la poesia di M. Pierri è stata indagata e apprezzata in varia misura da Giacinto Spagnoletti, Carlo Betocchi, Oreste Macri, Giorgio Caproni, Donato Valli, una rosa di critici di alto livello, che hanno messo in luce la originalità e profondità della sua ispirazione e la particolare tessitura stilistica ed espressiva. Tra l’altro, si deve osservare che Pierri fu legato con tutti questi protagonisti della cultura letteraria da rapporti di stima e di amicizia (molti dei quali risalgono alla fertile stagione della rivista comiana “L’albero”) e scambio’ con loro numerosissime lettere, per cui non sarebbe operazione peregrina pensare ad una pubblicazione dell’epistolario, che getterebbe luce sulla dimensione non solo letteraria ma soprattutto umana ed esistenziale. Giacinto Spagnoletti, oltre ad aver avuto rapporti durevoli nel tempo, è stato tra i primi (con Carlo Bo, che scrisse la prefazione a “Contemplazione e rivolta”, Urbino 1950) a scoprire la poesia di Pierri, a divulgarla inserendola (siamo negli anni ‘50 del secolo scorso) in alcune antologie di respiro nazionale della poesia del Novecento, ravvisando in essa “accenti di sincera emozione religiosa, rotta dall’ angoscia”. Con Carlo Betocchi, con il quale si svolge una fitta corrispondenza (custodita, credo, tra le carte di famiglia), c’è una sorta di ‘solidarietà spirituale’ e di naturale consonanza sia sul piano sentimentale che dei motivi poetici, coniugati però in maniera diversificata : infatti anche Betocchi sente in maniera affine a Pierri il rapporto con il mondo e le creature, ma lo declina in maniera meno sofferta. Infatti, in Pierri la ricerca di Dio, un Dio sempre presente e sempre assente, vicino e lontano, visibile e nascosto, è una ricerca stringente, senza soste, che lo spinge ad entrare in conflitto con Lui e a cercare in ogni luogo la sua essenza e le sue tracce. Senza esaminare i singoli contributi critici degli autori citati, mi piace infine ricordare che proprio in alcune lettere inviate ad Oreste Macri, illustre critico e maestro di letteratura spagnola, nel 1957 e 1959, il poeta tarantino gli riconosce il merito di aver scandagliato con acume la sua poesia, di averne dissipato, o almeno diradato, le ombre e di aver gettato luce sul suo discorso poetico, tanto che lui non saprebbe cosa di nuovo e di diverso aggiungere alla sua penetrante analisi critica. Una cosa è certa : il poeta Michele Pierri rimane, come scrisse Piero Mandrillo in un lapidario ma sicuro giudizio : “il più semplice e il più misterioso, il più silenzioso e il più eloquente, il più prossimo e il più lontano, sempre a portata di mano e sempre sfuggente, esemplare vivente ossimoro di un’umanità la più concreta e la più ideale”.
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