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Federico II di Svevia: secondo convegno di studi al Castello Aragonese

Una immagine del Castello Aragonese all’epoca di Federico II di Svevia

Una immagine del Castello Aragonese all’epoca di Federico II di Svevia

Il prossimo 18 marzo presso il Castello Aragonese di Taranto si terrà il secondo convegno di studi su Federico II. Il primo si era svolto il 30 novembre del 2021, quando, ad iniziativa della Città di Taranto, della Marina Militare e dell’associazione “Amici del Castello Aragonese”, venne scoperta una lapide commemorativa di Federico II, con la quale ricordare ad imperitura memoria, che Federico, lo Stupor mundi, nonché Puer Apuliae, in quello stesso Castello, ottocento anni prima, aveva fatto dimora durante il viaggio di ritorno da Roma a Palermo, dopo essere stato incoronato imperatore da Onorio III. Correva l’anno 1221, Federico riuniva nella sua persona il potere imperiale e la corona del Regno di Sicilia, come allora si usava indicare il meridione d’Italia. E del Regno di Sicilia ne avrebbe fatto uno dei capisaldi della sua potenza, risiedendo e svolgendo azione di governo. Quella lapide ricorda anche che l’Imperatore si era interessato in maniera particolare al Castello di Taranto dettando sagaci provvedimenti per la sua manutenzione e il restauro, e che da Taranto nel 1250 doveva salpare la nave che avrebbe portato le sue spoglie mortali a Palermo, nella sua Sicilia, per la sepoltura. Il suggerimento di dedicare una lapide a Federico II, da affiggere nel Castello, era stata lanciata dalle pagine della Gazzetta del Mezzogiorno da Arturo Guastella il tre di marzo 2021. Quell’appello fatto proprio dagli Amici del Castello Aragonese trovò l’immediata condivisione del prof. Cosimo Damiano Fonseca che volle redigerne il testo. Il progetto fu prontamente accolto dall’Ammiraglio Salvatore Vitiello comandante di Marina Sud e dal Curatore del Castello, Amm. Francesco Ricci, dal Sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci e dalla Soprintendente per l’Archeologica Beni Culturali e Paesaggio nonché Soprintendente Nazionale per il patrimonio subacqueo, Barbara Davidde. In occasione della cerimonia di scoprimento della lapide il prof. Fonseca, tenne una ampia conferenza sulla figura di Federico secondo, nella quale volle ricordare che l’imperatore svevo per ben quattro volte venne a Taranto, nella pasqua del 1221, e altre tre volte per poi proseguire per Brindisi: nell’ottobre del 1225 per il suo matrimonio con Isabella di Brienne, ancora nel maggio-giugno 1225, e nel febbraio-marzo 1231 probabil mente per il controllo della zecca dove si coniava il suo Augustale d’oro. Nei suoi soggiorni tarantini, oltre ad emanare una serie di provvedimenti riguardanti alcune istituzioni ecclesiastiche, descritti anche in un documentato articolo di Giovangualberto Carducci (Taranto Buonasera - 24 novembre 2021), Il Fonseca sottolineò la particolare attenzione che Federico dedicò al Castello, posto a guardia dell’accesso alla città da Oriente, attenzione che portò l’imperatore a soffermarsi sui singoli interventi manutentivi e sulle relative spese e competenze. Lo stato di degrado dell’antico maniero doveva essere particolarmente accentuato. Lo Statutum de reparatione castrorum, emanato da Federico per la manutenzione dei castelli del regno, è particolarmente ricco di riferimenti toponomastici e topografici per quanto riguarda Taranto. Dal testo dello Statutum apprendiamo che la comunità tarantina era chiamata a provvedere “alla Sala Magna, e alle quattro torri rettangolari ‘quae sunt a parte civitatis’, cioè prospicienti la città vecchia, inserite nella cinta muraria. Gli Homines archiepiscopatus dovevano curare la Sala principis; gli Homines Castellaneti et Motule il muro di cinta; i priori di Fragagnano e di S. Oronzo il barbacane del muro portante; il Priore di Casalrotto la Porta di san Benedetto, nelle adiacenze della chiesa addossata alle mura orientali, come le altre che affacciavano sul fossato: San Pietro alla porta, e quella dei 40 Martiri, che è stata trovata sotto le fondamenta del Castello a seguito degli scavi condotti di Federico Giletti, e che attende un intervento di sistemazione, per essere resa accessibile ai visitatori. La chiesa di S.Oronzo, menzionata nello Statutum si doveva trovare invece, come si legge in diploma del 1082 con il quale Roberto il Guiscardo la donava al monastero di S. Lorenzo d’Aversa, al di là del fossato, dove ora è il Palazzo del Governo. Gli abitanti delle isole di San Pietro e di San Paolo, che evidentemente erano abitate, ma non di grandi possibilità, insieme agli Homines Mutulani e al monastero di San Pietro imperiale dovevano provvedere alla‘porta de Celo’. Gli appartenenti al ceto feudale dovevano provvedere alla manutenzione della torre che insisteva sulla “magna porta” del Castello che aveva una torre da entrambi i lati, della torre detta di Pilato e della cappella di Santa Maria, probabilmente Sancta Maria de Guarancium, sempre nei pressi del Castello ma di incerta collocazione. Come volle sottolineare il prof. Fonseca, l’attenzione di Federico II per il sistema difensivo del Regno di Sicilia non era tanto dettata dalle necessità di incursioni esterne, quanto alla repressione delle forze autonomistiche dei ceti feudali e baronali, rivendicando il possesso al demanio di città, fortezze, castelli. Terre, casali, che potevano essere stati usurpati e che dovevano tornare sotto il controllo regio. Nella Costituzione XIX delle Assise di Capua (1220) si era ordinata la distruzione di tutte le strutture difensive non appartenenti alla corona: “Stabiliamo che tutti i castelli, le fortezze , le mura e le opere di difesa che dalla morte di re Guglielmo (1189) a oggi sono state costruite in quelle città e in quei luoghi che non sono in mano nostra vengano consegnate ai nostri messi, per essere abbattute dalle fondamenta”. Concetto ribadito con la Costituzione del 1229, De guerra non movenda, dove veniva comminata la pena di morte a conti, baroni e cavalieri o qualunque altra persona che osasse muovere guerra nel regno. Nello stato riformato da Federico non vi poteva essere nessuno spazio per particolarismi di sorta, la titolarità della guerra e della difesa del Regno era compito esclusivo della Corona; di qui la rivendicazione della pertinenza dei diritti sui castelli e su tutto l’apparato difensivo al Sovrano. Lucio Pierri Presidente Associazione Amici del Castello Aragonese
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