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L'intervista
29 Marzo 2025 - 09:30
Maurizio Casagrande
Nel panorama artistico italiano, Maurizio Casagrande si distingue non solo per il suo talento e la sua versatilità, ma anche per la capacità di sintonizzarsi con le emozioni del pubblico ed esplorare le sfumature più profonde delle relazioni umane.
Attore, regista, autore e musicista, ha saputo attraversare generi e forme espressive, lasciando un'impronta indelebile nel cuore degli spettatori.
Con "Il viaggio del papà", l'artista porta sul palcoscenico una riflessione intensa e toccante soprattutto sui legami familiari, in particolare quello tra padre e figlio, affrontando tematiche che risuonano profondamente in un'epoca in cui le relazioni sono spesso messe alla prova.
"Il viaggio del papà": foto di scena
In vista della sua prossima performance a Taranto in programma sabato, 29 marzo, al Teatro Orfeo, abbiamo avuto il privilegio di dialogare con lui su una serie di questioni che spaziano dalla sua evoluzione artistica alla sinergia tra diverse forme d'arte, fino a toccare il delicato tema della figura paterna.
Per Casagrande, tra altro, quello nella nostra città ha il sapore del ritorno.
«A Taranto ci sono già stato e sono stato anche molto bene – racconta - Porto con me dei bellissimi ricordi legati ai primi anni della mia carriera, quelli che precedono le esperienze televisive e cinematografiche. Sono davvero tanti i bei momenti legati alla vostra città e al pubblico tarantino al quale, questa volta, propongo un viaggio dove non servono bagagli, ma cuore».
"Il viaggio del papà", per l’appunto, un'opera che esplora profondamente i rapporti umani, in particolare quello tra padre e figlio.
«Non solo tra padre e figlio, ma anche tra la vecchia generazione e la nuova e tra noi e l’ambiente in cui viviamo. Lo spettacolo ha una forte connotazione ecologica».
In un'epoca in cui le relazioni familiari sono spesso messe alla prova, quale messaggio spera di trasmettere al pubblico attraverso questa storia?
«Alla base di tutto c’è la voglia di regalare una serata divertente durante la quale si raccontano anche belle storie. Mi piace, però, l’idea di riuscire a far sì che il pubblico porti a casa questo pensiero: impariamo a conoscerci, ad ascoltarci, a capire che non sempre ciò che ci sembra sbagliato lo sia realmente. Non dobbiamo vivere ancorati a convinzioni pregresse che possono risultare, a volte, addirittura fatali. Il nostro è un mondo che va accudito, non abusato».
Lei sottolinea l'importanza di far ridere per veicolare messaggi profondi. Ma in un'epoca in cui la comicità è spesso fraintesa o banalizzata, come riesce a bilanciare l'intrattenimento con la riflessione?
«Io parto da un presupposto che è un po’ in contraddizione con quello che normalmente vedo: il pubblico è molto più intelligente di quanto si pensi. Ha molta voglia di pensare oltre che di divertirsi. A teatro vuole vivere sì delle emozioni, uscire per qualche ora dalla quotidianità, trascorrere una bella serata. E, a mio parere, una “bella serata” si può trascorrere anche se si ascoltano temi importanti».
Foto di scena
Lei cita "Il viaggio dell'eroe" di Chris Vogler come fonte di ispirazione: in che modo questo archetipo narrativo si riflette nella storia di padre e figlio?
«Ho amato molto "Il viaggio dell'eroe", famoso manuale di scrittura di Chris Vogler, uno che sapeva distinguere una storia di successo da un’altra. L’ho amato perché, in realtà riconduce tutte le storie ad una storia di base: quella ancestrale dell’umanità. Il viaggio dell’eroe, appunto, dell’uomo qualunque qualche volta cambia dopo un percorso che lo porta a raggiungere una nuova consapevolezza. Un po’ quello che succede in questo spettacolo: un padre e un figlio che non si conoscono affatto e che cambiano dopo un evento straordinario».
La sua carriera spazia dal cinema al teatro, alla televisione, dalla comicità a ruoli più introspettivi. Come si è evoluto il suo approccio alla recitazione nel corso degli anni e in che modo "Il viaggio del papà" rappresenta una tappa significativa in questo percorso?
«Credo, con questo spettacolo, di essere arrivato ad una sintesi: nel corso della mia vita ho fatto tante cose. Nasco musicista, poi attore con ruoli scritti da altri e, successivamente, creati da me per me stesso. Ho voluto mettere insieme tutte queste esperienze, tutto ciò che ho conosciuto ed amato, tralasciando quello che non mi è mai piaciuto. E il risultato si vede sul palco proprio in questo lavoro teatrale».
Uno spettacolo di sintesi, sì, ma non quello che chiude il cerchio, vero?
«Assolutamente no: questa “sintesi” diventerà materiale per dare vita ad altro…»
Lei definisce il padre come "il nostro primo eroe". In un momento storico in cui i modelli di riferimento sono in continua evoluzione, cosa significa per lei la figura paterna e come si riflette questa visione nel suo spettacolo?
«La figura paterna è, per me, un punto di riferimento. Un “supereroe”, al di là di quelle debolezze ed incapacità che noi tutti abbiamo riconosciuto ai nostri padri. C’è un periodo nella vita di ognuno in cui è importante che la figura paterna – o materna, ovviamente - sia vista come qualcosa di supremo, anche soprannaturale. Qualcuno da superare. E’ ciò che ci sprona a diventare migliori…»
Crede che il pubblico in qualche modo si identifichi nei personaggi dello spettacolo?
«Assolutamente sì. C’è una tale empatia tra noi e il pubblico che, spesso, si avverte l’emozione.
Nel finale, poi, sembra che ci ringrazi per aver affrontato un tema così delicato».
In cosa consiste, secondo lei, la bellezza del teatro?
«A un certo punto dello spettacolo, nel finale, dico una frase di Gigi Proietti che racchiude, dà senso al teatro stesso e che mi ha stimolato a raccontare le cose: “il teatro è quel luogo dove tutto è finto, ma nulla è falso”».
Con un sorriso, Maurizio Casagrande ci lascia con una promessa: «Farò di tutto, fino a quando sarò in grado, per portare al pubblico solo ciò che amo».
All’Orfeo, ricordiamo, il sipario su “Il viaggio del papà” si aprirà alle 21,00.
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