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L'analisi
31 Dicembre 2025 - 06:31
Giovanni Assi
BARI - La Legge di Bilancio 2026 si inserisce in una fase economica complessa, caratterizzata da una crescita debole, da un aumento strutturale dei costi e da un mercato del lavoro che necessita di interventi non più rinviabili sul piano della competitività. È questa la cornice entro cui Giovanni Assi, responsabile CONFAPI Puglia per Lavoro e Welfare, consulente del lavoro ed esperto di relazioni industriali, analizza la manovra approvata dalla Camera, sottolineandone luci e ombre.
Secondo Assi, l’impostazione della manovra appare chiara fin dalle sue linee guida, puntando su misure selettive, attenzione ai redditi da lavoro dipendente e controllo della spesa pubblica. Una strategia che risulta coerente dal punto di vista dei saldi finanziari, ma che solleva interrogativi sulla capacità di sostenere lo sviluppo in una fase di rallentamento prolungato dell’economia italiana.
Un elemento valutato positivamente riguarda la gestione del pregresso fiscale. La rottamazione quinquies delle cartelle esattoriali, che consente la definizione agevolata dei debiti affidati alla riscossione dal 1° gennaio 2000 al 31 dicembre 2023, viene considerata una misura concreta, seppur non strutturale. Secondo Assi, l’intervento offre a imprese e contribuenti l’opportunità di sanare posizioni pendenti che spesso rappresentano un ostacolo all’accesso al credito e alla programmazione degli investimenti, contribuendo allo smaltimento di un arretrato che continua a pesare sul sistema economico.
Più critico il giudizio sul capitolo pensioni. La manovra conferma infatti un orientamento restrittivo, con la mancata proroga di Quota 103 e Opzione Donna e con l’aumento complessivo di 3 mesi dei requisiti pensionistici tra il 2027 e il 2028, legato all’adeguamento alla speranza di vita. Una scelta che rafforza il controllo della spesa previdenziale ma che, secondo Assi, riduce ulteriormente le possibilità di flessibilità in uscita dal mercato del lavoro, concentrando l’impatto sulle generazioni attive.
Il cuore dell’intervento resta comunque il lavoro dipendente. Il taglio dell’IRPEF per i redditi fino a 50.000 euro, con la riduzione della seconda aliquota dal 35% al 33%, produce un beneficio immediato sul reddito disponibile. A questo si affiancano misure volte a valorizzare la contrattazione collettiva e aziendale, come la tassazione agevolata al 5% sugli incrementi retributivi derivanti dai rinnovi contrattuali sottoscritti tra il 2024 e il 2026 per i redditi fino a 33.000 euro, e la riduzione all’1% dell’imposta sostitutiva sui premi di risultato e sulle forme di partecipazione agli utili d’impresa fino a 5.000 euro annui. In questa stessa direzione si colloca l’innalzamento della soglia di esenzione dei buoni pasto da 8 a 10 euro.
Assi riconosce che si tratta di interventi che contengono elementi condivisibili e che valorizzano il lavoro organizzato, la produttività e la partecipazione. Proprio per questo, però, emerge con maggiore evidenza il loro limite principale. La Manovra 2026 individua correttamente nel lavoro uno dei perni dell’azione pubblica, ma si ferma a un livello di prudenza giudicato non adeguato alla profondità delle criticità del sistema produttivo.
In un Paese che da oltre un decennio cresce a ritmi inferiori rispetto ai principali partner europei, puntare quasi esclusivamente sul netto in busta paga, senza incidere in modo significativo sul costo del lavoro a carico delle imprese, rischia di produrre effetti limitati e temporanei. La cautela sul fronte del cuneo contributivo, pur comprensibile alla luce dei vincoli di finanza pubblica, assume secondo Assi i contorni di una scelta rinunciataria, perché la redistribuzione delle risorse non basta se i costi continuano a comprimere la capacità delle imprese di assumere e investire.
In una fase di crescita lenta, sarebbe stato necessario un intervento più incisivo, capace di accompagnare l’aumento dei salari con una riduzione strutturale degli oneri contributivi, invece di affidare quasi esclusivamente alla leva fiscale il sostegno al reddito. In questo senso, la manovra sembra arrestarsi prima di una vera politica di sviluppo del lavoro.
Sul fronte delle imprese, non mancano tuttavia segnali positivi. Il rifinanziamento dei Contratti di sviluppo e della Nuova Sabatini, lo sblocco delle richieste di credito d’imposta Transizione 4.0 rimaste escluse nel 2025 e il ritorno dell’iperammortamento, seppur con criteri più selettivi e limitato ai beni Made in UE, rappresentano misure di attenzione verso investimenti e innovazione. Le maggiorazioni fino al 180% possono costituire un incentivo rilevante per le aziende orientate a processi di ammodernamento tecnologico nel medio-lungo periodo.
Viene accolto con favore anche il prolungamento del credito d’imposta ZES Unica fino al 2028, accompagnato dal riconoscimento di un’ulteriore quota per i soggetti che hanno presentato la comunicazione integrativa tra il 18 novembre e il 2 dicembre 2025. In un contesto segnato da forti divari territoriali, la misura viene considerata una leva importante per attrarre investimenti e sostenere l’occupazione.
Nel complesso, la Manovra 2026 appare coerente nelle sue scelte e contiene interventi utili sia per i lavoratori sia per le imprese. Tuttavia, secondo Giovanni Assi, l’azione sul lavoro resta ancora troppo timida per imprimere una svolta reale alla competitività del sistema produttivo. La sfida dei prossimi anni non sarà soltanto sostenere il reddito, ma rendere l’occupazione sostenibile nel tempo, evitando che la prudenza, pur ben costruita, resti incapace di trasformarsi in sviluppo.
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