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Il commento

Un sindaco politicamente non binario

È l’espressione plastica di quella fluidità che non ammette e supera le distinzioni di genere

Rinaldo Melucci

Rinaldo Melucci

Se il vincitore dell’Eurovision Song Contest per affermare la propria “non binarietà” si è esibito in un bizzarro costume da pennuto in gonnella (magari il giovanotto andrebbe reso edotto sul fatto che queste “provocazioni” Renato Zero in Italia le faceva mezzo secolo fa ed erano trasgressioni autentiche e decisamente più raffinate in un Paese allora ancora piuttosto bigotto), al sindaco Rinaldo Melucci è bastata una manciata di traversate da una sponda all’altra per affermare la sua “non binarietà” politica.

Rinaldo Melucci è a tutti gli effetti un sindaco politicamente non binario. Lui è l’espressione plastica di quella fluidità che non ammette e supera le distinzioni di genere. Nel nostro caso, i confini tra visioni e valori politici differenti. È la sua storia politica a dirlo: pescato come candidato da ultima spiaggia, dopo una serie di rifiuti e veti incrociati su altri possibili candidati, accompagnato dalla buona sorte e dalla dabbenaggine degli avversari, è riuscito nell’impresa, data a quote alte dai bookmakers, di essere eletto sindaco nel 2017 a capo di una coalizione di centrosinistra. Coccolato da Michele Emiliano che ne è stato il suo nume tutelare.

Mandato a casa anzitempo – dopo essere stato sconfitto da Gugliotti nella corsa alla presidenza della Provincia - e poi rieletto in circostanze in cui, ancora una volta, la dabbenaggine degli avversari è risultata determinante, Rinaldo Melucci ha intrapreso un suo personalissimo e vertiginoso percorso a zig zag. Ha dapprima tentato di impossessarsi del Pd, del quale aveva addirittura affermato di non essere tesserato. Fallita l’impresa, con la sonora sconfitta congressuale, si è via via avvicinato a Italia Viva e a quanti lo avevano scalzato nella sua prima esperienza da sindaco. Lite col Pd e ingresso nel partito di Renzi, salvo rimangiarsene l’appartenenza a distanza di un paio di settimane nel timore di essere rispedito a casa anzitempo per la seconda volta consecutiva. Sarebbe stato un record. Nel frattempo tanti saluti a Michele Emiliano, nuova maggioranza arcobaleno con frenetiche trasmigrazioni di consiglieri da un gruppo all’altro (anche qui grande prova di fluidità), nuovo riavvicinamento a Italia Viva.

Poi sono arrivate le bizze per i Giochi del Mediterraneo: dapprima il pervicace ostruzionismo nei confronti del commissario Massimo Ferrarese, poi la discesa a più miti consigli e la svolta verso un decisamente più docile rapporto con il ministro Raffaele Fitto. E per schivare la sfiducia è stato persino disposto ad accogliere tra le sue braccia quel Luigi Abbate che fino al giorno prima era stato il suo avversario più ringhioso. Così, con la sua variegata coalizione fatta di ex Pd, ex della destra più ruvida e civici buoni per condire ogni minestra, Melucci riesce a tirare a campare. Infine, l’abbraccio con un altro Matteo: questa volta Salvini, ministro delle infrastrutture. Sono sorrisi e parole al miele (con qualche prudenza da parte del ministro), fino a riconoscere l’attenzione del Governo Meloni per Taranto. Quello stesso governo contro il quale, ai tempi delle bizze sui Giochi del Mediterraneo, Melucci era entrato in guerra perché a suo dire da Roma non sbloccavano i fondi per dare via libera a progetti e appalti.

Fluidità e non binarietà. Si può stare con la sinistra e con la destra, a seconda delle occasioni. Succede quando si pesca a caso. Sullo sfondo, il paradosso: il Pd che ha prodotto e a lungo alimentato il “fenomeno Melucci” si accredita oggi come il più agguerrito partito di opposizione allo stesso Melucci. A destra si fanno spallucce, convivenza strisciante e formidabile vocazione a perdere.

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