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Valentino Gennarini: la mia vita per la città

Valentino Gennarini

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Valentino Gennarini si racconta. In un articolo pubblicato nel 2011 sul Corriere del Giorno, lo storico imprenditore e agente marittimo, raccontava delle sue origini, delle problematiche del porto, della azioni condotte per dare una mano al prossimo e del suo specialissimo rapporto con la città. Parole, quelle pronunciate allora, che sono ancora oggi di grande attualità e di grande saggezza. Parole da accogliere come un tesoro di indicaizoni per il presente e per il futuro. Per questo vi riproponiamo quel vecchio articolo con qualche dovuto aggiornamento. «Dopo una vita intera dedicata, con grande amore e passione, all’azienda marittima di famiglia, la Gennarini con una storia di oltre 150 anni, sono in procinto di tirare i remi in barca e lasciare il timore ai miei figli. Non nascondo di averci pensato a lungo e di aver tentennato non poco prima di accomiatarmi in maniera pubblica dai miei concittadini. Ma, considerando che, dopo aver provveduto alle esigenze della famiglia e dell’agenzia, tutto ciò che era in eccesso l’ho sempre riversato nel bene comune, ho, alla fine, reputato che fosse giusto, pur con un certo imbarazzo, ricordare alcune tappe di questa mia vita improntata al lavoro e alla crescita di questa città. Tutto ciò cercando di mantenere sempre un alto profilo morale e professionale, ottenendo riconoscimenti ed attestazioni di elogio da parte di armatori di tutto il mondo, autorità marittime, ambasciate, consolati, comandanti di navi militari e mercantili. Nel 1975 ebbi l’onore di ricevere dalla Camera di Commercio il diploma della medaglia d’oro per la fedeltà al lavoro e per il progresso economico. Di recente sono stato Insignito della più alta onorificenza Melvin Jonesdai Liones Club International Foundation per atti umanitari. L’affetto della gente. Le attestazioni di stima più sentite, però, sono state senza dubbio quelle manifestate dai miei concittadini, da quanti ogni giorno incontro per i vicoli dell’Isola e le strade del Borgo. Esattamente come accadeva ai miei avi intorno al 1793, quando sindaco era Michele Gennarini (settembre 1793-agosto 1794). Da un atto del notaio Catalano (16 settembre 1975) custodito presso l’Archivio di Stato, si evince che non solo canonici, priori e sacerdoti si esprimevano positivamente sulla buona condotta tenuta dal sindaco, ma anche “il popolo – si legge in questo atto – lo vorrebbe sindaco perpetuo perché simile attento governo da altri sindaci non si è veduto”. Ed ancora, in un atto del 21 settembre 1795: “Numerosi bottegai delle piazze principali di Taranto, S. Costantino, S. Francesco e Piazza Maggiore, attestano l’esemplare condotta tenuta da Gennarini in qualità di sindaco poiché provvedeva ed accorreva a tutto con zelo e con amore verso della popolazione e de’ poveri, non facendo mai mancare il pane nella piazza… vigilando con indefessa fatica sopra li bottegai, chianchieri, facchini, venditori di vino e pescatori… acciò il tutto si facesse senza frode o inganno della povera gente”. Qualche decennio appresso, anche mio nonno Valentino si distinse parimenti nella ricerca del bene comune. Ad esempio, avallava le cambiali dei commercianti che, spesso, non erano pagate alla scadenza, per cui, in virtù del cosiddetto intervento per onore, ciò veniva fatto da mio nonno. Non di rado, peraltro, i sindaci intervenivano di tasca propria. Ragione per la quale, diversi beni e proprietà di famiglia sono andati perduti onde ripianare le pendenze del Comune. Ma senza rimpianti, perché l’amore per questa città, per la legalità e per il bene dei cittadini sono nel dna dei Gennarini, sono una bandiera, una tradizione che è andata avanti senza sosta. Tradizione di famiglia. E giungiamo alla storia più recente. Mio padre fu uno dei primi agenti marittimi del ‘900. In quegli anni faceva scalo a Taranto. In quegli anni faceva scalo a Taranto la linea della “valigia australiana” con la motonave Orsova. Una media di 500 passeggeri scendeva in città per visitarla ed era presa in carico dalla Gennarini. La linea si interruppe con lo scoppio della prima guerra mondiale. Negli anni a venire, in particolare nel 1935 con l’avvio delle campagne militari ed espansionistiche in Africa orientale, erano in transito a Taranto le navi con i legionari. Ed anche qui la Gennarini svolgeva con efficacia il suo compito. Finita la seconda guerra mondiale, mio padre divenne l’agente ufficiale dell’Amministrazione Usa per la flotta in guerra e del Ministero dei Trasporti per tutti i porti pugliesi. Successivamente, negli anni ’60, agenti ufficiali per le navi noleggiate dalla Nato inerenti lo sbarco di materiali per le costruzione delle basi militari di San Vito dei Normanni, Gioia del Colle e Martina Franca Per quanto riguarda me, ho raccolto il testimone di mio nonno e di mio padre, impegnandomi a far crescere l’azienda fino ad oggi, anche se, negli ultimi anni gli spazi di mercato libero si sono contratti per via di una situazione monopolistica che, di fatto, si è venuta a determinare. Nonostante le difficoltà incontrate, posso dire, con giusta soddisfazione, di non aver mai avuto delle vertenze di lavoro ma, anzi, di aver quasi “costretto”, trentacinque anni addietro, i miei collaboratori ad iscriversi al sindacato. Con altrettanto orgoglio, posso dire che tutti sono riusciti ad acquistare casa e qualcuno anche quella al mare. Non sono mancate, poi, le soddisfazioni personali, a parte quelle professionali e la “fortuna” di aver avuto preziosi ed efficienti collaboratori. Ricordo come a suo tempo ebbi l’onore di essere indicato quale candidato, condiviso da tutti, alla presidenza dell’Autorità Portuale. Rifiutati, pur possedendone i requisiti, per conflitto di interessi, sebbene in altri porti non si sono posti il problema. Il porto oggi Il porto, nuova speranza per il rilancio economico del territorio, si è rivelato un terreno ostico per le secolari agenzie marittime, strette ad un angolo e nell’impossibilità di recitare un ruolo di primo piano. L’area portuale, negli ultimi decenni, è diventata una vera terra di conquista, colonizzata e saccheggiata con la complicità di cavallini di Troia che, purtroppo, pullulano in città. Tanto per dirne una, l’immobile della Capitaneria di Porto è stato venduto ad una società di Roma (sconosciuto il prezzo di vendita e il relativo fitto) nel silenzio più assoluto. Perché, noi tarantini non potevamo essere interessati? Come è potuto accadere, mi chiedo, che gli operatori locali siano stati defenestrati in modo così brutale senza colpa? Le ricchezze prodotte dal porto, per l’ennesima volta, sono drenate, sottratte alla città e reinvestite altrove. A Taranto resta solo qualche spicciolo. Di conseguenza è destinata a morire nel silenzio più assordante.za, una città che non crea ricchezza o, meglio, che se la fa soffiare sotto il naso senza opporre resistenza alcuna, anzi con il beneplacito dei soliti caporioni, è destinata a morire nel silenzio più assordante. Silenzio colpevole di chi, al contrario, dovrebbe difendere il lavoro dei nostri concittadini. Sapete qual è il problema sostanziale? Che invece di nutrirci di fatti e cultura andiamo avanti sorbendoci a go go frullati di chiacchiere. Con il porto sono stati commessi, nel lontano passato, errori madornali, accumulando enormi ritardi. Ritardi difficilmente recuperabili a causa di una burocrazia distruttrice di ricchezza ed entusiasmi. Ed oggi ne paghiamo le conseguenze: nessuno ha avuto l’umiltà di ascoltare i saggi consigli in materia marittima e portuale. Taranto è l’unica città portuale in cui, in seno alla Camera di Commercio, è stata soppressa la figura del rappresentante per le attività marittime e portuali. Per amor di precisione devo dire, però, che l’on. Giancarlo Cito, proprio dietro mio suggerimento, commissionò il progetto per il porticciolo turistico Sant’Eligio, realizzato e perfettamente operativo, e della stazione marittima. In tema di concessioni, poi, il 90% delle banchine è per l’appunto in concessione, resta a nostra disposizione solo il molo di San Cataldo che, sicuramente, non è sufficiente a creare un futuro commerciale e turistico. All’uopo il giornalista genovese Camillo Arcuri, nel suo libro “L’altro fronte del porto” scrive: “il porto è di tutti – richiamandoci ad una verità dimenticata dai media e dai politici – ossia la natura pubblica delle coste, il loro essere un bene dei cittadini, proprietà demaniale non dei privati, i quali non possono considerarsi altro che concessionari di un utilizzo provvisorio e concordato delle banchine”. Per quanto riguarda la presenza delle industrie nel nostro territorio, ritengo che quella dell’ex Ilva sia irrinunciabile. Non siamo in grado, infatti, per il momento, di creare una solida alternativa che abbia la stessa valenza, economica, commerciale, produttiva e di sviluppo. Non abbiamo una vocazione turistica né culturale, se non circoscritte a parti dell’anno brevi e poco incisive. La solidarietà Gli affanni per il futuro del porto, la retro e la interportualità, non mi hanno comunque distolto dalla naturale propensione a dare una mano a quanti ne avessero cogente bisogno. Così, superate non poche remore, per la prima volta porto a conoscenza, pure della mia famiglia, alcuni gesti di solidarietà. Oggi voglio ricordarli per lasciare a chi resta una memoria storica di quanto sia importante operare, in ogni settore produttivo, avendo sempre a mente i meno fortunati, il bene comune, il lato umano, iniziando nel 1973 con il sostentamento per un anno alla moglie e al figlioletto di un rapinatore per disperazione, a seguire aiuto concreto ad una bambina operata ai reni ed un’altra operata alla milza a Modena ed un’altra al cuore, ancora con il contributo ad un bambino che doveva sottoporsi ad un delicato intervento alla testa mentre la famiglia veniva sfrattata, nonché ad un altro bambino che rischiava di perdere un occhio a causa di una fiondata, tornato perfettamente a vedere dopo una operazione a Houston, in Texas e poi l’aiuto ad un bambino spastico operato a Siena; da citare un nucleo famigliare di tre persone, in stato di disagio, parcheggiate in vico Giglio e supportate economicamente per un anno; sostegno alla famiglia di un lavoratore della cooperativa Tara deceduto mentre lavorava al porto; contributo per il salvataggio del Corriere del Giorno durante l’autogestione degli anni ‘80 e sostegno all’allora Tarantosera.; contributo per l’Arsenal Taranto, donazione di un trattore usato (con relativo trasporto) ad una cooperativa di giovani a Giulianova. Ma sono anche un convinto animalista e socio sostenitore del Wwf. MI sono occupato e mi occupo quotidianamente della cura, sterilizzazione e sostentamento di oltre venti cani nella zona orientale fino a Lido Silvana. Di questi sei vivono con me e li considero i miei migliori amici. E come dimenticare quanto ho avuto e ho a cuore il patrimonio storico, artistico, architettonico, culturale della città. Così fui il primo a restaurare un palazzotto signorile decadente dell’Isola, sede dell’agenzia, successivamente due edicole votive, sempre nell’Isola. Ho poi provveduto a posizionare, in quanto inesistenti, le targhe di tutti i palazzi storici della città vecchia, con le relative indicazioni topografiche e storiche. Ancora, l’idea di una scultura in bronzo dedicata ad Erasmo Iacovone, finanziata al 90%; la donazione della Fontana dei Delfini, opera bronzea realizzata dallo scultore Sepe di Napoli posta presso i Giardini Virgilio; restauro di un antico quadro (Piazza Fontana) di proprietà del Comune; contributo per la realizzazione della statua in bronzo del Cristo del Mare, collocata nei fondali di San Vito; donazione alla Camera di Commercio, con atto notarile, di una pittura ad olio, “Il tubificio” del pittore R. Spizzico; donazione di arredi e finanziamento annuale alla Stella Maris; finanziamento personale di borse di studio per il settore marittimo, della Magna Grecia e concorso di pittura avente a tema il porto, la proposta ora è che sia istituzionalizzata dall’Autorità Portuale; finanziamento del corso di diritto di navigazione presso la facoltà di economia dal 2006 al 2012. Inoltre, il busto di Virgilio ai Giardini Virgilio; al Castello Aragonese il calice d’argento con pietre dure del 1700 proveniente dalla Francia; al porto, targa in memoria dei lavoratori deceduti nell’area portuale. Di recente anche mio figlio Maurizio ha donato un defibrillatore ai vigili del fuoco del distaccamento porto. Alla figlia del mio dipendente Ignazio Cannella, scomparso prematuramente, ho donato un piano a doppia corda per consentirle di studiare. Tutte iniziative dettate dal cuore e non dall’effimera gloria che, per ovvie ragioni, non posso più porre in essere. La mia speranza, però, è di aver tracciato un solco, di aver segnato un sentiero di empatia e solidarietà che sia ora ripreso da altri cittadini, imprenditori, ma soprattutto politici e classe dirigente. I tarantini Vorrei finire bacchettando le tare della città e dei suoi abitanti. Tare tanto ataviche quanto resistenti ad essere superate. Vogliamo parlare dello scarso senso civico? Sulle strisce pedonali o ti scansi o ti travolgono. Devi uscire da un parcheggio a pettine? Come aspettare le calende greche, nessuno o quasi che abbia il garbo di cedere il passo. Per non parlare di tutto ciò che viene gettato per strada e lungo i marciapiedi. Manca purtroppo il senso dello Stato; le leggi, invece, comprese quelle finanziarie, devono essere rispettate da tutti. Talvolta si avverte, poi, una certa carenza nel controllo del territorio, a livello amministrativo intendo. Non mi rivolgo, infatti, alle forze dell’ordine che, con i mezzi a disposizione, fanno tutto ciò che possono per garantire il massimo della sicurezza, dell’ordine e del decoro pubblico. Perché, ad esempio, aspettare che si sia costruito il terzo piano per decidere di abbattere una costruzione abusiva, a spese dunque della comunità e salvo contenziosi, e non stoppare gli illeciti prima che sia posta la prima pietra? Siamo poi un popolo estremamente litigioso, più incline alla contesa che alla mediazione ed all’essere costruttivi. Noi cittadini, invece, dobbiamo, con entusiasmo e amore per la nostra bella ed adorata città, reagire con forza e determinazione perché questa non vada spegnendosi culturalmente ed economicamente verso un declino irreversibile. Dobbiamo, una volta per tutte, strapparci via la corazza di apatia e rassegnazione che ci portiamo addosso da tempo, troppo tempo, accendendo finalmente una grande luce per dare ai nostri giovani una speranza per un radioso futuro in riva ai Due Mari. Infine, ci tengo a dire che quando si fa qualcosa per la propria città e si dà una mano a chi soffre, ne ricevi un benessere fisico e mentale che allunga la vita. Per me è stato così».
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