Giovedì 2 febbraio sono andato alla presentazione del libro “AO Adriano Olivetti un italiano del Novecento” di Paolo Bricco nella rigenerata Biblioteca “Acclavio” di Taranto. Pochi giorni prima, il 30 gennaio, da Bricco mi era arrivato un messaggio: “Giovedì sono a Taranto a presentare la mia biografia di Adriano Olivetti. Mi farebbe tanto piacere che tu potessi venire. E’ giovedì pomeriggio alle quattro e mezza, in biblioteca”. Risposta immediata: “Ci sarò sicuramente e ti farò la domanda sulla Società Benefit. E ti farò un piccolo dono che ti piacerà”. Quel preavviso sulla Società Benefit alludeva a un tema discusso nel nostro incontro del pomeriggio del 24 gennaio. Avevamo trascorso un’oretta davanti a una Coca Cola (lui) e un caffè (io), parlando soprattutto del “clima burrascoso” nell’ex Ilva e nella città. Bricco era rimasto impressionato dallo spessore umano, sociale e tecnico di Franco Bernabè presidente di Acciaierie d’Italia, incontrato il giorno prima nella mensa aziendale del Siderurgico per il classico “A pranzo con”, poi pubblicato su Il Sole 24 Ore di domenica 29 gennaio. Concordammo che gli avrei mandato sia un piccolo dossier sul mio “sogno olivettiano” di una “Ex Ilva Società Benefit SpA”, sia quello sul “Tecnopolo Mediterraneo desaparesido”. Poi attraversammo il Ponte Girevole e ci salutammo davanti al portone di Palazzo di Città. La presentazione del libro del 2 febbraio ha avuto un successo di pubblico sorprendente, dato l’insolito orario. Il pubblico è stato ripagato dal gran bel duettare tra Paolo Bricco e Domenico Palmiotti già suo collega a Il Sole 24 Ore. Son venuti fuori tanti pezzi inediti di un personaggio unico nella sua complessità, Paolo Bricco dimostra di essere un formidabile esegeta dell’inafferrabile Adriano Olivetti. Il libro è un bel librone di oltre 400 pagine, una ricerca minuziosa durata dieci anni che non ha nascosto nulla, nel bene e del male, delle tante facce dell’Olivetti uomo (figlio, marito, padre, parente, amante, sodale, amico), dell’imprenditore, dell’innovatore, del politico, dell’intellettuale. Sono facce antiche che però trovano echi nel presente, tanto che Paolo Bricco, alla fine del suo lavoro, scrive: “Il mio personale auspicio è che, anche in un periodo drammatico come il nostro, Adriano Olivetti possa essere una fonte di ispirazione per chi lavora e guida un’impresa, opera a favore degli altri e studia, cerca la sua passione politica, cade e soffre, sbaglia e ama.” Calza bene quindi che io riporti qui la domanda che ho letto, quasi alla fine della riunione per la presentazione del suo libro, e la risposta che ha subito dato. Caro Paolo, leggerò con fervore questo tuo nuovo libro su Olivetti, come avevo letto, nel 2017, il tuo precedente “L’Olivetti dell’ingegnere”, che era Carlo De Benedetti, non Adriano Olivetti. In quel libro, però, tu che sei nato ad Ivrea ed “hai beneficiato direttamente di quel mondo creato da Olivetti”, hai già scritto di quella fabbrica e di quel territorio cose che attengono alla domanda che voglio farti oggi. A pagina 15 di quel libro scrivi: “Nella sua veste di dirigente di industria Adriano si dimostra capace di riorganizzare l’impresa nelle sue fattezze esteriori e interiori, trasformandola in un luogo in cui i servizi sociali divengono un elemento essenziale della strategia industriale, con l’uomo che partecipando alla produzione migliora se stesso e migliora gli altri.” Poi a pagina 27: “La sua idea di impresa, con il modello di consiglio di gestione in cui i dipendenti diventano soggetti attivi nell’elaborazione strategica della fabbrica è difficile da maneggiare. La passione politica e prepolitica di Adriano può diventare un problema per l’attività industriale e commerciale.” Queste citazioni confermano la mia percezione che la “filosofia olivettiana”, difforme dal capitalismo anglosassone, possa rientrare nella italianissima Economia Civile di Stefano Zamagni, Luigino Bruni ed altri, ripresa dalle lezioni del prete Antonio Genovesi all’Università di Napoli nel 1773. Come pure può affiancare la “filosofia” delle Società Benefit, nate dal dibattito sulla responsabilità sociale delle imprese. Di fatto, dal gennaio 2016, l’Italia, prima in Europa, ha introdotto nel proprio ordinamento giuridico la “società benefit”, una forma giuridica virtuosa e innovativa che va proprio nella direzione della “svolta del capitalismo”. La disciplina delle “Società Benefit” è contenuta nella legge n.208 del 28/12/2015 (legge di Stabilità 2016) Art.1, Commi 376-384. In più, proprio a Taranto, sotto l’egida della locale Camera di Commercio, del Centro di cultura “Giuseppe Lazzati” e di Politecnico e Università di Bari, è stato varato, addirittura prima del tuo Il Sole 24 Ore, il documento “Società Benefit. Breve guida alla costituzione e gestione”. Non posso non citare, infine, la Business Roundtable (Tavola Rotonda delle Imprese), cioè “una nuova Dichiarazione sullo scopo di una società”. Essa fu firmata nell’agosto del 2019 “da 181 amministratori delegati delle più grandi imprese Usa che si impegnano a guidare le proprie aziende a beneficio di tutte le parti interessate - clienti, dipendenti, fornitori, comunità e azionisti ed esortano gli investitori leader a sostenere le aziende che costruiscono valore a lungo termine investendo”. Assodato che Adriano Olivetti può essere considerato un precursore delle “Società Benefit”, vengo al dunque. Tu sei, tra le grandi firme, il giornalista che è venuto più volte a Taranto e sempre per il nostro Siderurgico: ne conosci benissimo il disastro economico/Industriale; hai toccato con mano la spaccatura nella cittadinanza, e anche nelle istituzioni, tra chi vuole chiudere la fabbrica e chi vuole farla rivivere, ma tutti sono molto preoccupati per quanto avviene all’ex Ilva di Taranto. A te chiedo cosa si può fare perché Acciaierie d’Italia SpA si trasformi in “Acciaierie d’Italia Società Benefit SpA” e faccia così quella “svolta del capitalismo” nel contesto di Taranto e del suo enorme sito siderurgico, in modo che presidente e amministratore delegato si impegnino a guidare l’azienda a beneficio di tutte le parti interessate - clienti, dipendenti, sindacati, fornitori, comunità e azionisti - ed esortino gli investitori e i finanziatori a sostenere l’azienda che costruisce valore a medio e lungo termine. Questo sarebbe l’atto concreto che realizzerebbe la “riconciliazione nella città”, con il concorso di tutti gli enti interessati al sito di Taranto, atti a sostenere ed assecondare tale “svolta”. La risposta di Bricco Constato che dentro la parabola di Olivetti c’è un’incompiuta, la copertura finanziaria. Olivetti prova a convincere i famigliari a fare una Fondazione ma essi sono per lo schema tedesco; prova con una Fondazione extra famiglia ma essi si opposero sempre. L’idea “benefit” può diventare utile per Taranto quando si constati che le formule classiche non hanno funzionato. Comunque per la vicenda siderurgica tarantina il primo passaggio dovrebbe essere l’aumento della quota dello Stato, quindi tirare una riga e pensare a una riscrittura generale. È necessario, però, pensare non solo all’impresa ma anche alla comunità. Se non c’è cucitura dal basso il seguito è un’accelerazione della crisi verso una “nuova Bagnoli”. Se non c’è ricostruzione comunitaria, c’è un incubo.
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